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Alessandro Braga
Il bottino del Nordest
22 Settembre 2010
Articoli del 2010
La Lega corre veloce per portar via il malloppo più grosso. Il saccheggio prosegue. Il manifesto, 22 settembre 2010

C'è chi finge di disinteressarsi della faccenda, come il viceministro alle Infrastrutture Roberto Castelli, che taglia corto dicendo di «non occuparsi di questioni bancarie». E chi come il sindaco di Verona Flavio Tosi, dopo un periodo in cui non ha perso occasione per attaccare l'amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo lancia in resta, ora cerca di ridimensionare il ruolo avuto dalla Lega, limitandosi a dire che loro hanno semplicemente «evidenziato un problema, e il nostro disagio è stato percepito allo stesso modo da altri soci». E ancora chi, il governatore del Veneto Luca Zaia, tocca, seppur di striscio, il vero nodo della questione quando dice che gli sarebbe piaciuto «sentire che idee hanno in proposito le fondazioni bancarie». Sta di fatto che ieri i padani sulla notizia del giorno, le dimissioni di Alessandro Profumo, hanno giocato a nascondino. Il leader maximo Umberto Bossi non ha detto una parola, lasciando spazio a chi, come Tosi e Zaia, è chiamato in causa in prima persona nella vicenda. Ma anche loro hanno cercato di confondere le carte in tavola, nascondendosi dietro alla solita tiritera della «necessità che le banche restino vicine al territorio». Gridando contro la scalata libica a Unicredit. Già, per smontare la loro posizione, basterebbe replicare chiedendo come mai Gheddafi va bene quando sparacchia contro navi di immigrati e invece diventa un pericolo pubblico quando con le sue banche mette capitale negli istituti di credito italiani. Ma il grido 'dagli a li turchi!' fa sempre comodo per tenere buona la pancia dell'elettorato padano.

In realtà la paura dei libici sembra essere poco più di un pretesto. La difesa del territorio può anche valere come ragione, ma solo se si intende territorio come sinonimo di interesse territoriale. Del resto è una vecchia posizione della Lega che, dopo le vittoriose elezioni regionali della scorsa primavera, ha subito lanciato l'assalto alla diligenza: «Ora vogliamo contare di più nelle banche del nord», hanno gridato i neogovernatori, manifestando chiari appetiti ribaltonisti rispetto al vecchio potere democristian-socialista della prima repubblica. E si sono subito mossi: pochi giorni fa è iniziato il rinnovo della fondazione Cariverona, primo azionista italiano di Unicredit. Si è parlato del rinnovo di 25 membri del consiglio generale su 32. Visto che sono espressione degli enti locali, dove la Lega conta molto, la presenza di uomini vicini ai padani è necessariamente aumentata.

Ora, per incidere davvero, il Carroccio dovrebbe riuscire a piazzare uomini fedeli nel nuovo consiglio di amministrazione, che verrà votato a metà ottobre e che ha il vero potere decisionale. Intanto però l'ente scaligero ha ridotto la sua partecipazione in Unicredit dal 4,98% all'attuale 4,63%. Sarà un caso, ma lo ha fatto dopo che la nuova linea di Profumo ha evitato la distribuzione dei dividendi di Unicredit. Bloccando così un flusso di denaro che le fondazioni utilizzavano poi elargendole «in beneficenza», ossia finanziando e promuovendo numerosissime attività sul territorio. In una zona come il Nordest, dove la Lega si è ormai sostituita alla vecchia Democrazia cristiana tessendo una ragnatela «pseudoclientelare» a vari livelli è chiaro che il nuovo corso di Profumo andava a ledere interessi vitali per il Carroccio. Altro che libici. A meno che i leghisti veneti non abbiano, facendo fuori Profumo, voluto fare un favore ai colleghi piemontesi, incazzati con l'ormai ex ad di Unicredit per aver finanziato la Roma per l'acquisto di Marco Borriello, dopo che il calciatore aveva detto no al suo trasferimento a Torino, sponda bianconera. Ma in questo caso, visti i pessimi risultati della Roma a inizio stagione, l'errore più che Profumo lo ha fatto Borriello.

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