Nella retorica generalmente barocca di Nichi Vendola, presidente della Regione Puglia e leader di "Sinistra, Ecologia, Libertà", in questo modo "si spegne il sole per favorire il nucleare". Ovvero, "il governo uccide il fotovoltaico". E verosimilmente non è facile coniare una sintesi più efficace, per riassumere e denunciare gli effetti perversi del decreto legislativo contro le energie rinnovabili.
Con il provvedimento predisposto dal ministro Romani, non si rischia di bloccare soltanto i finanziamenti e quindi gli investimenti a favore di un pilastro portante della "green economy", quanto l´intero sviluppo economico dell´Italia a cui il suo stesso dicastero è intitolato, compromettendo la credibilità istituzionale e l´affidabilità del nostro Paese come dimostra anche la protesta dell´Associazione delle banche internazionali. Tanto più nel momento in cui le tensioni planetarie, a cominciare dalle forti turbolenze nella Libia di Gheddafi, spingono al rialzo il prezzo del petrolio e ripropongono il problema della nostra dipendenza energetica dall´estero.
Il decreto contro il sole e contro il vento non fa che confermare, dunque, i sospetti e le preoccupazioni del fronte ambientalista che fin dall´inizio aveva individuato nel rilancio del programma nucleare il pericolo di uno stop alle rinnovabili. Un´inversione di tendenza che in realtà rivela una sorta di scambio occulto fra scelte e strategie alternative, interessi e capitoli di spesa. E naturalmente anche fra le rispettive lobby, quella dei pannelli fotovoltaici o delle pale eoliche e quella ben più potente e aggressiva dell´atomo.
Alla base di questa opzione, non c´è infatti un´economia di mercato con le classiche regole della domanda e dell´offerta. C´è piuttosto un´economia di Stato, destinata in entrambi i casi a essere sostenuta o assistita – almeno per lungo tempo – dagli incentivi e dai finanziamenti statali. Ma c´è soprattutto – o meglio, dovrebbe esserci – l´interesse pubblico, l´interesse generale, l´interesse comune dei cittadini.
Quali sono, precisamente, questi interessi? Quello economico e quello ambientale. Lo sviluppo e l´indipendenza energetica. La sicurezza e la salute. E ciascuno di noi è libero di stabilire la gerarchia che preferisce, tenendo conto dei costi e dei benefici, dei vantaggi e dei rischi.
Quello che non si può fare è propalare notizie false e tendenziose; lanciare allarmi o peggio ancora ricatti mediatici sui costi dell´energia verde; oppure "raccontare frottole", come contesta apertamente il senatore Francesco Ferrante (Pd) al presidente del Consiglio, a proposito del peso delle rinnovabili sulle bollette. A parte l´Iva che nel 2010 ha gravato da sola per un miliardo di euro, come se si trattasse dell´acquisto di un bene o servizio, il responsabile delle Politiche per l´energia del Partito democratico ricorda polemicamente che gli utenti italiani continuano a pagare sull´elettricità 300 milioni di euro all´anno per il nucleare che non esiste più nel nostro Paese dal 1987; oltre 1,2 miliardi per il famigerato "CIP 6" che, invece di essere destinato effettivamente a incentivare le fonti alternative, s´è risolto in un regalo ai petrolieri; e più di 355 milioni in agevolazioni alle Ferrovie dello Stato.
Al contrario poi di quanto tenta di accreditare la propaganda governativa, l´atomo non assicura affatto l´indipendenza energetica: per il semplice motivo che per produrre il nucleare occorre l´uranio e l´Italia non possiede notoriamente giacimenti di tale combustibile. Resta infine, come una maledizione biblica, la questione tuttora irrisolta dello stoccaggio e smaltimento delle scorie radioattive.
La verità è che a tutt´oggi l´energia nucleare è ancora troppo cara e troppo rischiosa. Per paradosso, considerando gli investimenti necessari e appunto i finanziamenti statali, all´Italia costerebbe di più produrla in proprio che continuare a importarla dalla Francia. E ragionevolmente non c´è neppure da temere che questa decida all´improvviso d´interrompere le forniture: si tratta infatti di una produzione a ciclo continuo che non può essere ridotta o sospesa ed essendo in esubero, rispetto al fabbisogno nazionale francese, non troverebbe altri sbocchi sul mercato.
A tagliare definitivamente la testa al toro, il fattore tempo. Per costruire una centrale nucleare, occorrono almeno 10-15 anni. L´Italia non potrebbe permettersi di aspettare tanto, anche per non rischiare di essere condannata a pagare le pesanti sanzioni previste per chi, secondo il Protocollo di Kyoto, non rispetta il cosiddetto "pacchetto clima" varato dall´Unione europea e già approvato anche dal nostro Parlamento, con la formula "20-20-20": vale a dire, 20% in meno di emissione di gas-serra, 20% di risparmio energetico e 20% in più di fonti rinnovabili, entro il 2020. Meno di dieci anni. E per rispettare quella scadenza, bisogna cominciare a lavorare subito.