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Eugenio Scalfari
Il cavaliere al Quirinale non ci dormo la notte
6 Aprile 2006
Articoli del 2005
L’aria che tira non è buona: ma le cose possono andare ancora peggio di così, se non ci diamo una mossa. Da la Repubblica del 16 ottobre 2005

A VOLTE una vignetta vale più d’un articolo di fondo. Ce n’era una di Giannelli sul "Corriere della Sera" di venerdì che fotografava una situazione all’indomani dell’approvazione alla Camera della legge elettorale proporzionale. Si vede un Prodi piccolissimo e rattristato che dice: brutta giornata quella di oggi, e un altissimo allampanato Fassino che lo rincuora: «Ma noi vinceremo le primarie».

La comicità sta nell’accostamento tra un voto parlamentare che spiana la strada alla rimonta del centrodestra e una competizione all’interno del centrosinistra il cui risultato è scontato e non cambia nulla. Ma il pregio di quella vignetta sta soprattutto nella doppia lettura della frase di Fassino, equiparabile al «noi suoneremo le nostre campane» in risposta all’arrogante «noi suoneremo le nostre trombe» lanciato contro la Repubblica di Firenze ai tempi delle invasioni francesi e spagnole.

Vincere le primarie è un obiettivo che, se raggiunto, può ricambiare con efficacia lo schiaffo ricevuto alla Camera e ridare slancio e iniziativa al centrosinistra? Io credo di sì, ma a certe condizioni. Occorre che nella giornata di oggi almeno un milione di elettori vadano a votare e occorre che Prodi riceva un consenso di gran lunga superiore a quello di tutti gli altri competitori messi insieme. Abbia insomma un’investitura popolare chiara e netta che esprima unità e forza. Se questo è l’obiettivo sbaglia Prodi a contentarsi del 51 per cento dei voti in suo favore. Ci vuole molto di più per dare senso politico a un risultato numerico.

Al di là del valore dei singoli contendenti, oggi è in gioco la sorte dell’Unione, la volontà popolare al di sopra del politichese degli apparati, l’unità sostanziale del centrosinistra, il desiderio di battersi e di vincere in nome degli interessi del paese avviliti da una gestione dilettantesca, clientelare e per molti aspetti sordida della cosa pubblica. Sembrava prossima l’uscita da un tunnel che ha infiacchito le energie della società italiana, debilitato la sua fibra morale, le sue capacità innovative, i suoi sentimenti di giustizia, il suo bisogno di sicurezza. Ma nelle ultime settimane queste prospettive si sono indebolite, la contesa si è fatta più dura e incerta. In queste condizioni le primarie non sono più quel diversivo pleonastico che erano sembrate a molti, ma sono diventate un appuntamento fondamentale. Una pre-condizione che avrà un peso determinante su quanto avverrà dopo, da domani al voto di primavera. Perché oggi la democrazia italiana suona le sue campane e si vedrà se è un suono squillante e vincente o sordo e presago di sconfitta.

Nel frattempo, a render più significativo l’appuntamento elettorale di oggi, si è consumata la crisi di Marco Follini con le sue dimissioni da segretario dell’Udc, accompagnate da un discorso appassionato e dolente che certifica la sconfitta dell’unica ipotesi liberal-democratica esistente nella maggioranza berlusconiana. Leggetelo con attenzione quel discorso e leggete con attenzione le sdegnate risposte che gli sono arrivate dalla nomenklatura di quel partito.

«Voi avete venduto la vostra anima ad un mediocre progetto di potere» ha detto Follini «per questo io non posso più rappresentare questo partito che ormai non è che strumento passivo dei voleri di Berlusconi».

Ci si domanda come sia stato possibile che in un mese, un solo mese, la linea di Follini appoggiata da tutto il partito sia stata capovolta da quegli stessi uomini che l’avevano portata avanti con apparente compattezza per oltre un anno.

In realtà il gruppo dirigente dell’Udc e Pier Ferdinando Casini che ne è il padre-padrone si sono serviti di Follini per stipulare con Berlusconi un patto di potere, abbandonando per strada i contenuti di una politica che avrebbe potuto cambiare la fisionomia della Casa delle Libertà.

E’ risorto in questa occasione l’antico contrasto che divise per vent’anni all’interno della Democrazia cristiana Moro dal corpaccione centrista dei Bisaglia, dei Gava, dei Forlani. Moro voleva che il potere servisse a raggiungere obiettivi di avanzamento democratico della società; i suoi avversari volevano il potere per il potere. Puro esercizio conservativo da mantenere con tutti i mezzi.

In questo conflitto la Dc ha perso l’anima ed è alla fine uscita di scena. I tempi sono cambiati e tutto è diverso da allora ma al fondo la questione è ancora quella: se la politica si debba muovere in una dimensione etica oppure no. Questione perenne, in tutti i tempi e a tutte le latitudini.

In piccolo si è riprodotta tra Follini e Casini. Basta del resto leggere l’intervista rilasciata dal presidente della Camera proprio il giorno prima delle dimissioni del segretario dell’Udc: un testo gelido, piatto, tessuto di battute mediocri, privo di pensiero e di spessore morale.

Ci vedi l’ex portaborse di Arnaldo Forlani, miracolato a occupare la terza carica dello Stato e pronto a riallinearsi ai voleri del «boss» pur di rientrare nella nuova spartizione del potere futuro.

Follini ha commesso molti errori. Forse, se avesse agito con risolutezza un anno fa, l’esito della contesa sarebbe stato diverso. Ma gli va dato atto che quando ha visto l’annientamento delle sue convinzioni non ha ceduto alle lusinghe e se n’è andato dopo una denuncia durissima e senza equivoci. Lui la sua anima l’ha salvata; il suo partito no, ammesso che l’abbia mai avuta.

