loader
menu
© 2024 Eddyburg
Gianni Riotta
Il nuovo nemico
18 Agosto 2005
Articoli del 2004
Dopo aver pianto per i duecento morti di Madrid (come lo abbiamo fatto per i tremila statunitensi delle Twin Towers, e prima ancora per i duemila palestinesi di Sabra e Chatila, per i settemilacinquecento indiani di Bophal, e per tanti altri nel Medio e nel Lontano Oriente) dobbbiamo domandarci perché queste morti sono state possibili. Finchè non l’avremo capito e finchè non avremo rimosso le cause dei delitti e delle stragi questi proseguiranno: non è rispondendo alle bombe con altre bombe che renderemo sterile il grembo che partorisce i terrorismi. Il dibattito tra esperti dell’intelligence su cui riferisce Gianni Riotta (che riprendo dal Corriere della sera del 13 marzo 2004) getta qualche luce interessante.

WASHINGTON — La guerra globale apre il suo fronte in Europa con il massacro di Madrid. E la capitale Usa medita la nuova strategia. Eta? Al Qaeda? Militanti Eta rinnegati, in contatto con fondamentalisti islamici? Il primo degli attacchi contro i Paesi che hanno appoggiato il presidente George W. Bush, Italia, Gran Bretagna, Polonia o la faida basca?

Capire la cultura del nemico è il solo modo per prevederne razionalmente i disegni e su questo rompicapo gli esperti americani spenderanno il primo, di tanti week end.

«L'Eta non ha legami conosciuti con Al Qaeda e non ci sono prove credibili di collaborazione tra le reti terroristiche. Nel novembre del 2001 otto agenti Al Qaeda sono stati arrestati in Spagna e uno era vicino a Batasuna, l'ala politica basca. Secondo il giudice Garzon, parte del blitz dell' 11 settembre è stata organizzato in Spagna. Terroristi Eta si sono addestrati in Libia e Algeria. Ma il disegno di Patria Basca e Libertà è laico, il disegno di Al Qaeda, la Base, è religioso» , dice uno dei cervelli incaricati di capire come la mattanza di Madrid cambi la guerra al terrore. «Siamo ancora alle ipotesi. Esplosivo basco, indizi islamici, l'Eta che smentisce a un giornale basco simpatizzante, Gara, la comprensibile prudenza del governo» .

Conversazioni, analisi e nuovi documenti ci anticipano la prima, approssimativa, reazione americana: «Contrariamente a voi europei, noi siamo persuasi, dopo averla combattuta in mezzo mondo, che Al Qaeda non sia un'organizzazione terroristica come le Br, l'Ira o Azione Diretta.

Condensiamo per i nostri uomini l'opera del sociologo spagnolo Manuel Castells, oggi docente a Berkeley, La nascita della società in rete ( tradotto dalla Bocconi). Castells spiega il concetto di “rete”, la società non cresce più a piramide, un mattone dopo l'altro come nell'antico Egitto, ma a nodi, uno dopo l'altro, del tutto estranei ma che insieme rafforzano la ragnatela del presente. Aziende, governi e Al Qaeda funzionano così. Un gruppo basco può avere fatto un patto, magari per soldi, con operativi islamici, senza input diretti da Osama Bin Laden» spiegano a Washington.

Un esercito di lillipuziani che marcia diviso, per colpire unito il nemico.

Per anticiparne le mosse, militari, intelligence e leadership politica prendono atto che non è più possibile operare sull'assunto del professor Samuel Huntington di uno «scontro di civiltà», Islam contro Cristianità (il saggio è tradotto da Garzanti). L'idea di Huntington è smentita dall'ordine di battaglia di Al Qaeda dopo l'11 settembre: i veri nemici di Osama sono i «rinnegati» , arabi che cercano il dialogo con l'Occidente, l'ambasciata giordana a Bagdad, la polizia irachena, i quartieri residenziali in Arabia Saudita.

