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Rossana Rossanda
Il no europeo
6 Aprile 2006
Articoli del 2005
L'Europa che ha perso, l'Europa che ha vinto, l'Europa da fare. Da il manifesto del 3 giugno 2005

Almeno su un fatto dovremmo essere d'accordo fra chi, anche fra noi, avrebbe votato sì e chi avrebbe votato no alla cosiddetta Costituzione europea: è stato sciocco credere di imporre ai cittadini un edificio istituzionale che ne determinerà l'esistenza devastando lo scenario sociale su cui avevano vissuto da mezzo secolo. Perdipiù senza consultarli prima né in corso d'opera, convinti di strapparne il consenso a cose fatte. E' sorprendente che lo abbia pensato anche la Cgil, oltretutto andando contro la Sgt. Ma Francia e Olanda hanno respinto il Trattato, la Spagna lo ha votato solo per fiducia in Zapatero, lo avrebbero respinto l'Italia e la Germania se non fosse passato in sordina nei parlamenti e non oserà sottoporlo a referendum la Gran Bretagna. Chiara lezione. Ma non sembrano averla capita le lamentazioni diffuse contro i popoli che sarebbero miopi ed egoisti. Come diceva Brecht? Il popolo ha dato torto al comitato centrale, sciogliamo il popolo. Siamo lì. Possibile che il comitato centrale europeo non si chieda il perché di un così massiccio rifiuto? Romano Prodi scriveva: siamo partiti dall'economia perché se fossimo partiti dalla politica chissà quando avremmo fatto l'Europa. Ometteva di dire che per «partire dall'economia» intendeva dare consistenza istituzionale e forza di legge alla messa in mora di quel compromesso sociale che era stato il modello europeo dopo due guerre mondiali.

Con il riconoscimento dei diritti dei «senza capitale», lavoratori in produzione e cittadini non più o non ancora in produzione (pensionati e studenti) in nome di un solo sacro principio: la libera circolazione su scala mondiale di capitali e merci. Questo è il Trattato, che conserva non più che qualche diritto politico già esistente nelle precedenti costituzioni statuali europee, compresa una idea brutalmente esclusiva invece che inclusiva della cittadinanza. Risultato: i governi di centrosinistra che hanno propiziato l'operazione e l'hanno messa in atto (abbassamento di salari e spesa sociale, precarizzazione del lavoro, privatizzazioni, ossessione antinflattiva - tutte le ricette preconizzate da Almunia o Fazio o l'Ocse) sono stati puniti. Sono caduti prima Jospin, D'Alema e Amato, sta cadendo Schroeder, sta perdendo Blair. E ora oscillano ridicolmente fra tentazioni protezioniste e tagli sociali ancora più crudeli. Oltre che arrogante, il comitato centrale europeo è anche, salvo il rispetto, piuttosto ignorante. Possibile che scopra adesso a quasi novant'anni da Weimar, a venti dal sorgere della Lega nord e a un mese dal torbido localismo che sta venendo su nel Mezzogiorno, che nel rifiuto confluisce anche un furioso populismo di destra? Sono le loro scelte che lo hanno seminato, reciproco d'una divaricazione sociale da tempo senza precedenti, di un ventaglio scandaloso fra rendite, profitti e salari. Mentre da D'Alema al Lerner di Milano-Italia al Santoro di Samarcanda si è creduto di cavalcare una spinta democratica dal basso. Almeno questi processi avessero portato a una crescita - aggiunti ai vecchi mali italici ci hanno scaraventato in piena recessione. «Studiate anatomia che il diavolo vi porti» viene a punto l'antica invettiva da rivolgere ormai alle sinistre storiche e a quella non meno arrogante nuova sinistra, che dal 1977 insegue le «nuove» figure sovversive odiando quelle che definisce vecchie e delle quali i trattati fanno strage.

Naturalmente restano in piedi imperturbabili Banca centrale, Commissione, i trattati separati, nonché un parlamento fra depotenziato e imbelle. Non ci sarà nessuna Europa democratica senza che si dia priorità, nel metodo e nel merito, ai cittadini e ai loro bisogni, senza ascoltarne anche povertà e solitudini, senza imporre una regola ai capitali e una sanzione alle rendite, senza tentar di andare insomma a politiche anticicliche, cioè alla politica tout court dopo anni di ripiegamento. L'Europa è un enorme spazio geografico, storico, economico, culturale e sociale che quelle che si vogliono sinistre devono tornare ad ascoltare con più umiltà, vergognandosi dei trattati e delle direttive Bolkestein. E cercando di mettere in piedi un modello che non faccia finta di aver superato il conflitto sociale e che il mercato non sarà mai in grado di costruire.

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