Il manifesto, 24 ottobre 2015
Non che ci sia da stupirsi. La frammentazione dello spazio politico a sinistra è sempre rimasta tale, nonostante l’impegno generoso di tante e tanti, nonostante lo sforzo di tenere un filo che leghi le mille esperienze tra sociale senza rappresentanza e politico che non trova una forma. Nonostante il successo — modesto ma unico — dell’ultimo progetto unitario della sinistra, il risultato della lista l’Altra Europa con Tsipras alle Europee del 2014, senza ignorare la delusione e gli abbandoni che ne sono seguiti. Non c’è da meravigliarsi che le inevitabili e fin troppo contenute rotture — vista la rotta impressa dal segretario Matteo Renzi — che sono in corso nel Pd, facciano fatica a orientarsi nel campo nuovo in cui vengono trovarsi, quello che il gergo mediatico continua a chiamare sinistra radicale, e che più volentieri facciano riferimento ai momenti migliori del passato recente. E a parte la meraviglia che sicuramente avrà colto l’eccellente Professore nel vedersi considerare il riferimento di un progetto di sinistra, addirittura di una “cosa rossa”, il fatto sorprendente è che in questo quadro vien cancellata la crisi economica che ha sconvolto la scena mondiale. Come sembra sparita la crisi del welfare e della buona vecchia socialdemocrazia, che dallo tsunami della crisi è stata spazzata via.
E lo dico senza dimenticare, anzi, le mie simpatie uliviste del passato. Proprio perché ne ho seguito passo passo l’intera evoluzione, l’evocazione attuale mi sembra assurda. La mutazione del Pd impressa da Renzi è l’ostacolo più evidente. Una mutazione che si sta completando sotto nostri occhi, con l’espulsione dal proprio profilo non tanto delle radici storiche che nella comunicazione di propaganda vengono — con misura — coltivate, quanto del radicamento sociale.
È così sorprendente, questa prospettiva, che viene da chiedersi se non sia uno dei tanti giochi in corso per affondare definitivamente ogni tentativo di sinistra nel nostro paese. Una sinistra antiliberista, che punti a proteggere i giovani, i pensionati, le donne, i lavoratori, dalla violenza dell’attacco sociale, una sinistra che vede nel governo Renzi l’interprete fedele, anzi, creativo — del disegno liberista delle élite europee. Come si fa a pensare ad alleanze con chi taglia la sanità pubblica? Come non vedere prospettive diverse in Europa, per esempio in Portogallo?
Certo, ogni proposta è legittima, in un terreno che non vede ancora in campo un progetto comune, un terreno che non ha nome, tanto che si ritrova a essere identificato con un richiamo che nella versione più benevola appare nostalgica, come “cosa rossa”. E non si può certo immaginare che ci sia un’unica prospettiva, l’esatto contrario dell’idea in cui ci siamo spesi in tante e in tanti. L’idea di un mettersi in marcia, di avviare insieme un progetto che nel camminare prende forma. Un mettersi in moto che ha bisogno di un avvio, un inizio. Un inizio fin troppo atteso.
Abbiamo discusso, nei mesi scorsi, della vita a sinistra. La vita, se c’è, a un certo punto prende forma, vive appunto. Credo che continuare a trascinare la decisioni di partenza di riunione in riunione sia un gioco mortale. Si potrebbe anche chiamarlo gioco delle tre carte, vedo e non vedo, ci sono e non ci sono. È divertente, ma solo per chi tiene il banco. Che non è nessuno dei partecipanti. E il banco sono il governo, o l’Europa, o il liberismo, fate voi. Che a giocare ci siano solo uomini non è un dettaglio irrilevante.