In tempi di superspecializzazione, la politica è in netta controtendenza: minaccia di diventare l´unico lavoro non professionale di questo paese. "Professionisti della politica", del resto, è diventato poco meno di un insulto, una specie di tara genetica addebitata a una casta di avidi e stracchi notabili dal linguaggio oscuro. Strada spianata, dunque, per gli outsider di ogni genere e grado, con un canale di preferenza per le star mediatiche, che hanno il vantaggio di non dover stipendiare maghi dell´immagine e altri facitori e rifacitori di faccia, perché una faccia già la possiedono, e ben collaudata.
Confermano questa tendenza la candidatura, del valoroso giornalista Marrazzo (centrosinistra) alla Regione Lazio, e l´ipotesi di far correre il plenipotenziario della Croce Rossa nel Vicino Oriente, Scelli (centrodestra) in Abruzzo. Si tratta indubbiamente, in entrambi i casi, di ottime persone, ma é fuor di dubbio che sarebbero meno ottime, elettoralmente parlando, se non avessero già guadagnato le vette della popolarità comparendo in televisione dieci o cento volte più spesso di professori, scienziati, costituzionalisti e perfino ministri il cui talento politico può essere magari comprovato, ma il cui volto non è conosciuto dalla casalinga di Rieti o dell´Aquila. Lo Scelli, in particolare, ha avuto grazie a recenti meriti diplomatici una specie di rubrica fissa su Al Jazeera, messo in onda a raffica, in tutto il mondo, mentre dava il bentornato alle due brave e coraggiose ragazze italiane che non ci riesce più, per sopraggiunta overdose, di definire le due Simone.
Illustri precedenti, nell´uno e nell´altro schieramento (Zanicchi, Badaloni, Gruber, una Carlucci, nonché la strepitosa assunzione della fatina Maria Giovanna Elmi alla presidenza del prestigioso Stabile di Trieste), indicano che la tv è una magnifica scorciatoia per piacere al popolo, e che talk show, tg e ogni altra nicchia di palinsesto hanno preso il posto delle gloriose scuole di partito, dalle famigerate Frattocchie dove i virgulti comunisti si rompevano le balle commentando Lenin, agli altri tradizionali luoghi dell´apprendistato politico come il sindacato, la Coldiretti, le municipalizzate, gli assessorati di questo e di quello.
Finito tutto o quasi, se è vero che la campagna acquisti del personale politico si fa oramai negli antistudi televisivi, badando a non inciampare nel groviglio di cavi e a non irritare il candidato papabile parlandogli troppo di ideologia o di programmi o di schieramenti, perché lui, per definizione, risponde solo al suo pubblico.
Naturalmente, da tutto questo, verrà pur fuori qualche ottimo politico, come si dice della sgobbona Gruber. Ma resta qualche dubbio a proposito della questione (modernissima, e molto di moda) della formazione professionale. È o non è un lavoro chiosare leggi, spulciare regolamenti, amministrare città e paeselli, incontrare delegazioni non sempre concise, farsi venire i calli al sedere e la scoliosi in diecimila riunioni lunghissime e noiosissime? E se lo fosse (e temo proprio che lo sia) perché mai tutti lo possono fare limitandosi a presentare nel curriculum il numero di ore televisive, e i ceroni fatti e disfatti?
Poco amabile per indole e per contratto, ma a volte, nella poca amabilità, anche poco stupido, Massimo D´Alema ha spesso manifestato il suo sarcasmo nei confronti degli antipolitici di professione, rivendicando alla gente del mestiere qualche talento in più, diciamo, nella noble art di fregare l´avversario (e farsi fregare, naturalmente). In questo momento storico l´opinione di D´Alema è perdente. Ma si sa che la storia oscilla e inganna, e tra la Carlucci (un nome a caso) e il più vizzo dei funzionari di partito, sono tra quelli che preferirebbe pur sempre affidare un progetto di legge al secondo. Se non altro, per protestare la scadente qualità della legge potrei rivolgermi all´Albo professionale, come si fa per i dentisti e i carrozzieri. Se mi delude la Carlucci, invece, che faccio, telefono al Servizio opinioni della Rai, per giunta abolito da anni?