loader
menu
© 2024 Eddyburg
Alberto Statera
Il Muro settentrionale
29 Maggio 2007
Articoli del 2007
Il centrosinistra non sa parlare, forse nemmeno pensare, a nord del Po. Illuminante l’immagine di Veltroni, che scimmiotta M.L.King davanti a brianzoli attoniti, la Repubblica, 29 maggio 2007 (f.b.)

E’ Verona, la tradizionale "Bologna bianca", virata per una breve stagione al rosa, e tendente da oggi quasi al nero che simboleggia il vallo tra le due Italie, un vallo non più solo geografico, non solo antipolitico, ma antropologico. Alessandria, Vercelli, Como, Varese, molte le vittorie scontante del centrodestra. Ma Verona no, Verona è l’icona del Nord che se ne va, che evade definitivamente, che non concede più prove d’appello al centrosinistra, incapace di confezionare le «scorciatoie mentali» che hanno dimostrato di pagare tra Padania e Pedemontana: immigrazione, prostituzione, sicurezza e meno tasse, Ici e addizionali, tanti parcheggi, poca cultura.

Pochi slogan elementari, se possibile feroci, perché non catturano più nel Veneto cattolico e peccatore le «fumisterie» solidaristiche del Vescovo, «alibi» della sinistra per coprire l’incapacità di scelte esplicite e forti. Figurarsi la «redistribuzione», concetto di moda a Roma, che il leader nazionali ripetono incoscientemente anche in campagna elettorale sulle sponde del Po. «Redistribuire? Redistribuiscano a noi quelli di Roma», ci ha detto un ricco commerciante del "Listòn" veronese, faticando a capire il concetto stesso di redistribuzione.

Aveva un sindaco moderato, un avvocato ex democristiano, la ricca e moderatissima Verona, talmente moderata che per un mese Forza Italia e Udc litigarono su quale dei loro possibili candidati fosse il più moderato. Poi arrivò Umberto Bossi che senza colpo ferire convinse Berlusconi a scegliere come candidato unitario il leghista più trinariciuto del Triveneto, il giovane assessore regionale Flavio Tosi, un signore che una volta si presentò in comune con una tigre al guinzaglio lanciando lo slogan "el leon che magna el teròn". Bell’effetto sul proscenio della «leaderizzazione» locale, una specie di parodia di quella nazionale. Paga più la moderazione di un avvocato "understatement", timorato e ben visto nei centri del potere economico, che non ha fatto male nel suo quinquennio, o quella di un giovanotto, capace di fulminee «scorciatoie mentali» per chi lo ascolta? Più i faticosi ragionamenti di Prodi o i fulminanti slogan di Berlusconi? Condannato in secondo grado per violazione della legge Mancino avendo propagandato «idee razziste», la leggenda metropolitana veronese dice che quella condanna, nata da un’inchiesta del Pm Papalia, è stata il vero, grande assist per l’elezione quasi a furor di popolo di Flavio Tosi. Il che, tra l’altro, la dice lunga sul fenomeno Bossi, che guida un partito ai minimi termini e divorato dalle lotte intestine, ma - genio del parassitismo politico e tuttora massimo interprete dell’anima padana - riesce a imporre e a far vincere i candidati scelti da lui. Ciò che fa infuriare il governatore forzista del Veneto Giancarlo Galan, il quale sulla scelta leghista per Verona, che l’altra volta lui non azzeccò aprendo la strada al candidato di centrosinistra, chiese addirittura le dimissioni dei coordinatori nazionali Bondi e Cicchitto, minacciando di creare Forza Veneto, per la quale - pare ovvio - dovrebbe ormai chiedere consulenza a Bossi. In fondo, funziona ancora e sempre da tre lustri il «modello Gentilini», sindaco al terzo mandato (ora formalmente nel ruolo di prosindaco) di Treviso, quello che tolse le panchine agli immigrati e consigliò di sparargli come ai leprotti. Il paradosso è che dopo tanti anni di dichiarato razzismo del primo cittadino, Treviso risulta la città del Nord con una delle migliori integrazioni degli immigrati extracomunitari. Vuol forse dire che le «scorciatoie mentali» servono alla politica per prendere voti, ma che poi funzionano canali sotterranei di compensazione della locale classe dirigente? Dove l’avrebbero spedito Gentilini le decine di migliaia di imprenditori trevigiani, se davvero gli avesse negato la necessaria manodopera straniera? Dove s’incontrano poi «scorciatoie mentali» e business, lì è il vero regno di Bossi. Come a Monza, dove ha imposto il candidato leghista Marco Mariani, più moderato, ma più «business oriented», che ha vinto con una campagna elettorale affidata al progettista di una grande speculazione immobiliare della famiglia Berlusconi, la «Milano-4», che ora certamente si farà in quel di Monza per replicare i successi di «Milano-2» e «Milano-3», con il fattivo appoggio del governatore lombardo Roberto Formigoni, nel nuovo capoluogo della nuova Provincia brianzola, già costata alcune decine di milioni. La destra ne ha fatto un cavallo di battaglia, la gente la Provincia la vuole, ma poi si schifa per i costi della politica. Solo quella degli altri? A Monza, altro presunto luogo felice di moderazione, abbiamo assistito a un comizio allo stato di «preparola» di Gianfranco Fini su come cacciare immigrati e puttane - ovazioni - e, il giorno dopo, ad uno di Walter Veltroni, assai meno affollato, sullo «spirito di servizio» e sul sindaco santo di Firenze Giorgio La Pira, che le ragazzotte minigonnate trascinate in piazza Trento e Trieste pensavano fosse un gelato.

L’antipolitica non si celebra nella sala ovattata della Musica di Renzo Piano, con Luca Cordero di Montezemolo che sul palco legge il gobbo elettronico, si consuma al seggio di Monza o di Gorizia, anch’essa persa per insipienza dal centrosinistra, dove del Partito Democratico nulla sanno e soprattutto nulla vogliono sapere. L’antipolitica si fa nell’incrocio dello smercio europeo di droga a Verona, si fa alla «Cascinazza» di Monza, dove Paolo Berlusconi costruirà quasi un milione di metri cubi. L’ondata antipolitica nasce dalle piccole scelte leaderistiche, nazionali e locali, dei partiti in crisi, nei quali l’elettore non si ritrova più e corre alla ricerca della scorciatoia mentale, di cui Bossi, nonostante la malattia, resta uno dei migliori interpreti sulla piazza. Fosse stato per Berlusconi e Galan, gli obiettivi veneti sarebbero stati persi, mentre per Monza, quartiere milanese, l’odore del business è invincibile.

Poi, c’è l’effetto «Berlusconi mancante», che ha prodotto un calo della partecipazione del voto a sinistra. Se non c’è lui, che odio, perché devo andare a votare? Croci e delizie del leaderismo. Ma, per favore, nessuno ci racconti più, tre lustri dopo la dicci, di un Nord cattolico e moderato.

ARTICOLI CORRELATI
14 Settembre 2008
30 Dicembre 2007

© 2024 Eddyburg