Sotto il sole un gruppo di manovali – gli uomini seminudi, le donne coperte dai sari – scavano un canale al lato del viottolo, qualcosa che vuole somigliare a una fognatura. Appartengono alla casta più derelitta che un tempo si definiva degli «intoccabili», gli unici predestinati a lavorare a contatto con gli escrementi. Nella fossa sono immersi fino alle cosce in un fango misto a feci, manovrano scodelle di ferro arrugginito per rimuovere il liquame. Li osserva una vecchia seduta per terra con una cesta semivuota, pochi grappoli di uva da vendere infestati di mosche. È appoggiata a un muro dove un manifesto promette «Grazia Suprema Luce Universale», la pubblicità di un guru locale.
Questo è uno degli sconfinati "slum" di Mumbai, baraccopoli abusive fatte di fragili casupole addossate l´una contro l´altra, costruzioni di materiali precari (assi di legno, scatole di cartone, lamiere ondulate, polistirolo), dove si ammassano concentrazioni di centinaia di migliaia, forse milioni di abitanti.
Qui convivono indù, musulmani e tamil. Nel centro della stradina bambini e cani camminano sopra una montagna di immondizia viscida, nel fetore di gusci di uova marce, verdure in putrefazione. Ogni tanto sul monte s´inerpica una capretta che bruca tra i rifiuti. Sotto il sole uno dei mercanti inganna l´attesa di clienti leggendo il Corano.
Malgrado la miseria, la sovrappopolazione, la sporcizia, non ci si sente insicuri nel dedalo di viuzze di questa baraccopoli. S´intuisce un ordine sociale, quello delle mafie che regnano nel ventre di Mumbai. Prima di portare qui dentro uno straniero è prudente avvisare i padroni di questi luoghi. Abbiamo fatto sosta davanti alla casa di un capobanda - dietro la facciata diroccata del palazzo fatiscente l´uomo mantiene un harem di 13 mogli, con idromassaggi e una sala cinematografica privata - per segnalare l´ingresso sul suo territorio.
Nella zona detta Kumbharwadi è un viavai incessante di donne che trasportano grandi vasi in testa. I fianchi fasciati nei lunghi sari ondeggiano eleganti come ballando, sempre in perfetto equilibrio coi loro carichi sulla nuca. Questa è una delle baraccopoli più antiche, il primo insediamento risale all´Ottocento: è il villaggio dei vasai, una casta che s´identifica con un mestiere. Nel labirinto di catapecchie questi artigiani poveri hanno il loro minuscolo distretto industriale, dozzine di forni a legna per cuocere la terracotta. Sui tetti di lamiere e ai bordi dei vicoli sono accatastati vasi e giare appena sfornati.
Ora sul villaggio dei vasai incrostato nel cuore di Mumbai pende una minaccia. Le autorità municipali vogliono risanare quest´area. Hanno già costruito dei caseggiati popolari qui a fianco, offrono appartamenti modesti ma nuovi in cambio della distruzione delle baracche. La casta dei vasai resiste. Il comfort e l´igiene dei palazzi moderni non compensa la perdita di uno spazio vitale, i vicoli usati come depositi di vasi da seccare al sole. I vasi sono al tempo stesso il loro reddito e la loro identità, la ragion d´essere di un villaggio antico nel cuore di una moderna metropoli. La gente degli slum fa fatica a immaginare la propria vita nei parallelepipedi di cemento che ha visto costruire. Ci si può affezionare a una baraccopoli come a un villaggio: per il senso di comunità, il calore dell´affollamento, la solidarietà nel bisogno.
Per alcuni di loro quei caseggiati popolari costruiti dal governo promettono una solitudine che temono più delle epidemie. Mumbai con i suoi 20 milioni di abitanti ospita più esseri umani di tutta l´Australia, in quartieri come questo raggiunge una concentrazione di un milione di abitanti per miglio quadrato, mille volte la densità di una città europea.
Il "don" Arun Gawli, il Padrino indù che contende alla mafia islamica il controllo su questi bassifondi, concede udienza come il guru di un ashram. Essere ammessi al suo cospetto assomiglia a un rito d´iniziazione spirituale. Al suo quartier generale si arriva traversando un cortile dove delle bambine danzano attorno a un falò votivo, sul fuoco bruciano come offerte propiziatorie tante noci di cocco tagliate in due. Un muro del cortile è decorato da statuette di divinità sotto vetro: altarini sotto i quali sono posate ghirlande di fiori bianchi, gialli, arancioni.
