La carta ha avuto, nella storia, un ruolo rivoluzionario e il mondo è progredito vertiginosamente quando le macchine a vapore hanno prodotto carta per tutti. Alle volte più carta che idee.
Ma per la carta sono scomparse foreste e intere regioni hanno cambiato il loro paesaggio. La Sardegna, dice qualcuno, ha subito un disboscamento selvaggio e forse possedeva più boschi di oggi anche se il geografo Le Lannou sostiene che l’Isola non è stata mai granché ricca d’alberi.
Questa piccola riflessione sulla carta ha subìto un approfondimento improvviso dopo un diluvio tropicale di ricorsi al nostro Tribunale Amministrativo. Si favoleggia di quattrocento ricorsi contro il nuovo Piano Paesaggistico che mette regole - perfino tardive - al consumo sfrenato della terra e delle coste. Insomma una quantità straordinaria di carta che ha danneggiato foreste e ha fatto barcollare i messi giudiziari.
Alcuni di questi ricorsi risultano di grande peso e anche noi incompetenti apprezziamo come ciascuno si esprima secondo uno stile giuridico personale. Qualcuno procede con un bel passo forense, qualcuno zoppica. Ma ce n’è di consigliabili. Ne circola, per esempio, uno decorato con bei fregi rossi e adeguato ai fregi anche nei contenuti. Qualcuno ha scelto uno stile minimalista e stinto. Se ne possono vedere altri colmi di metafore avvolgenti, di parabole e di dottrina. Ce n’è che promettono sventura, epidemie, povertà, fame e ce n’è che nascono già ricoperti di sottile pulviscolo giuridico.
Ma tutti concordano sul fatto che le norme ci volevano, sì, però queste norme, proprio queste, non vanno bene. Non si poteva andare avanti come prima, questo no, e qualche precetto serviva, ammettono. D’altronde loro sono avvocati e quindi, per conseguenza, amano le norme e vi si immergono come in un fiume sacro, le studiano, ne ricavano il pane con il quale comprano la carta. Le norme sono, in uno studio legale, come il bisturi per il chirurgo e sono venerate. Ma queste nuove norme, dicono, sono senza misura, esagerate e perfino sgraziate. E non vanno bene ai clienti i quali contrastano il Piano Paesaggistico familiarmente indicato con il brutto suono di Ppr.
Le migliori teste giuridiche isolane non hanno lasciato le proprie scrivanie per mesi, e sono incappate inevitabilmente nel tema Autonomia, parola che ricorre in questa grande massa di fogli legali. Il dibattito sull’Autonomia muta col mutare degli anni ma oggi, a leggere una parte dei ricorsi, l’Autonomia è rimasta nuda, spogliata di ideali e appare ridotta alle sue vergogne, ossia ad una forma primitiva di autonomia inferiore che possiamo chiamare edilizia.
Alcuni comuni isolani infatti ricorrono contro la madre Regione perché il Piano Paesaggistico li priva, a sentirli, dell’autonomia che, in questo caso, consisterebbe nel costruire, edificare, utilizzare il proprio territorio con regole dettate da sé stessi in un’anarchia amministrativa nella quale ciascuno fa quello che vuole e il territorio è frantumato in microscopici regni autonomi, piccoli feudi arcaici.
E l’Autonomia, ridotta a autonomia, si confonde con il potere di rilasciare licenze edilizie, di definire lottizzazioni, di costruire a piacimento, confondendo l’amministrazione con gli affari i quali, invece, per andare d’accordo con gli ideali dovrebbero uniformarsi a regole, norme e leggi.
Chissà cosa penserebbero i padri dell’Autonomia a sentire che alcuni nostri comuni, per sentirsi autonomi, si ritengono padroni assoluti delle terre che amministrano e rifiutano limiti e regole.
Quest’idea, si sa, ha radici nella proprietà perfetta e in quella comune, nel viddazzone e negli ademprivi, radici in un tempo lontano. Ha spiegazioni ma non giustificazioni.
Vedere come un esercito di giureconsulti concorre, frugando nelle proprie dispense legali, a sostenere la terribile tesi del separatismo edilizio, beh, vedere questi studiosi del diritto lanciati al galoppo giudiziario contro le nuove regole procura dolore e toglie speranza.
Il rimbombo legale delle scrivanie giuridiche è sconfortante, ma neppure il più cinico cultore del diritto può negare che senza regole severe la nostra Isola diventerà rapidamente una muraglia di mattoni con vista a mare e morirà soffocata. Come le coste perdute senza rimedio di altre regioni già violentate dalla speculazione. E quelli che vedevano l’Isola come un’eccezione alla drammatica distruzione nazionale cercheranno l’intatto da altre parti. Magari in Corsica dove hanno fatto un referendum per conservare i vincoli che ai nostri sindaci edificatori suonano come un insulto. Là i vincoli li hanno invocati e là, evidentemente, chi amministra ama la propria terra. E quello si chiama amor patrio.
L'articolo è stato pubblicato oggi, 20 novembre 2006, anche su la Nuova Sardegna.