il manifesto, 28 febbraio 2018. Il disastro del sistema ferroviario dovrebbe ricordare il gigantesco errore dell'aver privatizzato i servizi pubblici essenziali. Ci vorrà molta pazienza e tempo per risalire la china; l'importante è cominciare, il 4 marzo
La qualità dei servizi pubblici locali racconta molto della civiltà di un Paese. Il benessere non si misura solo in termini di prodotto interno lordo o di ricchezza privata; e in Italia come altrove, dal sistema dei servizi pubblici locali – acqua, energia, rifiuti, trasporti… – dipende non meno che dal lavoro e dal reddito la qualità della vita quotidiana di 60 milioni di cittadini.
Per questo, il ruolo strategico del settore va sottolineato e rivendicato. E la politica, sembra paradossale ricordarlo in questi giorni di campagna elettorale così rissosi e poveri di contenuti sostanziali, dovrebbe riconoscere e indicare tra le sue priorità l’obiettivo di offrire ai cittadini, da nord a sud, servizi pubblici locali di qualità e accessibili a tutti.
Non è retorica. Perché sono i fatti a raccontarci che in Italia a una ragguardevole ricchezza privata, distribuita peraltro in modo sempre più disuguale, corrisponde troppo spesso “miseria pubblica” e sottovalutazione dell’importanza dei beni comuni. E a dirci, anche, che tra le diseguaglianze che minano alla radice l’idea stessa di cittadinanza vi sono profonde differenze di “standard” e di accessibilità dei servizi pubblici.
Allora un primo punto da affermare con forza – al centro del programma di Liberi e Uguali e assente dalle proposte degli altri schieramenti – è che i servizi locali devono essere e rimanere pubblici perché solo così possono essere davvero “universali”, e che per essere socialmente efficaci devono essere, anche, economicamente efficienti. Insomma, ciò che i referendum del 2011 hanno sancito per l’acqua “bene comune” deve valere a 360 gradi.
Le imprese che forniscono i servizi pubblici locali sono un elemento costitutivo e imprescindibile del nostro sistema di welfare e sono una parte rilevante dell’economia italiana: danno lavoro, generano innovazione e investimenti, condizionano l’efficienza di quasi tutti gli altri comparti produttivi. E’ necessario salvaguardare una forte e qualificata presenza pubblica nei loro assetti proprietari, contrastando approcci demagogici che continuamente ripropongono l’idea, del tutto infondata, che solo “privato è bello”.
Così, semplicemente, non è, basta vedere gli innumerevoli esempi anche italiani di servizi pubblici locali, dall’acqua ai rifiuti, privatizzati e malfunzionanti.
Questo non significa che la politica abbia sempre fatto bene ai servizi pubblici locali: al contrario, tante volte li ha usati e li usa in modo del tutto improprio, come strumenti di clientelismo e di raccolta di consenso. Invece all’Italia serve un’industria dei servizi pubblici forte, organizzata, ben regolata, orientata alla qualità ambientale, capace di produrre investimenti e innovazione e di affrontare le sfide della transizione energetica, dell’economia circolare, dei cambiamenti climatici, della rigenerazione urbana e delle smart city.
Insomma, i servizi pubblici devono essere tra i temi centrali di una credibile agenda di governo, a cominciare dalla necessità di un forte rilancio degli investimenti per la realizzazione di impianti per il trattamento e il recupero dei rifiuti, per l’ammodernamento delle infrastrutture idriche, per il potenziamento del trasporto pubblico urbano e pendolare, per l’efficienza energetica. Da questo dipende in una misura non piccola la possibilità che l’Italia torni davvero a crescere: non solo e non tanto nel Pil, ma nel benessere, nella qualità sociale, nella fiducia verso il futuro.