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Loris Campetti
Il cuore del problema
5 Aprile 2009
Articoli del 2009
“Ha ripreso la parola una grande forza, che ha ancora una rappresentanza sociale ma non ha più una rappresentanza politica”. Il manifesto, 5 aprile 2009

Cos'è la Cgil? «L'unica opposizione disponibile», «un ammortizzatore sociale», «un presidio democratico»? Forse sono vere tutte e tre queste risposte, suggerite dalla straordinaria manifestazione che ha ridato a Roma e al paese un volto umano. Un gruppo di operai piemontesi canta «I treni di Reggio Calabria», la canzone che Giovanna Marini ha reso famosa. Un pensionato di «Roma sud» si avvicina, si inserisce nel coro e modifica la conclusione: «Alla sera Roma era trasformata/ sembrava una giornata di mercato/ quanti abbracci e quanta commozione/ gli operai hanno dato una dimostrazione». E aggiunge, puntando i cantori con l'indice: «Voi partite e noi restiamo con Alemanno sindaco».

Una grande giornata sindacale, la testimonianza di una società del lavoro sconfitta ma non pacificata. Tartassata prima dal liberismo sfrenato e poi dalla sua implosione, ferita da leggi che cancellano diritti conquistati in un secolo di lotte, privata dei contratti, privata del voto sugli accordi, privata del Testo unico sulla sicurezza, minacciata nel diritto dei diritti: quello di sciopero. In piazza, con la Cgil, la società del lavoro e quella del non lavoro, di chi vorrebbe lavorare e invece è a salario ridotto in cassa integrazione, oppure il contratto gli è scaduto, oppure dovrà trasmigrare con la sua laurea in tasca a Parigi o a Barcellona per provare a costruirsi un futuro. Una società del lavoro, del non lavoro e di chi ha lavorato quarant'anni per stringere in mano una pensione da fame, o solo una miserabile social card. I pensionati sono i più pazienti tra gli italiani, sono tra i non molti che continuano a votare e a votare a sinistra, o per quella che vorrebbero fosse una sinistra ma non lo è più.

Ci sono gli studenti, che un futuro non riescono a immaginarselo perché gli viene negato, non dalla crisi ma dalle risposte berlusconiane, da politiche economiche e sociali che non curano le malattie di oggi e preparano un domani ancor più malato. Studenti che neanche più i cortei riescono a fare senza essere bastonati, come del resto è capitato anche agli operai dell'Alfa di Pomigliano, o a quelli milanesi dell'Innse.

Una grande forza, che ha ancora una rappresentanza sociale ma non ha più una rappresentanza politica, ha ripreso la parola. Ma tante parole d'ordine «anticicliche» che spiegano come si potrebbe uscire dalla crisi in modo solidale non trovano sponde, in Parlamento e fuori. La sinistra è «in» libertà, e come dice un delegato africano della Fiom emiliana, «per rifare una sinistra qui in Italia bisogna ripartire dal lavoro, da questa gente e da quella che non c'è perché è delusa». Assente il suo compagno di corteo, emiliano purosangue, e cerca di spiegare al cronista un concetto fin troppo chiaro: «Lui vuole dire che senza centralità del lavoro non può esistere alcuna sinistra».

Centinaia di migliaia di uomini e donne in cammino, di tutte le età, con la pelle di tutti i colori. Mai si erano visti tanti migranti in una manifestazione nazionale per il lavoro, i diritti, la giustizia sociale. Ci sono gli africani della Campania che arrivano di corsa al Circo Massimo sostenendo lo striscione «uniti contro la camorra e il razzismo», vicino a loro il sindaco tricolorato di Pompei da un lato e Antonio Bassolino dall'altro. Tanti slogan, tanti pezzi di corteo contro la criminalità organizzata che si somma alla criminalità finanziaria (e a quella politica). Ci sono gli indiani di Reggio Emilia che nei cortei della Cgil sono diventati habitué. Ci sono i magrebini bresciani che fanno marciare le fonderie dei loro padroni leghisti e ci sono anche i neri che fanno il cordone di testa del corteo proveniente dalla stazione Ostiense, sono quelli che proteggono il segretario Guglielmo Epifani da chi vorrebbe abbracciarlo, salutarlo, stringergli la mano, e sono tanti. Si può dire che la Cgil è diventata un po' più colorata, anche dal palco si ricordano insieme i caduti sul lavoro - uccisi dal primato del profitto e dal servilismo cinico e classista del governo nei confronti del padronato - e i caduti del mare, chi muore cercando di raggiungere un lavoro e un futuro nel nostro «ricco» mondo. I morti sul lavoro rappresentano per entità l'unico primato italiano in Europa, quelli del mare affogano in acque internazionali, vengono da chissà dove, sono cibo per pesci.

