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Nathaniel Herzberg
Il paesaggio grande assente nelle politiche di urbanizzazione francese
28 Febbraio 2012
Consumo di suolo
I cugini d’Oltralpe soffrono i problemi della dispersione urbana, ma rispetto a noi - in teoria - le cose appaiono più chiare. Le Monde, 25 febbraio 2012. In calce il testo del p.d.l. (f.b.)

Titolo originale: Le paysage français, grand oublié des politiques d'urbanisation – Traduzione di Fabrizio Bottini

Come spesso accade, ancora una volta Nicolas Sarkozy non ha usato certo mezze misure. Nel suo intervento trasmesso contemporaneamente da dieci canali televisivi domenica 19 gennaio, Il Presidente della Repubblica ha annunciato il progetto di aumentare del 30 % la possibilità di edificare, "su ogni terreno, edificio, immobile. Incrementando così straordinariamente le possibilità di lavoro per il settore edilizio”. E poi “per aumentare notevolmente la disponibilità di case, influenzandone il prezzo. Sia per l’acquisto sia per l’affitto". Una scommessa sull’immobiliare in grado di accontentare poi un po’ tutti? Prima di essere adottato dall'Assemblée nationale il 22 febbraio, il progetto di legge ha sollevato notevole ostilità. I promotori prevedono una impennata di prezzi dei terreni, gli agenti immobiliari uno sconvolgimento del mercato, i costruttori di case economiche si sentono trascurati. Quanto alle amministrazioni locali, che dovranno rilasciare le licenze e istruire nuovi piani regolatori, si sentono un po’ scavalcate dal nuovo testo.

Ma soprattutto, la legge pare tacere su uno degli aspetti essenziali per le trasformazioni edilizie in Francia: il paesaggio. Gli anni dalla ricostruzione ai ’70 sono stati caratterizzati dai grands ensembles, mentre gli ultimi tre decenni hanno visto il trionfo delle casette unifamiliari, che oggi rappresentano i due terzi degli alloggi a livello nazionale. Le torri e i casermoni delle città sfigurano oggi il paesaggio della valle della Senna o le alture del marsigliese. Ma da ora in poi saranno lottizzazioni di casette e edifici isolati a colonizzare la Francia delle valli e delle coste, delle pianure e dei boschi. Le identità locali cancellate, confini comunali che sfumano l’uno nell’altro. Le insegne dei supermercati a sconciare gli ingressi in qualunque centro abitato. Non c’è più campagna e non ci sarà mai città, né urbano né rurale.

Suolo: “Una risorsa non rinnovabile”

Sicuro, il progetto di legge esclude tutte le zone tutelate in quanto patrimonio naturale, o classificate come bene storico. Ma anche escluse queste aree salvaguardate, quali effetti ci saranno sul paesaggio? Si rallenterà o accelererà il degrado? Che tipo di situazione si vuole affrontare? Su quali principi ci si basa? A quest’ultima domanda il ministro delegato per la casa Benoist Apparu ha una risposta semplice: “Non vogliamo più consumare spazi naturali, non possiamo più continuare a coprire superfici agricole, ma vogliamo costruire case, quindi occorre densificare”.

Densificare: la parola d’ordine è vaga. Da dieci anni fa litigare tutti contro tutti nel paese. Salvo qualche urbanista, tutti reclamano “spazio”. Spazi verdi nelle città, abbattere le torri nelle periferie, migliorare il traffico per avvicinarle al centro, ampliare i quartieri … “Oggi tutti possono constatare le devastazioni del paradosso francese, abbiamo consumato molto più territorio degli altri, ma c’è tragica carenza di alloggi”, spiega il paesaggista Bertrand Folléa. Si "artificializzano" da 60.000 a 70.000 ettari l’anno, praticamente tutti terreni agricoli. L’equivalente delle superficie di un Dipartimento ogni sette anni. Per fare un confronto, la Germania consuma 20-30.000 ettari. I francesi vogliono la casetta unifamiliare? Si è fatta la scelta della dispersione urbana, dimenticandosi che il territorio è una risorsa non rinnovabile”. Per cercare di capire come ci si è arrivati, Bertrand Folléa propone alcune spiegazioni. Innanzitutto “il mito del castello familiare”. “Si è cercato di democratizzare il modello borghese, senza capire che cambiandone la scala si cambiava anche il modello”. “Poi un’organizzazione urbana ereditata dal medio evo. Nuclei di villaggio molto densi e definiti, tutt’attorno le terre agricole che danno da mangiare alle famiglie. Nel momento in cui l’agricoltura diventa meno essenziale,si costruisce su questi terreni in modo rado..."

