«Eppure la favela più grande d'Italia è ancora lì, nonostante progetti e idee che le varie amministrazioni locali hanno messo in campo negli anni per radere al suolo le baracche. Invano, a causa dei molti interessi, primo fra tutti quello dei caporali e della criminalità organizzata».
Il Fatto Quotidiano online, 4 marzo 2017 , con riferimenti (m.p.r.)
Cronaca
Da vent'anni raccoglie i migranti che arrivano in Puglia per raccogliere i pomodori, in estate ospita quasi 3mila persone. "Vogliono lavorare, non delinquere" dice a il Fatto Quotidiano. il questore di Foggia, secondo cui "è una città alternativa da chiudere subito". Per il ministro Orlando "è qualcosa di inaccettabile". Eppure la favela più grande d'Italia è ancora lì, nonostante progetti e idee che le varie amministrazioni locali hanno messo in campo negli anni per radere al suolo le baracche. Invano, a causa dei molti interessi, primo fra tutti quello dei caporali e della criminalità organizzata, che hanno gioco facile con la disperazione lavorativa degli schiavi stagionali. Nel frattempo all'interno è nata anche una radio, che dà voce a chi voce non ne ha mai avuta.
Una città invisibile nata attorno a un gruppo di vecchie masserie e costruzioni in lamiera, cartone e assi di legno. Il ‘Grande Ghetto’ è sorto nei campi tra San Severo, Rignano Garganico e Foggia quasi una ventina di anni fa, dopo lo sgombero di uno zuccherificio abbandonato, dove trovavano riparo molti braccianti stranieri sfruttati nei campi vicini. Mentre lo Stato si voltava dall’altra parte (ma non facevano lo stesso mafia e caporali) questo ‘non luogo‘ è diventato il più grande accampamento di migranti e lavoratori stagionali d’Italia. D’estate sono quasi tremila quelli ospitati in baracche dopo aver lavorato tutto il giorno con la schiena piegata a raccogliere pomodori. Per poche manciate di euro. Fra i tre e i quattro euro per ogni ora o per ogni cassone di raccolto riempito.
La scorsa estate, dopo una visita all’accampamento, il ministro della Giustizia, Andrea Orlando l’ha definito “una città fantasma”, “qualcosa di inaccettabile”. Ecco il luogo dove si guadagnano 3,50 euro a cassone e si pagano 40 euro per dormire in una baracca tutta la stagione. Dove l’elettricità è solo quella dei generatori a benzina. Se i migranti vogliono, ad esempio, ricaricare la batteria del cellulare, pagano 50 centesimi ai bar che ne sono forniti. Nel ‘Grande ghetto’ ci sono due tipi di acqua: quella non potabile che arriva dall’Acquedotto, utilizzata tramite dei rubinetti per lavare pentole e farsi la doccia fredda, e quella delle grosse cisterne portate nella baraccopoli dalla Regione, dopo le numerose denunce di problemi gastrointestinali che continuavano a colpire i migranti. Nel periodo estivo arrivano due o tre volte al giorno e sono insufficienti per tutte le necessità, mentre d’inverno l’alternativa è quella di riscaldare i bidoni con l’acqua non potabile. Si pagano 50 centesimi per un secchio d’acqua, che in realtà è la stessa (non potabile) con cui ci si fa la doccia.
Capo free-ghetto out
Nell’aprile del 2014 l’ex governatore della Puglia Nichi Vendola presentò una delibera approvata dalla giunta sul ‘Piano di azione Rignano Garganico: capo free – ghetto out’. Ossia liberi dai caporali, fuori dal ghetto. La delibera tracciava un programma per chiudere il campo entro il 1 luglio (del 2014) e sostituirlo con cinque strutture più piccole da 250 posti diffusi sul territorio, protetti dalle infiltrazioni del caporalato tramite un accordo con la Prefettura. L’idea era quella di prevedere contributi economici per le aziende che sceglievano i propri lavoratori da liste di prenotazione, spezzando la corda in mano ai caporali. Quell’estate, però, il ghetto era ancora lì. La stagione disastrosa per la raccolta non aveva certo spinto le aziende ad accedere alle liste, ma piuttosto a ricorrere ancora una volta al lavoro nero e a rendere i caporali sempre più forti.
Roghi, morti e un piano mai finanziato
Un anno dopo, nell’agosto del 2015, si tornò a parlare dell’accampamento,
dopo la denuncia del coordinatore del dipartimento Immigrazione della Flai-Cgil Puglia, Yvan Sagnet che accusò i caporali di aver occultato il corpo di un bracciante di 30 anni, originario del Mali, morto “crollando all’interno di uno dei 57 cassoni di pomodori che aveva raccolto”. Su questo episodio non ci furono mai conferme. A maggio del 2015, fu eletto governatore della Puglia Michele Emiliano che, a febbraio 2016, depositò alla Dda di Bari una denuncia per riduzione in schiavitù. Accade negli stessi giorni dell’ennesimo rogo, il più devastante. Dopo altri 4 o 5 episodi analoghi, infatti, divampò il 15 febbraio 2016: non ci furono feriti, ma 350 persone rimasero senza un riparo. Eppure il ghetto fu ricostruito in tempi record, seminando il sospetto che quella rapidità fosse dovuta all’infiltrazione mafiosa.
