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Furio Colombo
Il coraggio di ascoltare
18 Febbraio 2007
Articoli del 2007
Su Wicenza, il commento più convincente. Politicamente e "urbanisticamente". Da l'Unità, 18 febbraio 2007 (m.p.g.)

Eccola Vicenza, nelle due telecronache dirette di Sky e di La7, una normale città europea che ha una cosa da dire e la dice per le strade perché nessun´altra occasione di ascoltare le ragioni dei cittadini è stata creata. Questo, il presunto dovere di silenzio dei cittadini, è l´unico aspetto non europeo e "anti-americano" della manifestazione di Vicenza. In che senso anti-americano? Ma perché è stata rifiutata l´idea profondamente americana che la politica è sempre locale e che niente si può fare in una città senza il consenso dei cittadini.

Qui si rovesciano e si mordono la coda due luoghi comuni opposti. Il primo dice: la politica estera dell´Italia non può essere decisa dai cittadini di Vicenza. Ma Vicenza non vuole decidere la politica estera, vuole decidere i quattrocentocinquantamila metri quadrati del suo territorio a un chilometro dal suo centro storico palladiano. Qui il primo e il più ragionevole problema non è se dire no o sì alla richiesta americana.

Certo, quella è una competenza del governo. A Vicenza spetta però, proprio nella migliore tradizione americana, stabilita fin dai tempi dei "Federalist Papers" (gli scritti dei padri della Costituzione americana) di partecipare alla discussione e alla decisione su quei quattrocentocinquantamila metri quadrati da occupare con strutture che avranno a che fare, molto prima che con la politica del mondo, con le falde acquifere di Vicenza, con il centro storico di Vicenza, con il traffico di Vicenza, con la famosa "compatibilità" ambientale del nuovo richiesto con il "vecchio" che esiste già. Ovvero: da un lato la vita dei cittadini, dall´altro la qualità storica unica al mondo della città palladiana. Ad essa i padri fondatori degli Stati Uniti si sono ispirati costruendo la loro capitale. Come è noto Washington è tutta disegnata a immagine e somiglianza del Palladio.

Dunque non si tratta di gettare il problema nel mezzo della immensa discussione sulla pace e sulla guerra, benché in modo naturale e inevitabile la folla che ha partecipato sabato a Vicenza alla manifestazione sia stata una folla di pace. Si tratta di una questione in apparenza più piccola ma che in realtà è il cuore della vita democratica. La questione è: contano i cittadini nelle decisioni che li riguardano e li coinvolgono direttamente e che cambieranno la loro vita?

In questo senso non sono d´accordo con il dire che tutto ciò «non è una questione di piano regolatore». Perché quando non si ascoltano i cittadini neppure sul piano regolatore, che vuol dire la vita vicino a casa, è molto difficile che li si ascolti su grandi controversie lontane.

Nessuno può dire a un cittadino o a una cittadina di Vicenza: «Scusi ma lei non sa di che cosa stiamo parlando». Perché lui o lei lo sa meglio di chiunque altro ed è stato un grave errore non dare loro la parola. Infatti l´amicizia, l´alleanza, la continuità dei rapporti e le vicende internazionali non si esprimono dicendo: «O ci date quei quattrocentocinquantamila metri quadrati qui, al Del Molin o si rompe il nostro legame storico». Ci dicono che tra amici è naturale che si intavolino incontri e discorsi per decidere dove, come, con quali conseguenze, con quale impatto delle nuove costruzioni e persino con quali criteri urbanistici e con quali architetti.

* * *

Dunque, come si vede, Vicenza ha fatto da scudo e da pretesto per confondere insieme il rispetto di una città, il diritto dei cittadini, i doveri e le responsabilità del governo, il rapporto con gli Stati Uniti, la presenza italiana in Afghanistan e le tensioni nel mondo. Mentre guardi sfilare le decine di migliaia di persone pacifiche giunte da tutta Italia per dare una mano al diritto dei vicentini di essere ascoltati è inevitabile confrontarsi con alcune riflessioni.

La prima è: mai, forse, si è tanto lavorato, da parte dei volenterosi dipendenti di Berlusconi, travestiti da politici oppure da editorialisti e da politologi, un vero e proprio infaticabile impegno, affinché Vicenza fosse uno scontro.

