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Massimo Nava
Il Club Med e le periferie dimenticate
23 Marzo 2014
Città quale futuro
Anche nell'elezione del sindaco di Parigi emerge vistoso e drammatico il tema delle disuguaglianze metropolitane, e dell'inadeguatezza dell'idea di città contemporanea, da molte prospettive.

Anche nell'elezione del sindaco di Parigi emerge vistoso e drammatico il tema delle disuguaglianze metropolitane, e dell'inadeguatezza dell'idea di città contemporanea, da molte prospettive. Corriere della Sera, 23 marzo 2014 (f.b.)

Comunque vada a finire l’odierna sfida elettorale, sarà una donna a governare Parigi. E sarà una donna di origine straniera, perfetta simbologia del cambiamento sociale e culturale della Francia di oggi, in cui si specchia la sua capitale. Parigi come New York, con un sindaco il cui dna riflette le tante anime e le tante diversità di una grande metropoli.

Anne Hidalgo, 54 anni, socialista, è nata in Spagna. Nathalie Kosciusko-Morizet, 40 anni, destra gollista, ribattezzata NKM perché più facile da pronunciare, discende dalla nobilità polacca che combatté a fianco di Napoleone. Due donne alle quali sono affidate le diverse speranze delle rispettive famiglie politiche. La Hidalgo, data per favorita, erede della lunga gestione del sindaco uscente Delanoë, deve riuscire a impedire che un test amministrativo si trasformi — come spesso avviene a metà legislatura — in uno schiaffo politico al governo centrale, ossia nel deposito della delusione dei francesi nei confronti del presidente Hollande, il cui consenso è in caduta libera. NKM, ex ministro dell’ecologia e molto vicina a Sarkozy, può offrire a una destra lacerata da conflitti di corrente e rivalità un messaggio di riscossa, con cui coltivare peraltro anche le sue personali ambizioni.

Ma la simbologia parigina non si ferma alla sfida fra due donne e due personalità. È evidente anche nel confronto di contenuti e programmi. Se depurati dalle forzature propagandistiche — un po’ più di sicurezza, un po’ più di alloggi popolari, un po’ meno funzionari pubblici, un po’ meno burocrazia e sprechi e riduzione delle tasse sulle abitazioni — riflettono un’idea molto simile della Parigi di oggi e di come sarà il suo futuro. Per la bruna spagnola dagli occhi mediterranei e per la bionda polacca dal malinconico sguardo slavo, le priorità sono l’ambiente, il trasporto pubblico, la lotta al traffico automobilistico e ai motori diesel, l’estensione delle aree pedonali. Chiunque vinca, non correggerà la politica che ha portato alla chiusura delle vie di scorrimento sulla Senna, al modello velib e autolib imitato in tante metropoli europee, a una forte diminuzione della circolazione privata. Entrambe le candidate annunciano misure più radicali, con la determinazione di azzerare picchi d’inquinamento atmosferico e acustico che periodicamente ancora si registrano in giornate e ore di punta.

La scommessa delle due «rivali» è, in sostanza, la prospettiva di un nuovo urbanesimo, una trasformazione della vita collettiva della capitale francese di cui sono già state poste le premesse nell’ultimo decennio. Una scommessa che stenta però a conciliarsi con le altre decisive realtà e funzioni di una metropoli che rappresenta il 10 per cento del prodotto nazionale, è il cuore burocratico di un Paese fortemente dirigista e centralista, è sede di 360 mila società e imprese, accoglie ogni anno milioni di turisti e ogni giorno milioni di pendolari. La Parigi della sfida fra le due dame, quella compresa fra i confini municipali, è piccola cosa rispetto alla «grande Parigi» con i suoi dodici milioni di abitanti e città satelliti che «usano» la capitale senza far parte di un disegno complessivo di governabilità e integrazione sociale.

Il «club Med» che piace tanto ai visitatori stranieri e ai «bobos» che hanno in privilegio di abitare in centro e di percorrerlo in bicicletta, è quindi in stridente contraddizione con le esigenze del lavoro e della produzione, con le vaste aree di povertà ed esclusione, con la «cintura» delle sue periferie popolari che tendono a strangolarlo. Il «club Med» è una macchina amministrativa che gira con cinquantamila impiegati, una città nella città, al costo di otto miliardi all’anno, senza contare l’apparato dei ministeri e delle funzioni statali. Capitale ecologica, ma anche capitale ostile, con un tasso di nevrosi collettiva e latente depressione e aggressività che oscura il mito della Ville Lumière. Anche per questo, la sfida delle due dame è un test nazionale: il futuro di Parigi, al di là dei risultati di un’elezione amministrativa, è anche una certa idea della Francia, dei suoi primati culturali ed economici, di una qualità della vita collettiva che tende a diventare, come a Parigi, un privilegio di pochi.

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