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Giuseppe Chiarante
Il merito dell'alternativa
11 Novembre 2004
Sinistra
Prosegue su il manifesto del 23 luglio 2004 la discussione sulla "sinistra radicale" con un intervento dell'autorevole senatore dei DS

23 luglio 2004

Il merito dell'alternativa

Sostanza Una costituente che si qualifichi su un progetto di fondo

GIUSEPPE CHIARANTE

E'mia impressione che nel dibattito che ha opportunamente aperto, a partire dalle sollecitazioni di Alberto Asor Rosa, attorno alla prospettiva della cosiddetta «sinistra radicale» (uso anch'io, per comodità, questo termine, che in realtà propone un tema che è esso stesso per tanti aspetti da discutere) in gran parte degli interventi siano considerati come impliciti, cioè praticamente fuori discussione, due presupposti che invece sono tutt'altro che assodati. Il primo è che la crisi dello schieramento di centro-destra, e in particolare l'evidente calo dell'egemonia del berlusconismo, siano tali da indurre a giudicare scontato che tale schieramento sia destinato a uscire perdente dalle prossime elezioni politiche. Il secondo, che al primo è strettamente collegato, è che sia ormai per tutti acquisito (e non vi sia da temere che qualcuno voglia rimetterlo in forse) che sarà una larga intesa elettorale di tutte le forze del centro-sinistra e della sinistra, per intenderci da Mastella a Bertinotti, a proporre nelle future elezioni la propria candidatura al governo del paese. Pare a me che questi presupposti corrispondano più alla situazione politica esistente prima delle ultime elezioni che a quella che si è determinata dopo tale evento. Infatti l'esito delle elezioni più propriamente politiche, ossia le europee (andrei molto cauto, per le ragioni che ho esaminato sulla Rivista del manifesto di luglio, nel sopravvalutare, ai fini del nostro ragionamento, l'indubbio successo del centro-sinistra nelle amministrative), ha confermato, in contrasto con le previsioni, una situazione di sostanziale parità fra i due schieramenti: con un netto cedimento di Forza Italia a favore dei suoi alleati, ma senza un travaso di voti di un qualche rilievo da destra verso sinistra. La controprova è l'insuccesso della lista «Uniti per l'Ulivo», che non è per nulla riuscita a consolidarsi al centro, come si proponeva; mentre il lieve avanzamento complessivo dell'opposizione è stata possibile solo grazie alle liste a sinistra del cosiddetto «triciclo» che hanno raggiunto il 13 per cento dei voti. Un risultato che non è però gran cosa e che non rappresenta affatto - come diversi indizi stanno a segnalare - il pieno recupero di tutto o quasi tutto l'astensionismo di sinistra.

La contesa fra centro-destra e centro-sinistra, che elettoralmente rimangono in parità, resta dunque più che mai aperta. Ma a ciò si aggiunge il fatto che proprio perché il mutamento dei rapporti di forza è avvenuto soprattutto all'interno della maggioranza di governo ed essenzialmente a favore delle liste di orientamento più moderato, nella crisi politica che è seguita alle elezioni si è manifestato quel desiderio di «ritorno al centro» di cui tanto si è parlato. Ciò in primo luogo ad opera dell'Udc di Follini; ma anche ad opera di settori di centro dell'Ulivo, da alcuni gruppi di ex-democristiani allo stesso Rutelli. Tanto da indurre più di un osservatore a ipotizzare che qualcuno pensi, per il dopoelezioni, a una situazione in cui sia praticabile l'andreottiana «politica dei due forni» : ossia con la possibilità, per una federazione moderata neocentrista, corrispondente alla «lista Prodi», di governare preferibilmente con un'alleanza di sinistra - dai Verdi a Rifondazione- ma disponendo anche di un ricambio al centro verso destra (Follini, Casini, ecc.).

Ho voluto sottolineare questi dati di fatto non per togliere importanza alla discussione sui compiti e sulle responsabilità di quel «15 per cento» di cui ha parlato Asor Rosa (al contrario, da queste considerazioni tali compiti e responsabilità risultano, se mai, molto accresciuti), ma perché mi pare che un dibattito sulle prospettive della sinistra abbia tutto da guadagnare se è ben chiara l'analisi della situazione in cui occorre operare. Quest'analisi ci dice che il centro-destra non si sconfigge con una doppia operazione di carattere essenzialmente tattico. Ossia , da un lato, coltivando - alla maniera del «triciclo» - un neocentrismo moderato che si differenzierebbe da quello dell'attuale maggioranza solo perché darebbe maggiori garanzie di buon governo, di rigore finanziario, di rispetto dei diritti dei cittadini (l'esperienza dimostra che questo non basta a toglier voti alla destra); e d'altro lato sperando di consolidare ed estendere il consenso a sinistra attraverso una semplice somma o aggregazione o federazione di sigle, che potrebbe forse servire a dare alla cosiddetta «sinistra radicale» un maggior peso all'interno dello schieramento di centro-sinistra, ma poco inciderebbe sugli umori più generali dell'elettorato. Non credo, in sostanza, che il fatto risolutivo sia la politica delle «due gambe», una moderata e una di sinistra. Il vero problema, invece, è contrastare le tendenze di fondo che hanno favorito in questi anni lo scivolamento verso destra del senso comune e degli orientamenti di massa della società italiana. Per questo è essenziale - torno ai compiti della «sinistra radicale» - un impegno non solo programmatico ma di elaborazione politico-culturale che su temi come quelli indicati da Rossanda (le forme della rappresentanza, l'affermazione di una sfera pubblica contro la moda del privatismo, il nesso tra liberismo e capitalismo, il lavoro e i diritti, il no radicale alla guerra) riaffermi nell'opinione diffusa una visione dei rapporti sociali più consona a una politica che possa definirsi di sinistra. Ed essenziale è dare avvio a un processo costituente (in cui si ritrovino, come scrive Bertinotti, «forze politiche, loro componenti, sindacati, forze sociali, del volontariato, intellettualità diffusa, associazioni, comitati, singoli) che dia rappresentanza a chi oggi rappresentanza non ha - innanzitutto tanta parte del lavoro dipendente - e insieme offra una sponda a movimenti che non chiedono una rappresentanza politica, può non solo ridare consistenza a una «sinistra radicale», ma può incidere sugli orientamenti più generali, favorendo uno spostamento anche elettorale da destra verso sinistra. E può consentire di stabilire, tra le forze più avanzate e la sinistra moderata, un'alleanza che sia davvero qualcosa di più di un'intesa tattica, oggi ancora troppo simile a una semplice «desistenza»: una vera alleanza che è necessaria - ritorno all'analisi di partenza - sia per recuperare tutti i voti necessari a vincere sia per evitare che, vincendo, manchi quel minimo di terreno comune che è indispensabile, come l'esperienza del '98 insegna, perché un governo possa essere incisivo e duraturo.

Non credo invece che sia utile, per costringere a stare insieme democratici moderati e sinistra radicale, insistere sul maggioritario. A parte il fatto che un unione in virtù dei meccanismi elettorali è più facile a destra che a sinistra, c'è una questione di sostanza: l'esperienza dimostra che il maggioritario riduce la democrazia e la partecipazione democratica, e questi sono invece «valori» che sono coessenziali a u

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