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Giovanni Valentini
Il decreto-mostro contro l’ambiente
6 Aprile 2006
Articoli del 2005
Ci vorrà una bella fatica, e molta determinazione, per aggiustare tutto quello che stanno rompendo. Da la Repubblica del 23 novembre 2005

Più che una deregulation ambientale, rischia di diventare uno smantellamento programmatico, una demolizione totale della normativa sulla difesa dell’ambiente e della salute, come quelle che si dovrebbero fare per i cosiddetti ecomostri e invece non si fanno. Il decreto legislativo adottato dal governo – seppure con una delibera che viene definita preliminare - per "riformare" l’intera disciplina della materia non è soltanto una "forzatura istituzionale", come l’ha definito già il Wwf. E’ il tentativo di un colpo di mano contro un patrimonio che appartiene alla collettività e ancor più alle generazioni future; contro una cultura ambientalista che non è un’esclusiva dei verdi o della sinistra, né tantomeno del fronte ecologista italiano, bensì un’acquisizione di tutta l’Europa civile, delle società più evolute e moderne, per la semplice ragione che è il fondamento della nostra sopravvivenza.

Con questo Provvedimento Unico che equivale a un editto, a un proclama, a una legge di guerra, il centrodestra pretende di scavalcare contemporaneamente il Parlamento e la pubblica opinione, la comunità scientifica e quella culturale, per imporre d’autorità una "Magna Charta" delle norme ambientali che verosimilmente è destinata a diventare carta straccia, anche per effetto delle contestazioni che provengono in particolare dal ministero dell’Economia. In attesa che il centrosinistra vinca magari le elezioni e torni al governo, il decreto avrebbe gli effetti di un condono generalizzato e mascherato. Se proprio non vogliamo parlare di legittimazione dell’inquinamento, diciamo allora che contempla una licenza o addirittura un incentivo a inquinare.

Avranno pure molte colpe gli ambientalisti, per tanti eccessi ideologici e verbali, per una certa inclinazione congenita all’allarmismo e al catastrofismo. E anche sulle pagine di questo giornale, non abbiamo mancato perciò di criticarli. Ma loro, almeno, non fanno speculazioni immobiliari a danno dei piani regolatori, non commettono abusi edilizi, non compiono scempi urbanistici, non inquinano né l’aria né l’acqua, non distruggono la natura, non riciclano rifiuti tossici. Questa volta, comunque, hanno mille ragioni per dire che il provvedimento del governo – per com’è stato formulato - non è emendabile, respingendolo sia nel metodo sia nel merito.

Sul piano del metodo, la questione appare tanto paradossale quanto invereconda. Il Parlamento, o meglio la maggioranza di centrodestra, approva alla fine del 2004 una legge delega con cui assegna al governo la responsabilità di "riordinare" la normativa ambientale, affidando materialmente il compito a un Comitato di 24 "saggi" nominati dal ministro dell’Ambiente. Lo stesso ministro è tenuto a consultare le parti interessate, e cioè gli imprenditori, i sindacati, le associazioni ambientaliste e quelle dei consumatori, attraverso il Cespa (Consiglio economico sociale politico e ambientale). Ma, come in un classico vaudeville, il coordinatore di questo organismo - presieduto dal medesimo ministro - è il suo capo di gabinetto che coordina anche il comitato dei 24 esperti, di cui peraltro fa parte.

La delega in bianco stabilisce inoltre che il governo deve fare tutte queste consultazioni prima di "predisporre" (sinonimo di preordinare, preparare, approntare) i decreti legislativi sulle singole materie. Badate bene: decreti legislativi, al plurale, uno per ogni materia. E cioè, rifiuti, bonifiche, danno ambientale, procedura di "Via" (valutazione di impatto ambientale), "Vas" (valutazione ambientale strategica) e quant’altro. Ma a parte il fatto che i 24 "saggi" sono stati interpellati sporadicamente e alla fine si sono pronunciati per via telematica, fra le parti sociali è stata consultata soltanto la Confindustria, mentre le associazioni ambientaliste e quelle dei consumatori attendono ancora una convocazione del ministero.

Si arriva così all’approvazione "in via preliminare" del decreto legislativo, un testo unico di circa 700 pagine che contiene la summa ambientale del governo Berlusconi, su cui alla fine le competenti commissioni parlamentari dovranno esprimere un parere non vincolante. E se non faranno in tempo, pazienza: vale il principio del silenzio-assenso. Poi, eventualmente, il governo avrà 45 giorni per controdedurre e motivare, prima di ratificare il provvedimento e presentarsi alle elezioni con quest’altro obiettivo raggiunto (insieme a "meno tasse per tutti", "pensioni più alte per tutti", "una casa per tutti" eccetera eccetera).

Nel merito, con un gioco di prestigio che il Wwf chiama "artificio nominalistico", l’editto ambientale prevede di fatto l’eliminazione della categoria dei rifiuti, com’è definita e regolata dalle direttive europee (e infatti, su ricorso dell’associazione presieduta da Fulco Pratesi, la Commissione di Bruxelles aveva già aperto una procedura d’infrazione a carico dell’Italia). Adesso viene introdotta la possibilità di denominare gli scarti delle produzioni come "sottoprodotti" o come "materie prime seconde", a cui naturalmente non si applicherà più la normativa specifica: in questo modo, milioni di tonnellate di (ex) rifiuti non sarebbero più tali, dando via libera a un gigantesco smaltimento incontrollato senza che nessuno possa più verificare se e quali materiali saranno riutilizzati o smaltiti secondo le garanzie previste dalla disciplina precedente.

Quanto alla bonifica dei siti industriali, se il testo del decreto non verrà modificato, entrerà in vigore una nuova regola: chi inquina, non paga. E anzi, l’inquinatore non risponderà più del danno prodotto né degli altri reati connessi: sarà sufficiente aprire una trattativa con l’amministrazione pubblica per arrivare a una specie di "patteggiamento". Come se l’automobilista che passa con il rosso, investendo un pedone sulle strisce, riuscisse a eludere la multa e la pena facendo retromarcia d’accordo con il vigile. Ma il peggio è che il livello di rischio cancerogeno considerato tollerabile, senza essere neppure subordinato all’impossibilità di evitarlo, scende al rapporto di uno ogni centomila abitanti, mentre negli Stati Uniti è di uno ogni milione.

Per i casi pregressi che appartengono ormai alla storia nazionale delle lotte ambientaliste, come quelli di Porto Marghera, Riolo, Manfredonia o dell’Acna di Cengio, non sarà più individuabile con certezza il responsabile dell’obbligo di bonifica. Basterà un passaggio di proprietà – anche fittizio - delle aziende inquinatrici, per farlo decadere. Ecco perché gli ambientalisti parlano di un "condono mascherato", invocando una radicale correzione del provvedimento.

Resta poi da vedere come si comporterà il Parlamento e in particolare le commissioni che dovranno pronunciarsi sul testo definitivo. Con un soprassalto di responsabilità e magari di orgoglio, in teoria gli onorevoli deputati e senatori potrebbero anche decidere di revocare la delega al governo. Ma, dopo l’approvazione della devolution che attribuisce alle Regioni le competenze esclusive sulla salute, bisognerà aspettare soprattutto la risposta dei Governatori che finora non hanno partecipato ad alcuna consultazione.

Postilla

Quale legge o circolare hanno mai stabilito che i Presidenti delle regioni si chiamino Governatori?

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