Michel Lussault, professore di geografia urbana all'Ècole normale supérieure di Lione, va un po’ più in là,indicando una "cultura nazionale urbano-scettica, il mito campagnolo”."In Italia, la città è ovunque. Anche il centro più piccolo ha caratteri urbani. In Francia succede il contrario, e anche alcune grandi città sono campagnole. Tutto è villaggizzato. Pensiamo ai nostri presidenti, tutti immediatamente ad affermare il proprio legame di villaggio”. Il suo collega all’Ècole, lo storico Jean-Luc Pinol, ci aggiunge la qualità “mortifera” che da tanto tempo si attribuisce alle città: “La densità determinava la trasmissione dei miasmi, e si invidiava Londra che con le sue case di tre piani, tanto meno densa di Parigi. D'altra parte Parigi nel corso del XX secolo ha continuato a diminuire di popolazione, passando da tre a due milioni di abitanti. Tra le due guerre si sono costruite villette nella cintura interna, spesso a basso costo. Poi sono arrivate le città dormitorio, poi i grands ensembles. Alla fine le lottizzazioni realizzate fuori dalla città".

Un insediamento a misura d’automobile

L'architetto e urbanista David Mangin ha analizzato in modo approfondito quest’ultimo fenomeno nel suo libro La Ville franchisée. Vecchi miti, tradizione, storia, tutto è stato trascinato via dalla rivoluzione tecnologica con l’avvento del'automobile.“Tutto è cambiato: modelli di vita, modelli edilizi, organizzazione urbana, ma anche economia, servizi, e naturalmente il paesaggio". Incaricato dalla città di Nizza di riorganizzare la pianura del Var,ne ha rilevato l’organizzazione spaziale. "Più del 40 % di questo straordinario paesaggio è occupato dalle macchine: ci sono i parcheggi dell’aeroporto o dei supermercati, i noleggi, i garage, gli sfasciacarrozze. Non ha senso”. Certo si tratta di una situazione estrema. Ma accade ovunque, anche se in modo meno spettacolare, in base alla medesima logica.

Un intero territorio riorganizzato in funzione dell’auto. A partire dalla rete stradale. La maglia delle arterie veloci che secondo Charles Pasqua, ministro per la pianificazione del territorio dal 1986 al 1988, doveva assicurare a tutti “al massimo venti minuti per arrivare in autostrada”. Poi le casette unifamiliari, che da trent’anni rappresentano i due terzi degli alloggi costruiti."I grands ensembles hanno fallito, ma le amministrazioni dovevano salvare scuole e servizi, e così si sono realizzati delle specie di grands ensembles in orizzontale, monofunzionali. I genitori portano i figli a scuola in macchina, e poi la usano per andare a comprare il pane. È del tutto anti-ecologico e però ci si sente vicini alla natura ... Il tutto con la benedizione dei pubblici poteri che volevano allontanarsi dal modello delle abitazioni collettive".

Terzo anello della catena, la grande distribuzione. Terreni a buon mercato, bacini di popolazione cresciuti: “I grandi marchi hanno visto l’occasione, secondo il modello importato dagli Stati Uniti: niente parcheggi niente affari. E hanno calcolato la superficie per la sosta sul traffico della vigilia di Natale. Con le tangenziali, le grandi superfici commerciali sono in effetti molto accessibili per tutti. Hanno svuotato i centri, sfigurato gli ingressi alle città, aperto alla costruzione di nuove case … che attirano altre superfici commerciali. Un circolo vizioso, per però va bene a molti. Ivi compresi i contadini, dato che il prezzo di un terreno agricolo esplode quando diventa edificabile. Cosa che vale in tutto il paese. Piante calcoli e foto alla mano, David Mangin lo dimostra: attorno a Dinan, Bretagna, così come a Chalon-sur-Saône, in Borgogna, fra glia ni ’60 e gli anni ’90 l’ambiente urbano ha sostituito quello rurale.