* * *

Nel centrosinistra ci s’interroga ora su come riorganizzare il fronte della battaglia elettorale dopo lo scossone della nuova legge che entro novembre passerà anche al Senato.

Quella legge è stata tagliata su misura per favorire il centrodestra, limitare la sua sconfitta ma intanto rimetterlo in partita. Rivalutando i partiti e i loro apparati ha creato anche una difficoltà alla candidatura di Prodi, leader senza partito. In che modo si può risolvere questa difficoltà e attenuare la prima?

Ci sono due sole uscite per superare l’"impasse". Tornare almeno al Senato, ma meglio ancora anche alla Camera, alla lista unitaria dell’Ulivo che metta insieme tutti i partiti riformisti come risposta alla frammentazione incoraggiata dalla nuova legge. Una soluzione unitaria di questo genere verrebbe anche incontro a quella vasta massa di elettori desiderosi di votare per una coalizione di forze ma non disposta a identificarsi con un singolo partito. Nelle precedenti elezioni politiche e amministrative questi elettori hanno superato di oltre due milioni la somma dei voti raccolta dai partiti del centrosinistra: un patrimonio prezioso che rischierebbe di andare disperso se la coalizione non fosse neppure presente nelle schede elettorali.

Se poi le diffidenze e le resistenze di questo o quel partito impedissero la lista unitaria, a Prodi non resterà che promuovere una sua propria lista. Senza ledere le strutture organizzative dei partiti alleati. Si presenti ciascuno di essi con i propri simboli e Prodi si rivolga alla società civile così come hanno fatto i candidati sindaci e i candidati alle presidenze regionali. Una sorta di lista civica nazionale che integri il ventaglio dei partiti alleati e dia sbocco al voto di chi si sente di centrosinistra al di là degli steccati partitocratici.

Per perseguire sia la prima sia la seconda di queste soluzioni il risultato delle primarie è comunque fondamentale.

* * *

Si dice: bisognerà pur parlare di programmi concreti e non più soltanto di strumenti per organizzare il consenso.

Certo, bisognerà parlarne. Quali provvedimenti prendere per rilanciare l’economia, risanare una finanza dilapidata, organizzare il nuovo mercato del lavoro e il nuovo stato sociale, rendere efficienti la giustizia, la scuola, la sanità. Affrontare il problema dell’immigrazione. Delineare una politica europea e occidentale di sviluppo e di pace.

Misurarsi con i nuovi problemi della bioetica. Tutelare la libertà religiosa nel quadro della laicità dello Stato e delle pubbliche istituzioni.

Ma non si parte da zero. Molti di questi problemi sono già stati esaminati e anche messi in atto con buon successo dai governi di centrosinistra tra il 1993 e il ‘99. Da allora ad oggi lo studio di queste questioni è stato approfondito e aggiornato. In realtà la domanda di programma ha già gran parte delle sue risposte a cominciare da maggiore equità nella tassazione del lavoro e del profitto rispetto alle rendite e ai cespiti improduttivi.

I programmi concreti li fanno i governi quando hanno in mano l’eredità ricevuta dal predecessore e le carte che documentano la situazione. Già sappiamo purtroppo che l’eredità dei cinque anni di berlusconismo sarà pessima.

Sappiamo anche che il requisito essenziale per ripartire è riposto nella fiducia dei mercati interni e internazionali, un bene immateriale senza il quale non c’è programma che vada a buon fine.

Ciò detto, la coalizione sfidante dovrà indicare entro gennaio i suoi obiettivi e le sue priorità. Quanto alla coalizione sfidata, essa non sta dicendo nulla che attenga al futuro. Nel presente sta solo avvelenando i pozzi, come ho già scritto domenica scorsa. Li sta avvelenando con una legge elettorale che renderà il sistema ingovernabile e con una legge finanziaria compilata, come ha detto Romano Prodi, da un governo in fuga: blocca le spese fino alla fine del 2006 e lascia in eredità agli anni successivi una molla pronta a scattare per recuperare il pregresso. Basta una cifra per denunciare l’inconsistenza di questa classe di governo: erano previste nel 2005 entrate da vendite di immobili per 8 mila miliardi; ne sono entrati fino ad ottobre 600. La differenza la trovate nell’azzeramento dell’avanzo primario e nell’aumento senza più freni del debito pubblico e del deficit.

Chiedete programmi all’opposizione? Stesse a me dirlo (per fortuna non ne ho alcun titolo) direi: facciamo il contrario di ciò che hanno fatto e basterà fare il contrario per far bene.

* * *

L’obiettivo di Silvio Berlusconi se dovesse vincere le elezioni è ormai apertamente dichiarato: vuole andare al Quirinale. Per questo ha bisogno di fare approvare la legge "salva-Previti"; in realtà è una legge "salva-Berlusconi" senza la quale non potrebbe prendere il posto di Ciampi.

Per questo vuole anche abolire la "par condicio": l’obiettivo è quello di assordare gli italiani con un fuoco mediatico senza precedenti, per metà a costo zero per lui che è proprietario di metà delle emittenti nazionali, le quali dal canto loro (cioè dal canto suo) ci guadagneranno sugli spot degli altri competitori.

Tutto pur di vincere. Poi dal Quirinale e col suo partito aziendale in Parlamento i giochi continuerà a farli lui fino al 2013.

Ci pesate? Dove è stato Ciampi potremmo avere Berlusconi. Per altri sette anni. Io non ci dormo la notte.

E voi?

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