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Nadia Urbinati
I tea party all´italiana
19 Ottobre 2010
Articoli del 2010
Venendo dall’estero la valorosa politologa si meraviglia di scoprire che gli attuali governanti italiani sono come sono: soltanto furbi, soltanto per sé. La Repubblica, 19 ottobre 2010

Se si sottoponesse il Paese a un check-up (e i media e i giornali che si occupano di informazione lo stanno facendo) emergerebbe uno stato grave di astenia quando non di declino: le istituzioni sono sottoposte a un logorio pressante che dura da anni mentre la società è lasciata a se stessa ad affrontare una delle crisi economiche più gravi e di lunga durata del dopo-guerra. Uno scenario che dovrebbe grandemente impensierire chi governa, se non per senso di responsabilità (una moneta rarissima) almeno per un ragionevole calcolo elettorale, pensando cioè a come restare in sella. Il capo del Pdl e della maggioranza si è in effetti reso conto di non vivere nel paese di Pangloss dove tutto va per il meglio. La verità, che piace sempre poco a chi ama il potere incontrastato, deve essere trapelata tra le file dei suoi collaboratori se è vero che il leader ha parlato di stato di "balcanizzazione" del suo partito e si è trovato di fronte a dati molto preoccupanti sulla caduta di consenso alla sua persona. Certo, non è lo stato del paese che lo preoccupa direttamente, tuttavia l´attenzione per la salute della maggioranza è una forma indiretta di interesse. Data questa attenzione ci si aspetterebbe che la strategia di riconquista del consenso prevedesse interventi sulle "cose", uno straccio di idea su come affrontare questa crisi in modo che i sacrifici siano distribuiti in proporzione ai redditi, e su quale sia il punto di riferimento da seguire per risollevare l´economia del paese. E invece, il tycoon risfodera la sua strategia originaria, quella che lo ha caratterizzato fin dai tempi della sua "discesa in campo": ideare nuove forme di aggressività ideologica, creare a latere del suo partito delle casematte che abbiano mano libera di dire e fare quello che un partito che sta a Palazzo Chigi non può dire e fare.

Berlusconi non crea nulla di nuovo, ma adatta al suo caso quello che è stato creato altrove. Nelle strategie politiche il copyright non esiste e nemmeno la pirateria come ovvio perché in questo campo le iniziative sono vincenti proprio perché possono essere estese dovunque, diventare una matrice di successo. I Tea Party sono la nuova fonte di ispirazione del populismo di targa meneghina. Un populismo nuovo quello ideato dai fondamentalisti repubblicani americani, perché si identifica non con un leader, ma con un nemico. Il nemico dei Tea Party è il Barack Obama ancor prima del Partito democratico; il loro scopo è di portare i loro candidati in Congresso in numero sufficiente per riuscire a radicalizzare la lotta politica contro la Casa Bianca e bloccare ogni proposta di riforma che viene dalla Casa Bianca. La strategia è quella del sabotaggio, la tattica è quella della guerriglia.

I Tea Party hanno una caratteristica che si presta bene a fare quello che il giornale della famiglia Berlusconi ha dimostrato di saper fare bene: disseminare dubbi senza mai tirare fuori le prove, lasciare che il dubbio si diffonda perché non c´è nulla di più difficile da scalfire di una diceria dilagante. La diceria ha il potere di diventare "un fatto" senza uno straccio di prova. È sufficiente farla circolare in forma di dubbio: l´esito verrà da sé. I blog dei Tea Party hanno disseminato vari assurdi dubbi sul Presidente Obama: per esempio, che non sia americano, che sia musulmano, e che sia (ultima invenzione) l´esponente di un movimento mondiale di anti-colonialismo venuto dal Kenya a rappresentare tutti i movimenti post-coloniali della terra (e pensare che gli Stati Uniti sono stati i primi anti-colonialisti della storia moderna!). Le incongruenze e le assurdità sono la moneta corrente di questa nuova forma di populismo delle casematte, un populismo che si dirama dalla periferia, che è localistico per radicamento e inafferrabile poiché è da nessuna parte e dovunque, proprio come i bloggers. L´elemento unitario è nel nemico, non in un leader: è questa la grande novità dei Tea Party. Una novità pericolosa per la democrazia perché è evidente che questa strategia della diceria disseminata è fatta per creare forme identitarie di consenso, forme quasi religiose di identificazione con una causa - quella contro. Per chi è parte di questo progetto la fede viene prima della ragione e non c´è possibilità di compromesso sulle opinioni: «Obama è musulmano», e su questo non c´è proprio nulla da discutere.

Immaginiamo che cosa potrebbe voler dire usare questa strategia per ridare ossigeno al consenso del premier. Potrebbe voler dire competere con il suo alleato più fedele, la Lega, su temi di grande presa diretta sul "popolo". Perché si tratterebbe di mettere in atto una politica di rastrellamento di consensi ritagliata su un bacino di persone che è simile a quello della Lega almeno per la disposizione alla credulità e al fideismo, due condizioni senza le quali non si ha politica identitaria. A latere del Pdl, sempre più un partito di incardinati nelle istituzioni e quindi "conservatori" per necessità di sopravvivenza, i Tea Party del premier sarebbero come casematte fondamentaliste, capaci di infiltrare dicerie, usare un linguaggio di attacco, praticare ripulsa per ogni forma anche blanda di ragionamento ragionato con lo scopo di mobilitare consensi.

Democrazia di mobilitazione potrebbe essere il termine rappresentativo di questa nuova strategia politica. In un pubblico abituato alle masticazioni delle informazioni ad usum Caesaris, i Tea Party modello Berlusconi potrebbero trovare un facile radicamento. Ci si deve dunque aspettare il peggio: più radicalismo, più polarizzazione ideologica (ma di un´ideologia senza la nobiltà delle idee). Un populismo che si diramerà da centri di diffusione locali e periferici e quindi più facilmente manipolabile da un centro nemmeno tanto occulto.

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