Li vedevi in televisione aspettare i sassi, le grida brigatiste, magari la stella a cinque punte. Si sarebbero accontentati di un passamontagna o di un grido sguaiato e tenevano pronta l´arma letale: ah, ma ci sono autorevoli sostenitori del governo in quella sfilata e quindi la scena penosa è il governo che marcia contro il governo.

L´argomento è stato liquidato sia dalla pace della manifestazione sia dalla tradizione democratica europea e americana. Forse qualcuno ha dimenticato che Robert Kennedy, leader delle manifestazioni di pace contro la guerra in Vietnam, era l´esponente più autorevole dello stesso partito e dello stesso governo che avevano iniziato e stavano continuando quella guerra? Forse qualcuno gli ha dato dello stupido o del traditore? Forse qualcuno non sa dei soldati e ufficiali reduci dall´Iraq che partecipano alle manifestazioni di pace negli Usa e parteciperanno alla campagna elettorale democratica, che sarà una campagna contro la guerra?

Forse non è passata la notizia, che appare ogni giorno sui giornali americani, che ci avverte che l´intera maggioranza democratica alla Camera e al Senato si oppone all´allargamento della guerra (incluso l´allargamento delle spese e delle basi) voluto con una febbrile accelerazione dal presidente Bush e dai pochi neocom restati intorno a lui?

Insomma si è voluta descrivere Vicenza come una scheggia di rozzo, antico, violento, pericoloso anti-americanismo del passato, possibilmente collegato ad atti di grande violenza e di terrorismo, mentre ogni sguardo pulito rileva: tradizione democratica, dimostrazione civile, diritto di essere ascoltati, partecipazione alla vita politica. Insomma il meglio della tradizione politica italiana e americana.

* * *

La seconda inevitabile riflessione è: se esiste, e appare molto numeroso, un popolo del no (non all´America, non ai rapporti fra i due Paesi, ma alla cementificazione della città del Palladio senza ascoltare i suoi cittadini) non esiste un popolo del sì.

Avete mai sentito di manifestazioni, anche solo di dieci persone, che insieme vengano in strada per dire: noi siamo in favore, vogliamo il cemento, a Vicenza tutto qui subito (e col cemento tutta l´immensa struttura che, come si sa, non sarà ospedaliera)?

Questo argomento sarà molto importante per il Sindaco di F.I. e il consiglio comunale di Vicenza che, per amore di Berlusconi, ansioso di apparire il miglior amico dell´uomo, avevano detto «sì» prima che glielo avessero chiesto e avevano ordinato di dire «sì», qualunque cosa volessero i cittadini.

È evidente che quel sindaco non si ripresenterà più e che, se e quando Berlusconi avrà ancora voce in capitolo, ce lo ritroveremo come beneficiario di qualche posto pubblico conquistato con lo "spoil system" ma mai più alla testa della città che ha tranquillamente abbandonato. Però, se non c´è il popolo del sì (avrebbe dovuto essere il popolo di Berlusconi, ma c´è un limite a tutto) c´è da domandarsi da chi è composto il popolo del no.

Va bene, i nostri più astuti cronisti e i nostri più severi editorialisti si sono sbizzarriti a elencare tutti i possibili centri sociali, tutti i possibili gruppi no global, tutti i possibili Casarini e Caruso, tutti i possibili resti del comunismo con tutti i nomi. Però non bastano. E benché il povero e desolato Cicchitto abbia seriamente provato a gridare alla rivolta e alle barricate anti-americane durante la sua partecipazione alla "diretta" de La7; e benché si sia lavorato a screditare tutto ciò che ha a che fare con il pacifismo facendolo apparire molto più pericoloso delle strade di Baghdad, anche il pacifismo non basta per spiegare questo popolo. C´era anche la speranza di fare un bel cocktail tra l´arresto recente dei "nuovi" brigatisti e la presunta violenza anti-americana che, ci hanno giurato, covava sotto la cenere del finto pacifismo e della finta nonviolenza. È vero che la festa della destra per il ritorno del terrorismo è stata guastata dal fatto che le implacabili indagini sono state condotte dallo stesso giudice, Ilda Boccassini, che aveva implacabilmente indagato e avviato verso la condanna (impedita da gentile prescrizione per legge retroattiva della Casa delle Libertà) Silvio Berlusconi. Ma è anche vero che il cocktail tanto evocato e tanto atteso per poter gridare allo scandalo dell´anti-americanismo pericoloso e magari a qualche collegamento col terrorismo islamico, non ha avuto luogo. Ha lasciato posto a una grande manifestazione di pace nella più tipica e grande tradizione democratrica. Ma se questo è il popolo del no fermo, civile e democratico, se questo popolo rispetta le regole e non sventola le bandiere con la croce celtica della marcia su Roma di Berlusconi (quelle sì, per salda radice storica, antiamericane, perché bandiere dei discendenti di chi agli americani che venivano a liberarci dal fascismo aveva davvero sparato) chi è questo popolo?

