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Eugenio Scalfari
Il paese dà fiducia a chi la merita
18 Agosto 2005
Articoli del 2004
Su la Repubblica del 1 febbraio 2004. “L’omissione dalla quale il centrosinistra deve guardarsi è quella di mettere il silenziatore sul problema politico centrale di questa legislatura che è il conflitto d’interessi del presidente del Consiglio e la sua personale posizione dominante nel campo dell’informazione televisiva”.

I SONDAGGI sono quel che sono: una fotografia che ferma l’attimo fuggente della pubblica opinione in quel determinato momento. Anche se letti in una serie cronologicamente continuativa non cessano di sottovalutare le dinamiche dei processi sociali. Ma questo diffuso ieri dall’Eurispes resta comunque una sciabolata che rompe il velo della verità ufficiale e che mette in luce uno scenario estremamente preoccupante; scenario di declino economico, incertezza esistenziale, sfiducia politica.

Le cifre più drammatiche riguardano il numero di famiglie collocate al disotto della soglia di povertà: due milioni e quattrocentomila, il 10 per cento delle famiglie italiane, più o meno sei milioni di anime il cui reddito pro capite diminuisce man mano che il nucleo familiare aumenta. Ciò spiega meglio di qualunque ragionamento il crollo delle nascite che vede il nostro Paese in coda a quasi tutti gli altri paesi industriali.

A integrare questo primo blocco di informazioni seguono i dati sulla caduta del potere d’acquisto di alcuni gruppi sociali che costituivano i pilastri della classe media. Nei due anni 2002-2003 gli impiegati hanno perso il 20 per cento del potere d’acquisto, cioè un quinto di quanto disponevano nel 2000-2001, gli operai il 16, i dirigenti il 15,4, i quadri il 13,3. Perdite cospicue e tanto più penalizzanti quando riguardano una base redditizia e patrimoniale già modesta in partenza.

Questa falcidia del potere d’acquisto deriva dalla combinazione di almeno due fattori: l’aumento dei prezzi da un lato, la lenta dinamica delle retribuzioni dall’altro. Presa in mezzo ai due bracci di questa tenaglia la classe media sente sul collo come pericolo incombente e concreto la proletarizzazione del suo status. La mobilità del lavoro, in una società dinamica rappresenta un elemento di dinamismo ulteriore, in una società declinante costituisce un rischio non calcolabile e quindi avvertito come catastrofico.

Alla luce di questi dati si capisce facilmente l’opposizione massiccia sia dei vecchi che dei giovani alle politiche miranti a realizzare un mercato del lavoro flessibile e un Welfare leggero e modellato sulle nuove condizioni dei lavoratori.

Questo tipo di riforma è stato presentato come il tentativo generoso di favorire le nuove generazioni e di includere nel circuito produttivo quanti finora ne erano rimasti esclusi. Perciò ha destato stupore la compattezza dei giovani insieme agli anziani nell’avversare una riforma che proprio da loro avrebbe dovuto essere accolta col massimo favore.

Ma riflettendo sulle cifre dell’impoverimento e della perdita così cospicua e rapida del potere d’acquisto, quello stupore dovrebbe dileguarsi: come potrebbero i giovani assistere allo smantellamento senza altre valide reti protettive delle magre posizioni dei padri senza che dalle evanescenti nebbie d’un futuro sempre più incerto altro non si profili se non una società misurata su tempi brevi e su ritmi sussultori di occupazione-disoccupazione, scanditi dalla nevrosi d’una affannosa ricerca che nulla lascia ai diritti e alla sempre più chimerica qualità della vita?

***

Giustamente Savino Pezzotta, il leader della Cisl, chiama ora a raccolta tutto il sindacato e le forze politiche affinché recuperino il metodo della concertazione tra le parti sociali e il governo che assicurò al paese un periodo di saggezza e di stabilità. È auspicabile che la Cgil risponda positivamente all’appello di Pezzotta e coincide con quello più volte rinnovato dal presidente Ciampi che di quel metodo fu l’autore insieme a Giuliano Amato. Riesce tuttavia difficile sperare che l’attuale governo risponda positivamente a quella chiamata.

Si comincia forse a comprendere che la tenace difesa dell’articolo 18 guidata a suo tempo da Sergio Cofferati non era poi così massimalistica e scriteriata come allora fu da molte parti giudicata; si comincia a valutare da parte della categoria imprenditoriale di aver perso un anno intero per sfiancare e dividere il sindacalismo confederale fu un tragico errore.

Personalmente auspico che lo stesso Pezzotta sia divenuto consapevole del danno provocato dalla spaccatura sindacale e dall’illusione che il "Patto Italia" stipulato con il governo da Cisl e Uil potesse contenere il galoppo socialmente regressivo del blocco elettorale irretito dalle promesse miracolistiche dell’incantatore di serpenti.

In realtà quello scontro, se condotto fino in fondo da parte d’un sindacato compatto, avrebbe segnato un colpo d’arresto alla deriva che oggi ha investito in pieno i ceti produttivi e rischia di cancellare la borghesia e la classe media italiana. Di lì poteva ripartire su basi di maggior forza la stagione del riformismo, contenendo l’antagonismo sindacale e politico.

