la Repubblica, 28 gennaio 2017 (c.m.c.)
La battaglia politica è in corso e gli esiti sono ancora incerti, ma quella dei numeri è già vinta. I profughi stanno dando una spinta notevole all’economia tedesca. La scommessa della cancelliera Angela Merkel di una politica generosa con i rifugiati - pensata soprattutto in prospettiva, come un beneficio demografico - sta dando già i suoi frutti. E, a giudicare dal bilancio per il 2016 diffuso ieri dal ministero delle Finanze, anche una seconda sfida di Merkel si sta rivelando vincente: quella su Mario Draghi.
La cancelliera ha sempre fatto scudo al presidente della Bce contro il suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, che punta il dito da mesi - come tre quarti della Germania - contro i mini tassi di interesse. Ebbene, con quei rendimenti azzerati sul debito, il guardiano dei conti ha ormai una cassaforte che scoppia. E, grazie ai rendimenti negativi sui propri titoli di Stato, ha persino guadagnato soldi facendo debiti: 1,2 miliardi. Ma non ditelo al Paese dove “debito” e “colpa” sono sinonimi.
Intanto, le miriadi di centri di accoglienza e di appartamenti messi a disposizione dei richiedenti asilo, le migliaia di persone assunte nel settore pubblico per far fronte all’emergenza, le spese sostenute per adeguare i ministeri, le frontiere, le strutture pubbliche alla sfida storica del biblico esodo dal Medio Oriente, ma anche i consumi del milione e oltre di disperati fuggiti dalle guerre e dall’Isis, stanno facendo da gigantesco volano all’economia. Nel 2016 il Pil tedesco è cresciuto dell’1,9% e le entrate fiscali sono letteralmente esplose. Nonostante il governo abbia speso quasi 22 miliardi di euro per i profughi (ma 7 miliardi sono stati investiti nei Paesi di provenienza), il ritorno è stato notevole. Per il terzo anno consecutivo, i conti chiudono con un ricco sovrappiù di 6,2 miliardi di euro. Non solo grazie i richiedenti asilo, ovviamente, ma un contributo importante è arrivato da lì.
Per un Paese abituato ad associare i grandi piani congiunturali alle dittature più feroci e a diffidare profondamente di Keynes, è sempre difficile ammettere che la spesa pubblica spinga l’economia. Nella patria dell’ordoliberalismo, sono stati pochi gli economisti a leggere nei dati diffusi ieri dal ministero delle Finanze quello che c’era da leggervi (e men che meno sono stati i funzionari di Wolfgang Schaeuble ad ammetterlo nel rapporto). Tra le mosche bianche, il capoeconomista dell’autorevole istituto di ricerca DIW, Ferdinand Fichtner: «Possiamo considerare (le spese sostenute per l’arrivo dei profughi, ndr) come un gigantesco piano congiunturale.
Una gran parte dei soldi è stato trasmesso all’economia attraverso le spese per il sostentamento dei rifugiati, per i loro affitti, per gli investimenti in infrastrutture, eccetera. Mi riferisco ad oltre il 90% di quelle spese». L’altro grande rimosso di Berlino è Draghi. Le sue tanto vituperate politiche monetarie, improntate ormai da anni ad una strategia di tassi azzerati non soltanto stanno tenendo debole l’euro, come ha confermato nei giorni scorsi la Bundesbank, facendo un regalo al tradizionale campione delle esportazioni, alla “Cina d’Europa”.
Stanno anche, per stessa ammissione del sottosegretario alle Finanze, Thomas Steffen, aiutando il più austero dei guardiani dei conti a mantenere le finanze pubbliche in ordine. Il 2016, spiega Steffen, è «il terzo anno consecutivo di pareggio di bilancio », grazie ad uno «sviluppo congiunturale robusto», ma anche a «risparmi sugli interessi del debito». Timido, ma inconfutabile.