Cos’è accaduto da allora? A maggio 2016 è stato sottoscritto un Protocollo sperimentale contro il caporalato, mentre la Regione ha ideato un piano da 5 milioni di euro per chiudere la baraccopoli, utilizzando strutture di proprietà dell’Ente in alcuni comuni vicini. Non se n’è fatto nulla a causa del mancato finanziamento da parte del Ministero dell’Interno. Il ghetto è rimasto lì ancora una volta e, a luglio dello scorso anno, un altro cittadino del Mali è morto nel corso di una rissa scoppiata nell’accampamento invisibile. Il 2 dicembre scorso si è verificato un altro incendio che ha interessato un centinaio di baracche, anche in quel caso senza feriti. Il 9 dicembre, invece, un rogo ha ucciso un migrante di 20 anni nel cosiddetto Ghetto dei bulgari, tra Borgo Tressanti e Borgo Mezzanone non lontano da Foggia. Giovedì notte, l’ennesimo incendio nel quale sono morti altri due migranti del Mali.
A il Fatto quotidiano.it il questore di Foggia, Piernicola Silvis, parla di una “città alternativa, una favela”, dove però i migranti “si sono raccolti per lavorare nei campi e non per delinquere”. Nel frattempo le operazioni per cercare di bonificarlo sono state difficili. “Bisogna assolutamente chiuderlo - spiega Silvis - perché ad oggi si rischia la sicurezza ogni giorno”. Le soluzioni alternative al ‘Gran ghetto’ sarebbero due strutture nei pressi di San Severo, ossia Casa Sankara e l’Arena, ma c’è molta resistenza. Dopo l’incendio di giovedì sera è intervenuta la federazione regionale dell’Usb Puglia: “Queste sono le conclusioni tragiche di anni di assenza di politiche del lavoro, in modo particolare sull’agricoltura e contro il caporalato”. Il problema, dunque, non è solo quello dell’accoglienza. Secondo l’Unione sindacale di Base “aver avviato lo sgombero del campo di Rignano senza coinvolgere i lavoratori che lo abitano è stato un atto di prepotenza istituzionale che non è possibile accettare”, mentre “gravissime sono le responsabilità del prefetto di Foggia” ed “enormi i ritardi della politica”.
L’esperienza di radio ghetto
Eppure in questi anni c’è chi il Ghetto l’ha visto con altri occhi. Nell’estate del 2012, su impulso della Rete Campagne in Lotta, è nata Radio Ghetto, che ogni anno avvia le sue trasmissioni proprio dalla ‘città invisibile’ durante i mesi estivi, quelli più difficili. Le trasmissioni sono curate anche dai braccianti africani, si discute sulle condizioni di vita nella baraccopoli, ma anche di questioni legate alla situazione dei migranti. Marco, attivista di Radio Ghetto, racconta a ilfattoquotidiano.it l’altro volto del Ghetto, dove se c’è un problema ci si rivolge alle persone più anziane che, come in un villaggio africano, sono le autorità morali. “Considerando la situazione in cui queste persone sono costrette a vivere - spiega Marco - abbiamo trovato una grande capacità di organizzazione”. Ma quel luogo è molto cambiato nel corso del tempo.
“Molti dimenticano che quello, prima di tutto, è un posto di lavoratori - continua - Sono quelli che già avevano lavorato nelle campagne negli anni Novanta e che poi erano entrati nelle fabbriche. Poi c’è stata la crisi, la chiusura delle aziende e molti di loro hanno dovuto rimandare indietro le famiglie e hanno ricominciato a vivere nelle campagne”. Tra il 2013 e il 2014, la questione migratoria è esplosa, con conseguenze dirette anche sulla presenza di queste persone nella baraccopoli. “Se si va al ghetto - continua Marco - si sentono molti accenti del Nord, perché accanto al mondo dei richiedenti asilo, c’è quello dei giovani che sono al Nord per nove mesi l’anno e poi d’estate vengono a lavorare nelle campagne. Il ghetto è lo specchio della situazione che c’è in Italia e di una serie di fallimenti”.
Perché i migranti non vogliono lasciare la baraccopoli? Hanno paura di non lavorare più nel mercato nero? “Tra qualche settimana si riparte con le liste di prenotazione (spesso pilotate) - spiega Marco - e sulla campagna di raccolta del pomodoro ci sono in ballo milioni di euro. Non credo che cambierà nulla: non li assumeranno con contratti di lavoro regolari solo perché non c’è più il ghetto. Sanno dove si trovano e li recluteranno di nuovo, ma è anche vero che queste persone non possono essere ammassate in strutture. Vanno affittate loro delle case, va loro ridata la dignità”.
Riferimenti
Un anno fa, su un'altro incendio scoppiato nella baraccopoli, scriveva il nostro opinionista Giorgio Nebbia, Il furore dei popoli evocando, come soluzione, il New Deal americano, su cui aveva già scritto su eddyburg Dalla Puglia nasce (di nuovo) il New Deal italiano?. Vedi anche l'articolo di eddyburg che integra i ricordi evocati da Giorgio Nebbia con quello del grande sindacalista pugliese, Giuseppe Di Vittorio. Sul "Grande ghetto" di Rignano vedi anche gli articoli de il manifesto del 4 marzo, ripresi in eddyburg sotto il titolo La catena.