La risposta è semplice: questo è il popolo che ha votato per Prodi. È venuto così numeroso e appassionato e festoso per la ragione alta e civile che abbiamo appena ripetuto. Dare più voce alla legittima e inascoltata voce della città di Vicenza. Ma chi è che non ha voluto ascoltare la città di Vicenza? È il governo Prodi. Anche ieri ha voluto ripetere: «La questione è chiusa».

Sappiamo tutti che in ogni democrazia a un certo punto bisogna decidere e che quella decisione (detta eufemisticamente dal ministro della Difesa Parisi «punto di sintesi») spetta al governo. Ma in ogni democrazia prima si discute, prima si ascolta, prima si soppesano le ragioni. Una ragione americana è certo più spazio per la sua base. Che cosa c´entra la dislocazione logistica e topografica con le grandi ragioni della strategia internazionale? Vi immaginate il Paese più potente del mondo che si intestardisce esclusivamente sul Dal Molin, prendere o lasciare? Come lo spiegherebbe agli americani, abituati a discutere tutto?

* * *

È naturale che anche in Italia, nella migliore tradizione americana, si ascoltino i cittadini e le loro ragioni. Ma quando è venuto quel "prima"? Qui c'è un problema che non è possibile ignorare. Quel "prima" non è mai venuto. C'è una via d'uscita a questa domanda che è francamente appare penosa. Si dice: il consiglio comunale ha detto "sì", sia pure con un solo voto. Possibile che quel sì basti a confronto con la rivolta di una città per dire che il processo democratico è stato esperito, che tutte le parti sono state ascoltate e che «siano arrivate al momento di sintesi» e che «non cambieremo idea»?

E' un comportamento che forse regge davanti a un notaio, ma non di fronte al popolo di Prodi, che ha votato per Prodi e poi si è sentito chiuso fuori, abbandonato dai rispettivi partiti, lasciato a darsi aiuto e solidarietà spontanea. Ci hanno detto le televisioni che non solo la città ha aperto le porte alle decine di migliaia di sostenitori venuti da tutta Italia, ma ha offerto centinaia e centinaia di stanze in famiglia per far dormire i pericolosi manifestanti.

Noi che scriviamo queste righe e voi che le leggete siamo lo stesso popolo che non si è dato pace con la illegalità dei cinque anni di Berlusconi, persone che in modi, con voci e con strumenti diversi (ognuno quello che poteva) ce l'hanno messa tutta perché Prodi, nonostante i tentati imbrogli, risultasse vincente e dunque governante. Nessuno sta chiedendo gratitudine. Ma ascoltare una voce che ti dice e ti spiega, magari non attraverso i buoni uffici di Bruno Vespa, sarebbe una risposta meritata per chi, anche ieri, a Vicenza, ha detto sì a un Paese pulito, legale e democratico nel quale la voce dei cittadini conta e la voce di chi governa ci raggiunge e ci spiega.

Vicenza è stata l'occasione felice di manifestare in pace e nonviolenza e di deludere i fervidi commentatori in attesa della rivolta. Ma il silenzio del governo eletto da quel popolo («abbiamo già deciso e basta»), non è una buona compagnia.

Vorrei consigliare di dare un'occhiata al film La regina, sul comportamento della casa regnante inglese dopo la morte della principessa Diana. C'è la voce di Tony Blair che chiama il palazzo reale e intima alla regina: «Maestà, la gente è per le strade e lasciata da sola. Lei è un simbolo. Metta la bandiera sul palazzo reale e faccia sentire la sua voce. Altrimenti diranno che in quel palazzo non c'è nessuno». In quel film la regina, che aveva deciso di tacere, ha parlato. E adesso gli storici inglesi dicono che Tony Blair, con quella telefonata, ha salvato la monarchia.

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