Un anno fa Pezzotta sbagliò come dimostrano i fatti. Ma oggi ha pienamente ragione quando vuole ricucire l’unità del sindacato e chiama Epifani a riproporre insieme i temi di fondo della società italiana. Non basta il fronte del no: ci vogliono proposte concrete e unitarie per uscire dalla stagnazione e dalla paura dell’impoverimento e dell’imbarbarimento sociale.

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Nel generale clima di sfiducia ci sono poche ma illuminanti eccezioni: il presidente Ciampi che riscuote il consenso dell’80 per cento degli italiani, una percentuale che tende ad aumentare anche oltre questo picco durevole ormai da tre anni. Insieme a Ciampi riscuotono analogo favore le forze dell’ordine, carabinieri e polizia. Il 58 per cento ha fiducia nell’Europa; il 52 per cento nella magistratura.

Gli italiani insomma puntano sulle istituzionI e l’Europa è vista giustamente come una di queste. Non così il governo né il Parlamento (che sempre più sembra la sua protesi); non così i partiti che sono al livello più basso di tutti.

Nelle ultime ore Berlusconi ha compiuto una clamorosa retromarcia sull’euro. Fino a ieri lo riteneva la causa di tutti i nostri mali scaricando sulla moneta europea le palesi deficienze politiche del suo governo; ma da ieri ha invertito la rotta ed ora benedice l’euro, scudo e salvaguardia della stabilità monetaria. È la piena verità, ma la conseguenza di questo giudizio è che l’impennata dei prezzi e del costo della vita risale alle manovre speculative avvenute a cielo aperto e sotto gli occhi delle pubbliche autorità falcidiando una quota impressionante del risparmio nazionale.

Non a caso (ricavo queste cifre dall’Eurispes ma esse trovano conferma in molti altri sondaggi recenti) la fiducia nel governo è crollata al 33 per cento. Un altro sondaggio commissionato dallo stesso presidente del Consiglio e noto soltanto ai massimi dirigenti della Casa delle Libertà segnala che il consenso elettorale di Forza Italia è passato dal 29 per cento delle ultime elezioni al 20. Cifre paurose per il committente. Certo, una cosa sono i sondaggi e un’altra la campagna elettorale e il voto degli elettori, ma un crollo di otto punti percentuali non è facile da rimontare se il centrosinistra a sua volta non lo aiuterà con i suoi errori e omissioni.

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L’errore del centrosinistra sarebbe quello di tardare ancora a formulare un programma credibile basato su poche ma essenziali idee forza e su grandi riforme che abbiano la finalità di rilanciare il paese, fugare la paura sociale, proiettarlo in Europa con un ruolo consono a una grande nazione fondatrice della Comunità.

Dopo tante vanterie sui successi di politica estera di questo governo, proprio in questi giorni stiamo assistendo alla formazione d’un triumvirato europeo composto da Francia, Germania, Gran Bretagna dal quale l’Italia è il solo grande paese fondatore escluso. Segno evidente che la politica delle corna, delle barzellette, e delle pacche sulle spalle con il sovrappiù del cuoco Michele e del cantante Apicella serve soltanto a incantare i gonzi e i paparazzi in cerca di foto.

L’omissione dalla quale il centrosinistra deve guardarsi è quella di mettere il silenziatore sul problema politico centrale di questa legislatura che è il conflitto d’interessi del presidente del Consiglio e la sua personale posizione dominante nel campo dell’informazione televisiva.

I tanti grilli parlanti che danno i voti alle forze politiche e suggeriscono comportamenti all’una e all’altra, quando si rivolgono all’attuale opposizione raccomandano o di abbandonare l’antiberlusconismo a favore di programmi concreti oppure, al contrario, di accrescere il radicalismo anti-Berlusconi mettendo in subordine i programmi e le proposte.

Mi permetto di dire che questa scissione mentale rappresenta il peggio del peggio e contiene appunto gli errori e le omissioni che ho prima accennato.

Proposte e programma sono essenziali. L’anomalia berlusconiana è a sua volta un "memento" e non può mai essere sottaciuto. Proprio ieri un tribunale francese ha condannato l’ex presidente del Consiglio Juppé, delfino di Chirac, sindaco di Bordeaux e segretario del partito chiracchiano, perché utilizzò per lavori privati alcuni dipendenti della municipalità di Parigi. Pene detentive, pene pecuniarie e dieci anni di interdizione dagli incarichi pubblici. La classe politica francese ha preso atto della sentenza. Il condannato potrebbe ricorrere in appello come è suo diritto. Nessuno si è permesso di dire che i giudici che l’hanno condannato sono «maledetti comunisti».

Sentite: c’è un paese timoroso e smarrito e un elettorato che cerca una guida più seria e più credibile di quella che tre anni fa ha riscosso la maggioranza dei consensi. Sta all’opposizione di proporsi con proposte, programmi e volontà alternativa alla cialtroneria imperante della quale gran parte degli italiani è ormai consapevole e stufa.

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