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Massimo Giannini
Il mercato costituzionale
17 Agosto 2005
Articoli del 2004
Dure battaglie aspettano noi tutti, cittadini italiani, per correggere ciò che sarà possibile correggere e cancellare ciò che va cancellato. Il vilipendio della Costituzioni è raccontato su la Repubblica del 13 ottobre 2004

POVERA Costituzione. L'Ulivo l'aveva "sporcata", con una riforma del titolo V che ha creato il primo cortocircuito tra Stato e regioni. In queste ore il Polo sta facendo molto di peggio. La sta riducendo a un meschino baratto. La sta svilendo a un truce commercio di ricatti incrociati e di vendette trasversali. Il segno tangibile di questa miseria politica e giuridica, che richiede il milionesimo "vertice notturno" a Palazzo Grazioli, è il no con il quale An, ieri pomeriggio, ha respinto l'articolo 24 del pacchetto sulle riforme istituzionali, quello che riscrive i poteri di firma e controfirma del presidente della Repubblica. Secondo la nuova formulazione dell'articolo 89 della nostra Carta del 1948, tutti gli atti del Capo dello Stato devono essere controfirmati dai ministri proponenti.

Ma il nuovo testo prescrive alcune eccezioni. Tra queste, c'è anche il provvedimento di concessione della grazia, che il presidente può concedere indipendentemente dalla proposta e dalla controfirma del Guardasigilli. Il motivo per cui Alleanza nazionale ha votato contro la sua stessa maggioranza, rompendone il già precario equilibrio e facendo infuriare il leghista Calderoli che ora ripete "o si chiude entro la settimana o mi dimetto", l'ha spiegato con brutale candore il ministro delle Comunicazioni Gasparri: "Fa molto male la Lega ad essere irritata: quell'articolo, bocciato, avrebbe consentito a un Capo dello Stato qualunque di concedere la grazia a Sofri senza il parere del governo. Votando contro quest'articolo, lasciamo nelle mani di Castelli il potere di fare rimanere Sofri in carcere".


Il disegno di legge sulle riforme impastrocchiato dal Polo è dannoso per mille aspetti. Tra una devolution disgregativa e niente affatto federativa, e un premierato assoluto che non esiste in nessun Paese del mondo, prefigura quella che Giovanni Sartori ha chiamato la "Costituzione incostituzionale". Ma al di là dei già allarmanti risvolti generali, a risultare agghiacciante è proprio questa disinvolta strumentalizzazione di ogni singolo aspetto delle riforme. È una norma-cardine, quella sulle prerogative del Capo dello Stato, che il progetto dei sedicenti "saggi di Lorenzago" ha già azzerato a tutto vantaggio del potere cesarista del "primo ministro" e ridotto a un livello intollerabile per una repubblica parlamentare. Questa norma, ora, viene usata da un partito della coalizione per due bassi motivi "congiunturali" che, con la dialettica "strutturale" del pluralismo istituzionale e del bilanciamento dei poteri, non c'entrano assolutamente nulla.

Il primo motivo è bieco, ma è nascosto: forse An ha voluto restituire, sulle riforme tanto care al Carroccio, lo stesso sgambetto che la Lega gli aveva fatto, una settimana fa, sulla Finanziaria. È un bel modo per regolare i conti interni a un'alleanza: scaricarne i "costi" sulle istituzioni. Il secondo motivo è forse ancora più bieco, ed è palese: An non vuole che una singola persona esca dal carcere, quindi ritiene normale modificare per questo un sistema di precetti generali che riguardano e devono riguardare tutte le persone. Si può essere o no d'accordo nel merito (se sia giusto o meno che Adriano Sofri torni libero, questione sulla quale nei mesi scorsi il partito di Fini si è esercitato comunque con improprio livore). Quello che stupisce, e francamente preoccupa, è il metodo. Lo stesso già collaudato per le Cirami, e per le leggi sulle rogatorie o sul falso in bilancio.

La Costituzione è la casa di tutti gli italiani. È la Bibbia laica dei diritti individuali e collettivi, dell'uomo e del cives. È il libro delle regole che sovrintendono la democrazia, delle istituzioni che la incarnano, dei poteri che la applicano. È un edificio etico-normativo nel quale devono poter convivere leggi, costumi, culture e identità di un popolo. Questo non significa che una Costituzione sia immutabile. Non lo è neanche la nostra Carta del ?48, che non va difesa a priori, in nome di un conservatorismo istituzionale anacronistico e insensato. Ma una Costituzione deve essere coerente, e deve poter durare nel tempo. Deve poter riflettere i cambiamenti, emendandosi ma non snaturandosi.

Il centrodestra al potere, invece, sta facendo esattamente questo. Sta snaturando il regime costituzionale. Sta trasformando la casa di tutti gli italiani nel "mercato rionale" dei partiti della maggioranza. Forza Italia, partito personale di Silvio Berlusconi, vuole la repubblica presidenziale ritagliata a misura del Cavaliere? Va al mercato delle riforme, e se ne prende un pezzo. La Lega, partito di secessione e di governo, esige la devolution? Va al mercato delle riforme e se ne prende un altro pezzo. An, partito dell'ordine e della disciplina, pretende il premierato e rifiuta la grazia a Sofri? Va al mercato delle riforme, e se ne prende altri due pezzi. L'Udc prova a contenere i danni del mercanteggiamento costituzionale, fa bene dopo la bocciatura dell'articolo 245 a dire "adesso va rivisto anche il premierato", ma non può fare molto di fronte ad appetiti politici così famelici degli alleati.

Dov'è, in tutto questo, l'interesse generale? Dove sono i principi supremi, ai quali i governi di qualunque colore o i Parlamenti di qualunque maggioranza, alternandosi nel corso lungo degli anni, dovrebbero fare riferimento? Dove sono quelle che i padri del grande diritto germanico chiamerebbero le "grund-norm" del sistema, destinate a sopravvivere al continuo avvicendarsi delle legislature? Nel "pacchetto" della Cdl non c'è niente di tutto questo. C'è solo la voglia, insieme bonapartista e peronista, di prendersi le istituzioni come se fossero una merce. Insieme a quei 50 articoli stravolti e riscritti, c'è la convinzione di "comprare" interi scampoli di potere. E l'illusione di "acquistare" una garanzia sulla durata della propria avventura politica. Berlusconi ha ragione quando confessa di non avere "il senso dello Stato". Ma mente quando afferma di avere "il senso dei cittadini". Non ha neanche quello. Ha solo il senso di se stesso. E come conferma la sua gestione al tempo stesso dittatoriale e paternalistica dei dissidi interni al Polo sulle riforme, è ancora convinto che il destino della nazione coincida con il suo. L'unico precedente di una formula costituzionale di "governo del primo ministro" risale al Ventennio di Benito Mussolini. Sicuramente è solo un caso. Ma non è un bel caso.

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