La giornata inizia all'alba, per molti provenienti dalla Sicilia o dal Trentino è cominciata il giorno prima. I torinesi che bevono il quarto caffè sono a pezzi, «su quattro treni che ci hanno dato tre erano quelli dei pendolari, hai presente? Quelli su due piani», brontola un dirigente della Fiom con il braccio rotto ma per fortuna non dai manganelli della polizia, rimasta discretamente al margine. Quando i poliziotti tentano di fare un cordone in testa a un corteo, un corteo che arriva da un'altra strada li scavalca e si ritrovano accerchiati dalle bandiere rosse. Arrivano fiumi di uomini e donne dall'Esedra, dal Tiburtino, dall'Ostiense, da via Gallia, dalla Sapienza, da piazza dei Navigatori. Arrivano da ogni regione, città e paese d'Italia, sono l'Italia che non si rassegnano ai Berlusconi, ai Brunetta (il più fischiato), ai Sacconi. Non si rassegnano all'idea che possa diventare Fini il simbolo della democrazia, non ci credono. Un operaio lombardo alza un cartello che se la prende senza giri di parole con chi cambia casacca. C'è scritto «Zipponi vaffanculo», a qualcuno non è piaciuto il passaggio dell'ex dirigente sindacale da Rifondazione ad altri lidi, l'ultimo quello dipietrista. Sono tanti i politici che si affollano nel ridotto del palco, premono da sotto per salire; per vedere o per farsi vedere? Le elezioni sono vicine, i posti pochi, la concorrenza sfrenata.

Nazional-popolare, come tutte le grandi manifestazioni di popolo con tanto di Fratelli d'Italia. Ma anche un ottimo Luis Bacalov, i Modena City Ramblers ma anche Shapiro che auspica per tutti «E' la pioggia che va/ e ritorna il sereno». Non basta però una rondine a far primavera, lo sanno i minatori sardi costretti anticipatamente alla pensione e arrivati al Circo Massimo utilizzando tutti i mezzi di locomozione, automobile, treno, pullman, nave. E gambe. Lo sanno le maestre e i professori precari «da sempre, e se seguita così per sempre». La strada per la liberazione è lunga, piena di buche e impreviste curve a gomito che come nel gioco dell'oca ti riportano al punto di partenza. A Berlusconi. A una sinistra che questa marea va cercando, che sarebbe anche disposta a ricostruire.

E' difficile non pensare al 23 marzo 2002, un altro Circo Massimo, un'altra speranza, un altro segretario della Cgil. Quando Sergio Cofferati entra nel corteo dell'Ostiense, dalle parti di piazza Albania, e abbraccia con calore Gugliemo Epifani, molti applaudono, qualcuno si irrigidisce, una voce velata - accento friulano e cadenza da cantiere navale - si rivolge al segretario di oggi della Cgil: «Guglielmo, non fare come lui». Ma il rumore degli altoparlanti sui furgoni è troppo forte, quella supplica velata la sentiamo in pochi.

Forse saranno un po' meno di sette anni fa i lavoratori di ogni tipo, gli studenti, i disoccupati, i pensionati; non saranno tre milioni (2 milioni e 700 mila per gli organizzatori, mentre stime provocatorie di regime parlano di 200 mila, o di «una scampagnata», o di «uno sciopero contro la pioggia») ma sono pur sempre una marea. E i tempi, in sette anni, sono cambiati e non in meglio. Il 23 marzo del 2002 in tanti avevano visto nella Cgil e nel suo segretario trascinatore un futuro possibile per la sinistra italiana, acciaccata anche allora nonostante i forti movimenti contro la guerra e il liberismo. Poi le cose andarono come andarano. Oggi tutti si sono fatti più prudenti, i sentimenti sono importanti e le passioni non vanno sciupate. Ma «da qui si può ripartire», si dice, e ci dice, l'operaio marchigiano di padron Merloni che per prendere i soldi da due stati vuole chiudere la Indesit a Torino e portare il lavoro in Polonia. A Roma, questo tipo di Fabriano è venuto per difendere il suo lavoro e la sua dignità. Come aveva fatto il 23 febbraio quando in piazza, ad aprire la pista per una ripresa del movimento sindacale generale erano stati i metalmeccanici della Fiom e i lavoratori pubblici della Fp. In tanti, ieri, hanno ringraziato questi precursori della grande giornata di lotta della Cgil. Che «deve reggere, non farsi spaventare dal fatto che Cisl e Uil si sono imbarcati sul carro dei vincitori». Lo dice un postino di Rovigo, ma sono in tanti a essernr convinti. Buon 5 aprile a tutti.

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