Sopra il portone d´ingresso della palazzina troneggia gigantesco, in un bassorilievo di ceramica, il panciuto dio-elefante Ganesh, tutto arancione salvo la proboscide che luccica d´oro. Ai suoi fianchi due topolini verdi gli suonano il flauto. La sala dell´udienza è all´ultimo piano, sul superattico con terrazza dove vive il boss con famiglia: per arrivarci bisogna attraversare fortificazioni, cancellate, griglie, sotto lo sguardo di giovanotti vigilanti. Sull´ampia terrazza che domina la città vecchia di Mumbai, un muro è decorato con il ritratto di Hanuman, dio-scimmia guerriero raffigurato in una celebre scena dell´epopea mitologica del Ramayana, mentre vola nel cielo trasportando una montagna sulla mano.
L´attrazione più singolare della terrazza è una roccia da cui sgorga una cascata d´acqua fresca: in alto c´è il dio Shiva e un toro dorato, un tempietto a forma di fiore di loto, e poi in una gioiosa fratellanza ecumenica figure di Budda, immagini cristiane, la foto di un pellegrinaggio alla Mecca.
L´attesa del leader promette di essere lunga, altri postulanti sono in coda, sul terrazzo file di sedie di plastica indicano la consuetudine di udienze di massa, e la timorosa pazienza dei visitatori è un segno della potenza di Gawli. Per preannunciarlo si fa vivo uno dei suoi luogotenenti, Raju Shirsath: un quarantenne piccolino, dal sorriso servizievole, vestito con un completo bianco attillato sembra un barbiere di provincia d´altri tempi.
Invece Shirsath ha "esercitato" per vari anni come sicario, è sopravvissuto a varie sparatorie con le gang dei musulmani, se l´è cavata con una pallottola nella gamba. Si commuove quando ricorda un amico che non ce l´ha fatta, quello che sul lavoro si faceva chiamare Paul Newman ed è caduto sotto il fuoco nemico. Nel corso della sua carriera, stima che la guerra per il controllo dei vicoli di Mumbai abbia fatto 1.200 morti.
Finalmente arriva Gawli. Magro, minuto, vestito dell´abito bianco più tradizionale, sorride mansueto, con occhi luminosi e ispirati, sembra una controfigura giovane del Mahatma Gandhi. La testa si inchina più volte nel saluto all´ospite straniero. Per il colloquio occorre l´interprete. Gawli, 54 anni, non parla inglese e sa appena leggere e scrivere, appartiene a una casta inferiore, quella dei pastori. Da bambino quando la città dormiva lui si alzava per distribuire il latte nelle case, un lavoro che gli è servito a padroneggiare la topografia dei vicoli e della vita notturna. A tradurre ci pensa Hussain Zaidi, giornalista giudiziario e autore della sceneggiatura di Black Friday, film di Bollywood sulle stragi terroristiche di Mumbai nel 1993. Il reporter ha organizzato questo appuntamento a una condizione: durante l´incontro nessuno deve fotografarli insieme. Non si sa mai quale uso potrebbe essere fatto in futuro, di una foto con un gangster a cui si attribuiscono 40 omicidi.
«Tutte montature - risponde con un sorriso serafico Gawli - calunnie con motivazioni politiche». Lui è uscito indenne dai processi (salvo uno, tuttora in corso) e ha fatto un salto di status: è stato eletto al Parlamento locale dello Stato del Maharastra. L´aureola di Al Capone fa parte del passato, il nuovo Gawli ormai si considera un politico, parla da leader del popolo. «Sono al servizio della mia povera gente - dice con lo sguardo mite e dondolando bonariamente la testa - sono entrato in politica per un senso di umanità. In passato ho provato sulla mia pelle la disoccupazione, la miseria. Ho aderito al Shiv Shena, (il movimento nazionalista indù, di estrema destra e antimusulmano, ndr) ma mi ha deluso».
Adesso è al vertice del movimento Bharatiya Sena, uno dei tanti che si proclamano difensori delle caste inferiori. Tra questa miriade di partitini la concorrenza è aspra. «Molti di quelli che dovevano rappresentare le caste sfavorite - dice Gawli - hanno ingannato gli elettori. Sfruttano l´immagine del dottor Ambedkar, il difensore delle caste povere negli anni dell´Indipendenza, ma tradiscono il suo spirito».
L´analisi del boss mafioso è semplice. «Oggi Mumbai è piena di progresso tecnologico, i computer arrivano anche nei bassifondi, ci sono abitanti delle baraccopoli che si indebitano per comprare il motofurgone a rate. Ma non si può vivere solo di informatica. I lavori manuali hanno sofferto, le vecchie manifatture tessili hanno chiuso, la disoccupazione resta elevata». Lui si vanta di prendere voti in «tutte le comunità religiose, perché indù o musulmani nei bassi di Mumbai hanno gli stessi problemi, l´acqua e la luce che non arrivano». Tra gli inchini si conclude l´udienza, Gawli consiglia una visita alla nuova palestra che lui ha «regalato ai ragazzi del quartiere per toglierli dalla strada». In mezzo allo squallore delle baraccopoli è una fitness di lusso. I più assidui al sollevamento pesi però sono le guardie del corpo di Gawli.