Sarà pure un impianto vecchio, obsoleto, antiquato, quello sloveno di Krsko, come lo era certamente quello sovietico di Chernobyl. E sarà pure ingiustificata la paura. Ma istintivamente si stenta a credere, tanto più con il ricordo drammatico dell'86 ancora nella memoria e negli occhi, che "al momento non c'è pericolo di contaminazioni", come recitano i primi comunicati ufficiali.
"Al momento", si precisa. Anche allora non c'era pericolo, la situazione era sotto controllo, la nube radioattiva sarebbe stata fermata. E invece, silenziosa e invisibile, dilagò in tutta Europa, arrivò fino all'Italia e oltre, scavalcando confini e barriere doganali.
Quanti furono effettivamente i morti di Chernobyl? Quante sono le vittime di quel disastro? E quanti bambini, nati successivamente, ne portano ancora i segni nel proprio organismo, sulla propria pelle, nel proprio animo? Nessuno sa dirlo con certezza. La maledizione biblica del nucleare continua.
Auguriamoci che questa volta non sia così. Che la portata dell'incidente sia circoscritta e limitata. Che l'allerta possa rientrare rapidamente, come annuncia la nostra Protezione civile. Ma in pieno revival nucleare quello che arriva da Krsko è più che un segnale d'allarme: è un monito, un richiamo a pensare a riflettere.
Non c'è nulla di ideologico in tutto questo, se non nel senso etimologico delle idee, delle valutazioni e delle scelte che la questione comporta. Il nucleare non è un tabù e non può essere neppure un totem da adorare come un feticcio.
Non occorreva aspettare il "campanello" di Krsko per sapere che, anche nel caso di impianti più moderni ed efficienti, le centrali nucleari non sono né sicure né tantomeno economiche. Non sono sicure in rapporto ai rischi altissimi che un qualsiasi incidente può produrre e ancora meno lo sono in rapporto allo smaltimento delle scorie. E non sono neppure economiche, queste cattedrali dell'atomo, perché richiedono enormi investimenti governativi per la costruzione e la manutenzione, la sorveglianza degli impianti, la sicurezza delle aree circostanti.
È vero: la crisi globale incalza, il petrolio è arrivato alle stelle, l'economia mondiale ristagna o regredisce. Ma solo il cinismo della disperazione può indurre alla fuga dalle responsabilità. Non c'è alibi per il ricatto nucleare. L'umanità può anche rassegnarsi a fare il conto dei costi e dei benefici, ma deve calcolare a parte il prezzo dell'autodistruzione, il rischio di scomparire per crescere, il pericolo mortale dello sviluppo.
Non è un caso, del resto, che negli Stati Uniti non si costruiscono più centrali atomiche da vent'anni a questa parte e che in Europa i nuovi impianti si contano sulle dita di una mano. La stessa enfasi con cui viene invocato oggi il mito del "nucleare sicuro", il cosiddetto nucleare di quarta generazione che nessuno sa dire se e quando arriverà mai, rivela la mancanza di sicurezza attuale. O quantomeno, l'insufficienza del livello di sicurezza.
La verità è che la crisi energetica mette in discussione il nostro modello di sviluppo economico-sociale, il paradigma dei nostri consumi e anche dei nostri costumi: per dire, la tendenza collettiva allo sperpero, alla distruzione delle risorse naturali, al saccheggio sistematico del patrimonio ambientale. E perfino l'emergenza rifiuti, a Napoli e in tutto il Mezzogiorno d'Italia, ne è un prodotto e un riflesso. Una società che consuma troppo, a spese soprattutto delle generazioni future; un mondo in cui una metà fa la dieta macrobiotica e l'altra metà fa la fame o muore letteralmente di fame; un pianeta dove si combatte contemporaneamente contro l'obesità e contro la carestia.
Eppure, per ridurre la dipendenza dal petrolio e dagli altri combustibili fossili che inquinano l'atmosfera, provocando il surriscaldamento della Terra e il cambiamento climatico, la prima fonte energetica è già pronta, a portata di mano, disponibile: ed è il risparmio energetico, le piccole buone abitudini quotidiane, ma soprattutto la tecnologia per ridurre i nostri consumi. E poi la ricerca, compresa quella sul "nucleare sicuro"; lo sviluppo delle fonti rinnovabili; la riscoperta del sole e del vento che madre natura prodiga gratuitamente a tutta l'umanità.
Speriamo davvero che sia soltanto un segnale quello che viene da Krsko. Ma in ogni caso non sottovalutiamolo. Non lo rimuoviamo dalla nostra coscienza collettiva. È un richiamo alla ragione, alla consapevolezza, alla responsabilità. E potrebbe anche essere provvidenziale.