I fatti sono questi, e forse li ricorderete. Berlusconi, il 13 giugno, racconta ai giovani industriali riuniti a Santa Margherita Ligure che contro di lui c’è un «progetto eversivo» e invita gli imprenditori a «non dare pubblicità ai media che cantano ogni giorno la canzone del pessimismo». Con chi ce l’ha? Il capo del governo lo spiega qualche ora dopo nella notte, al termine di una cena a Portofino con Marco Tronchetti Provera (Pirelli) e Roberto Poli (Eni). Dice: ce l’ho con i giornali «nemici», ce l’ho con Repubblica, quella gazzetta colpevole di fare qualche domanda di troppo, in quei mesi.
Sono subito in luce molte distorsioni in quel discorso. La pubblicità è lo strumento – può esserlo, deve esserlo, dice Berlusconi – per condizionare l’informazione, per indurre a più miti e malleabili scelte un giornale che ritiene di avere buone ragioni per criticare il governo. Nella prospettiva storta del Cavaliere, la pubblicità non è più l’arnese per affrontare la competizione economica, liberamente e con qualche vantaggio. Diviene un bastone per castigare il «nemico» diventato «eversore». Nella primitiva teologia politica inaugurata dal premier, è l’arma da usare – nel legittimo confronto delle idee – per difendere una maggioranza, il cui potere è il Bene, contro tutto ciò che vi si oppone, subito definito il Male. Il presidente del Consiglio esige quindi dagli imprenditori un’energica manomissione delle regole del mercato per punire chi disapprova la politica del suo governo o esamina le sue condotte pubbliche.
Bisogna chiedersi però se sia davvero soltanto il capo del governo a parlare a Santa Margherita ligure? È difficile non scorgere nell’obliqua esortazione del Cavaliere un groviglio che attorciglia l’uno sull’altro potere culturale, potere economico, potere politico. Berlusconi è il maggior editore del Paese: dunque, le difficoltà di un suo concorrente nell’editoria diventano un suo personale vantaggio. Berlusconi è anche il proprietario di Publitalia, prima concessionaria multinazionale d’Europa per fatturato nella raccolta pubblicitaria: dunque, meno pubblicità per gli altri, più pubblicità per se stesso. Non c’è dubbio che Berlusconi, come capo del governo, sia azionista – attraverso il Tesoro – dei colossi economici pubblici e semipubblici del "sistema Italia": dunque, Eni, Enel, Finmeccanica, Poste saranno "orientati" dagli ammonimenti del premier nella programmazione delle campagne pubblicitarie sui quotidiani e i settimanali che potrebbero essere danneggiati dall’ostilità dell’azionista pubblico. C’è chi si sente danneggiato.
Contro le dichiarazioni del presidente del Consiglio il Gruppo Espresso, «nemico» ed «eversore», muove un’azione a tutela della società vedendo violate le norme sulla concorrenza e lesa la sua immagine. Ora – notizia di oggi – è sorprendente che, per evitare ogni giudizio, Berlusconi invochi l’immunità prevista dall’articolo 68 della Costituzione («I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse»). Quell’immunità non è prevista dalla Carta per assicurare un privilegio al deputato, ma per renderlo più libero nella sua attività. Ma qual era l’attività che svolgeva, la veste che indossava Berlusconi a Santa Margherita? Sarà il giudice – e, probabilmente, la Corte costituzionale – a valutare se le parole minacciose del Cavaliere meritino la protezione dell’insindacabilità perché «esercizio in concreto delle funzioni proprie dei membri delle Camere», ma è fin da ora interessante comprendere come il premier intende declinare l’immunità parlamentare, visto che la questione è di nuovo nell’agenda della politica per una riscrittura che la irrobustisca.
Si sa, Berlusconi si sente primus super pares. Benedetto dalla volontà popolare, egli vuole essere padrone di un potere che non ammette controlli o verifiche. La convinzione, del tutto abusiva, che la sovranità popolare sia così assoluta da essere sovraordinata alla sovranità della Costituzione giustifica la sua irritazione per regole e limiti. Lo induce a respingere, per le sue leggi e iniziative, il vaglio di costituzionalità del capo dello Stato e della Consulta («editto di Bonn»). Lo conferma nell’ostinatissimo disprezzo per il potere giurisdizionale e quel disprezzo gli consiglia di sottrarsi ai processi che lo vedono imputato (con il "processo breve" e il "legittimo impedimento"). Berlusconi sembra credere che la sua immunità debba essere incondizionata, anche quando parla da imprenditore agli imprenditori; da "azionista" al management pubblico; da attore del mercato contro i suoi concorrenti.
"Impadronitosi" della sovranità, interpreta tutte le parti della commedia sociale, economica e politica pretendendo che la sua autonomia e libertà non abbiano limiti. Esige che gli sia riconosciuta un’impunità per qualsiasi atto, anche quando non è compiuto nell’esercizio delle sue funzioni. Dopo l’ultima mossa, si può concludere che il Cavaliere reclama per sé la stessa «irresponsabilità» che la Costituzione assegna soltanto al presidente della Repubblica. È un privilegio che la Carta ancora non gli assegna. Per il futuro converrà vigilare, con i tempi che corrono e i discorsi che si odono.