La casetta “con un piccolo giardino attorno”

Tutta colpa della casetta unifamiliare? L’economista e direttore di ricerca al CNRS, Vincent Renard, ribatte deciso: "non mi piace questo disprezzo, questo razzismo contro chi si è costruito una casa. Il problema non è la casa, ma il sistema".Jean Attali, filosofo e professore di urbanistica all'Ècole nationale d'architecture Parigi-Malaquais, rincara la dose : "Quando gli amici architetti criticano la casetta unifamiliare, si dimenticano di citare un aspetto di questa critica, ovvero che quello delle casette è un mercato che li scavalca. In Francia non è obbligatorio ricorrere a un architetto sotto i 170 m2. Sono sempre un po’ a disagio quando li ascolto prendere in giro le casette individuali". Anche David Mangin aggiusta il tiro: “Non si tratta della casetta individuale, ma del lavaggio del cervello che i promotori hanno fatto a tutti i francesi, secondo cui l’unica soluzione possibile è quella casa peripatetica: isolata, su un poggio, con un piccolo giardino tutt’attorno".

Continua l'urbanista Philippe Panerai:"Anche olandesi e inglesi hanno fatto la scelta della casa individuale, ma nel contesto di un’altra storia, di un’altra organizzazione. Gli olandesi avevano strappato la terra al mare, e non potevano certo sprecarla; gli inglesi attraverso un prodotto industriale standardizzato, e senza la proprietà della terra. Quindi le case sono state realizzate fianco a fianco, col giardino sul retro, una soluzione molto più economica in termini di spazio". Risparmiare spazio. Cosa un tempo sconosciuta in Francia, l’idea a poco a poco si è fatta strada. Prima nelle riflessioni dei ricercatori e dei paesaggisti. Poi, dopo dieci anni, nelle sedi di dibattito istituzionale, come le convenzioni sull’ambiente alla Grenelle o il concorso Grand Paris. "Si è presa coscienza degli aspetti economici, sociali, ambientali della dispersione urbana”, specifica Jean Attali. “In termini di mobilità, saturazione dei trasporti collettivi, congestione, danni all’ambiente. Anche da parte degli abitanti, che sognano un modo di vivere migliore, vicino alla natura, e che oggi ne scoprono aspetti negativi".

Vincent Renard continua su questo tema: "Si è assorbito il contraccolpo della politica dei grands ensembles, ma non ancora quello delle lottizzazioni. Con la crisi economica e l’aumento dei prezzi dei carburanti, che è solo cominciato, scatta la trappola. Qualcuno se ne sta accorgendo ".

"Soprattutto, i prezzi troppo alti hanno bloccato il sistema e interessano tutti” dice David Mangin. “Finché la cosa interessava solo i più poveri non ci badava nessuno. Oggi anche le fasce superiori faticano a trovar casa per i figli. E si spera in una presa di coscienza..."

Densificare

Gli urbanisti propongono i propri modelli. Qualcuno auspica un ritorno alla città tradizionale e alla mobilità pedonale, altri ipotizzano nuovi sistemi di circolazione per una “città fluida”. Secondo il pensiero dell’olandese Rem Koolhass, altri ancora chiedono di liberarsi da ogni vincolo e far ricorso al genio dell’architetto per ricostruire la città. Infine, che chi come Bertrand Folléa insieme alla compagna Claire Gautier cerca di inventare una “città sostenibile”. Complessivamente emerge comunque una convinzione, quasi una parola d’ordine: bisogna densificare. Densificare i centri, dove ci sarebbe tanto spazio in cui costruire. Fabbriche, caserme, ospedali, trovano oggi nuove funzioni. "Dopo vent’anni hanno demolito la biscotteria Lu di Nantes” osserva Jean-Christophe Bailly, professore all'Ecole nationale supérieure de la nature et du paysage di Blois. “E ci dovrebbero fare il parcheggio di un supermercato, magari un po’ di verde? Il comune ha scelto di farci un polo artistico, Le Lieu unique. Non tutto è perduto".Densificare anche i grands ensembles"perché contrariamente a quanto si pensa di solito quei quartieri sono a bassa densità, a causa delle norme sulle distanze fra edifici, sui parcheggi, su quegli pseudo spazi verdi”.