Combattere la guerra secondo il canone Huntington sarebbe deleterio, malgrado non siano mancate le tentazioni in questo senso al Pentagono e alla Casa Bianca. Alla luce degli attacchi di Madrid, la nuova interpretazione della guerra al terrorismo passa attraverso lo studio di un volume ancora inedito, che gli studiosi Ian Buruma, del Bard College, e Avishai Margalit, della Hebrew University di Gerusalemme, pubblicheranno da Penguin Books. Che un ponderoso tomo accademico possa diventare arma contro il terrorismo e chiave delle stragi in Europa è solo l'ennesimo, misterioso, capitolo della guerra globale. Il saggio s’intitolerà Occidentalism,

Occidentalismo, e prende lo spunto dall' opera del critico di origine palestinese della Columbia University Edward Said, da poco scomparso,

Orientalismo (Feltrinelli). Per Said «orientalismo» è il modo occidentale di guardare all'Oriente, una lente deformata di pregiudizi, paternalismo, colonialismo, proiezione di se stessi sugli altri, inferiori, immaginati languidi, sensuali, violenti e primitivi.

Buruma e Margalit argomentano che esiste però un parallelo «occidentalismo» , la confusa visione del mondo sviluppato da parte degli orientali, che nella visione militante di Al Qaeda diventa offensiva militare e culturale. L'interesse dell'approccio di Buruma e Margalit per gli strateghi militari sta nel loro contrapporsi a Huntington. Non solo non c'è scontro tra le civiltà, ma anzi l'odio che smuove Al Qaeda e le sue ragioni adotta argomenti, temi, idee nati in seno al mondo occidentale. «Gli 'occidentalisti' vedono l'Occidente come disumano, una brutale macchina efficiente ma senza anima, a cui ci si deve opporre con la violenza». Israele, e gli alleati degli Stati Uniti nella guerra all'Iraq, «sono simbolo del male, idolatri, arroganti, immorali, un cancro che solo la morte può estirpare».

«Dall'analisi di Huntington, crociata di odio Oriente contro Occidente, scaturiva un modello militare da trincea, noi contro loro. Ma dall'analisi di Buruma è evidente che i fondamentalisti usano contro di noi un arsenale di ragionamenti che spesso prende in prestito concetti e comportamenti diffusi in Occidente. E allora ecco che Al Qaeda può colpire in Spagna, come a Bali, New York, Bagdad e Riad, odiando i dittatori laici musulmani come lo Scià di Persia o Saddam Hussein al pari di Bush e Aznar» . L'origine dell' «occidentalismo», il risentimento contro la civiltà occidentale, ha ramificazioni, secondo Buruma e Margalit, nelle teorie del nazifascismo, nello stalinismo, nella Conferenza di Kyoto del 1942 che propose «la guerra per battere la modernità». Lo scrittore ungherese Aurel Kolnai, già negli anni Trenta, parlava di «Guerra contro l'Occidente» e l'intellettuale iraniano Jalal al- e Ahmad coniò il neologismo «Ovestossine» , per deprecare la velenosa influenza euroamericana nei paesi in via di sviluppo. Ma al-e Ahmad nutre la sua propaganda di idee occidentali: da Hitler ai romantici tedeschi, perfino Robespierre e Saint Just.

«La strage di Madrid, sia di matrice domestica o internazionale, costringe a rivedere la strategia militare, dalla guerra di posizione a Kabul e Bagdad alla guerra di movimento in tre continenti». Il fronte non passa più tra Ovest ed Est, ma tra tolleranza e intolleranza, tra chi, in Occidente e nei Paesi arabi, accetta il dialogo e chi invece sceglie la violenza come unico strumento politico. «Da questo punto di vista — conclude l'analista che ha accettato di dialogare con il Corriere — l'inchiesta che dirà se si tratta di Eta o di Al Qaeda è importante per la polizia, ma meno per noi dell'antiterrorismo.

Perché la percezione dell'opinione pubblica mondiale, i titoli «Ground zero a Madrid» , inglobano già la strage nei parametri di guerra all'Occidente. L'immagine che scava le coscienze è una Al Qaeda europea, o una nuova Eta che ha scelto la scala terroristica 11 settembre». Se l'analisi di Buruma&Margalit è corretta, e la prima guerra globale diventa anche in Europa guerra civile tra tolleranza e intolleranza, sarà bene non dimenticare un concetto che gli esperti militari non sottolineano: «Se il nemico ci ruba idee e cultura non possiamo assomigliargli... nell'equilibrio tra sicurezza e libertà civili, non bisogna mai sacrificare la libertà... né opporre al loro fondamentalismo il nostro. La sopravvivenza delle nostre libertà dipende dalla volontà di difenderci contro il nemico esterno, resistendo alla tentazione dei nostri leader di usare la paura per distruggere le libertà».

ARTICOLI CORRELATI

© 2024 Eddyburg