Tutto può essere detto di quel documento, tranne che lo spirito ne sia rifluito nel testo di riforma ora circolante. Sotto questo punto di vista, ma non solo, questo testo rappresenta una drammatica occasione perduta.
Nei molteplici elementi di critica cui si presta, ne sottolineerò solo un paio di carattere generale, anche in considerazione del carattere non definitivo del testo stesso.
Innanzi tutto la totale mancanza di innovazione dell'impianto generale, percepibile fin dal lessico adottato: la struttura del Mibact vi appare addirittura appesantita a livello centrale e direzionale in senso lato. Scarsissime le aperture verso un riequilibrio di competenze a favore dei territori, fondato su di una maggiore collegialità che la Commissione aveva sollecitato. Insufficiente e non sistemica l'evoluzione verso una suddivisione per funzioni e non per temi.
Il compitino della riduzione di poltrone reso obbligatorio dalla spending review, è così ottenuto con il minimo sindacale dell'accorpamento di alcune delle Direzioni Regionali.
Ciò detto, però, appare per lo meno stupefacente lo spirito di molte delle critiche espresse in queste ore, in generale improntate al semplice mantenimento dello status quo antea, con forti accenti di autoconservazione corporativa.
Come se il problema non fosse quello di ripensare alle fondamenta una struttura e un sistema che evidentemente non funziona più, ma di tutelare ciascuno il proprio orticello. Senza cioè ripartire da un'analisi non più procrastinabile di quanto e perchè in questo sistema non sia più adeguato al mantenimento e alla gestione di una delle infrastrutture fondamentali dello Stato: il patrimonio culturale.
Nella difesa, totalmente autoreferenziale, di talune Direzioni Generali, oltre alla miopia, gravissima sul piano culturale, di non considerare l'intero sistema nel suo complesso e non solo, e come è stato sinora, come somma di corpi separati (e addirittura in competizione fra di loro), tale atteggiamento è figlio dell'incapacità di analisi e di visione su ciò che è avvenuto negli ultimi decenni. Il fallimento della pianificazione paesaggistica sul piano nazionale, le debolezze e gli errori sull'archeologia preventiva (siamo l'unico paese in Europa che la applica solo alle opere pubbliche, in ossequio ultraliberista al diritto di proprietà), l'inconsistenza e il clientelismo che connota le attività legate al contemporaneo "guidate" dal ministero, sono solo alcuni dei casi più eclatanti dell'incapacità di elaborazione di politiche culturali degne di questo nome da parte dell'apparato centrale del Mibac.
Lo sapevamo da tempo, ma questa vicenda ci restituisce un quadro spietato di un paese (e in particolare di un paio di generazioni di classi dirigenti) che semplicemente ha smarrito il senso della propria funzione: quella di mettere al servizio dell'innovazione culturale e dell'emancipazione sociale uno straordinario patrimonio, lasciandolo invece ostaggio, per colpa della propria inadeguatezza culturale, di logiche altre, prevalenti perchè ben più consapevoli e organizzate.
Dum Romae consulitur...
L'articolo è pubblicato contemporaneamente su L'Unità on line, "nessundorma"