Piuttosto che cedere alla moda di distruggere semplicemente torri e stecche, architetti e urbanisti propongono di sostituirle con unità più piccolo, introdurre attività commerciali e studi professionali. A Rennes, Grenoble o Strasburgo si è intrapresa questa strada. Densificare e riqualificare rapidamente le città per risparmiare spazio, o sfruttare nuove tecniche più sicure per edificare in aree a rischio inondazione. "Però le soluzioni semplici non esistono” avverte David Mangin. “Il capannone che si vuole demolire per costruirci case magari è una attività importante per la città. SI tratta sempre di operazioni complesse, delicate, lunghe, che richiedono compromessi".

Il ruolo degli abitanti

E in tutto questo dove si colloca il 30 % tanto caro a Sarkozy? Una scelta “elettorale”, "brutale", "demagogica", sostengono in coro tutti i nostri interlocutori. "Potrebbe avere qualche senso in una logica di revisione del sistema di pianificazione, imponendo ai terreni il loro valore reale, delegando la responsabilità delle trasformazioni alle associazioni intercomunali e non ai municipi”sospira l'economista Vincent Renard. “Ma in questo modo è assurda". Tutti riconoscono alla proposta due meriti: quello di mettere il dito su una piaga della nostra epoca, ciò che il geografo Michel Lussault chiama “la proceduralizzazione della città, l’insieme di leggi, regolamenti, vincoli, che finiscono per soffocare ogni dinamica urbana. E anche il merito di porre la questione del ruolo dei singoli cittadini nella costruzione della città. La loro capacità di inventare ciò che poi a distanza di secoli potrà apparire pittoresco. Ma anche il diritto a riflettere, concepire, decidere sui modi dell’abitare.

Prosegue Michel Lussault: "Ieri la città-rete, oggi quella sostenibile, densificata, senza emissioni, si tratta di modelli che lasciano fuori gli abitanti. Non dobbiamo mai dimenticarci che sono i francesi ad aver scelto in tutta autonomia la città poco densa, grazie alle automobili e con la benedizione delle autorità. E non solo per il rifiuto di una certa composizione sociale, ma anche sfuggendo ai problemi della densità mal concepita. Perché oggi possa riuscire l’idea della densificazione, perché non sia vissuta come una sofferenza, occorre ripensare le forme architettoniche". La torre Bois-le-Prêtre, a Parigi (nel diciassettesimo arrondissement), riqualificata da Lacaton et Vassal, dimostra che si tratta di un obiettivo raggiungibile. Ma si può essere più ambiziosi. Invitando architetti, urbanisti, sociologi, giuristi, economisti, a cambiare natura: "Non devono più pensarsi come dei domatori che entrano nell’area a spiegare alle belve che è sbagliato ruggire, ma come levatrici di un processo di autocostruzione".

In altre parole, "Vanno riviste le forme della democrazia urbana. Non il genere di democrazia partecipativa che è diventato la foglia di fico della nostra incapacità di far evolvere la città. È l’insieme delle procedure che va rivisto, dalle concessioni edilizie ai piani urbanistici. Lo si fa nei contesti di scarsa presenza del potere pubblico, che siano le baraccopoli dell’India, dell’America del Sud, o anche negli Stati Uniti, come a Seattle. Ma anche in paesi di tradizione democratica, dalla Svizzera alla Scandinavia”.

È un progetto da candidato alle elezioni presidenziali? "Direi piuttosto un progetto per il nuovo millennio " , conclude il professore con un sorriso.

Qui il testo del progetto di legge approvato dall'Assemblea nazionale

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