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Franco Girardi
Il dibattito continua
12 Maggio 2005
Scritti ricevuti
Un intervento sulle questioni sollevate in Eddyburg, a proposito di consumo e città, pervenuto l’11 maggio 2005

FGirardi Il dibattito continua

Un intervento sulle questioni sollevate in Eddyburg, a proposito di consumo e città, pervenuto l’11 magio 2005

Caro Eddyburg, il dibattito sui temi urbanistici continua, anche se non nella forma razionale, ordinata e costruttiva, come forse ci piacerebbe. Eddy Salzano lo alimenta con un suo intervento al Seminario “I protagonisti del consumo e le trasformazioni del territorio…” / Sassari 19.04.05. Il tema del Seminario induce Eddy a ragionare su due argomenti (percorsi o echi, come lui dice). Il primo considera il rapporto, in genere, tra città e consumo (una categoria, come si sa, fondamentale della scienza e della vita economica); il secondo riguarda, più particolarmente, il rapporto tra la città odierna, che ha preso la forma di territorio urbanizzato, e il mercato ( altra fondamentale categoria economica, oggi fin troppo enfatizzata e pervasiva).

L’intervento, pubblicato in Eddyburg 20.04, mi suggerisce, a mia volta, alcune considerazioni, che espongo nello spazio di una breve nota.

Quanto al primo argomento si deve riconoscere che il consumo, specialmente nella forma di “consumo comune”, è un fattore necessario della città, al pari delle altre “funzioni urbane” citate nell’intervento. Non penso, però, che sia fattore sufficiente e originario, e che vadano prese le dovute distanze dalla nota tesi della americana Jane Jacobs, la quale vedeva nello scambio economico (di cui il consumo è parte costitutiva) la ragione prima e fondante della città: tesi che, a mio giudizio, è da confutare, perchè la città, fin nella sua origine, è fenomeno più profondo e complesso, anche dal solo punto di vista economico. Ma, dalla tesi della signora americana si può trarre un utile suggerimento. Il suo libro. per sua stessa ammissione, voleva essere una accusa contro i planners e la pianificazione urbanistica del suo paese e del suo tempo, e una difesa della spontaneità e complessità della città. Il suggerimento è che, oggi, mentre l’urbanistica è fatta segno di accuse ben più pesanti e pressanti, la lettura critica di quel libro può giovare ancora agli urbanisti del nostro tempo e del nostro paese, per riconoscere gli errori, ma anche le molte ragioni del loro mestiere

Una mia seconda considerazione, che metto in forma interrogativa, riguarda un problema, forse non irrilevante, di storiografia urbanistica. Mi domando se lo svilimento della “piazza” da luogo privilegiato del “consumo comune” e delle altre funzioni urbane, a mero spazio di traffico non sia il segno di una mutazione più generale e radicale, che si verifica con il nascere della città moderna borghese. Nella città antica (come insegna H. Arendt) la vita pubblica della polis tiene un ruolo primario accanto a quella privata dell’oikos; lo spazio pubblico (agorà, foro) giuoca un ruolo compositivo determinante nel configurare la struttura urbana. Nella città moderna prevale la vita privata, e lo spazio pubblico (essenzialmente stradale) si riduce a un ruolo meramente accessorio e funzionale di quello privato. Il quesito, forse, non è irrilevante quando sai parla e ci si interroga di una possibile prossima città postindustriale.

uanto al secondom argomntoQuanto al secondo argomento (la città-territorio, le risorse e il paesaggio) penso che una condizione concettuale radicale, per invertire e superare il consumo indefinito della risorsa territoriale, e del paesaggio che la esprime, sia quella di considerare il territorio, e in genere le cose del mondo che ne fanno parte, non come “risorse” da consumare in maniera più o meno selvaggia , o civile e oculata, ma di pensarli invece come “soggetti”, con una loro dignità e ragione d’essere simile, se non proprio pari all’uomo. In sostanza si tratterebbe di passare dal concetto di sfruttamento a quello di convivenza, e da un atteggiamento di dominio a un sentimento di amore. La lezione viene da San Francesco, ed è forse di tono un poco rivoluzionario. Ne ho scritto e mi permetto di rinviare al numero zero, genn.-marzo 2004 di “Relazioni solidali”, rivista del terzo settore.

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