Allarme cemento nel Parco Sud
di Ilaria Carra
L’asfalto di superstrade che tagliano in due il parco e la minaccia del cemento dove c’era un campo. Dieci ettari di aree agricole lombarde mangiati ogni giorno, secondo uno studio del Politecnico, e diventate strade o edifici. Con il Parco Sud che non fa eccezione: a ogni tramonto perde 0,35 ettari di campi e paesaggi, con mille ettari di terreni sottratti negli ultimi anni. A difendere il ruolo insostituibile dell’agricoltura dall’avanzata del cemento al Parco Sud scende in campo il Fai, il Fondo ambiente italiano, che in un incontro a Villa Necchi approfitta della scadenza di mandato dell’Ente parco per fare un bilancio sulla gestione e attaccare le minacce di asfalto, in particolare della superstrada voluta da Anas e Regione tra la tangenziale ovest e Malpensa, e cemento nei 47mila ettari totali a sud di Milano, di cui oltre quattromila comunali. «Un anno fa il sindaco Letizia Moratti disse che l’Expo era votato all’agro-alimentare - ricorda il presidente del Fai, Giulia Maria Mozzoni Crespi - ma nessuno parla più di parco agricolo, che oggi è abbandonato: Ligresti ha acquistato molte cascine, per questo i produttori sono scoraggiati e hanno smesso di investire nel loro lavoro, spaventati dalla prospettiva di espansione di molti "cementieri"». Sensibile al consumo di suolo anche Diana Bracco: «Sono una sostenitrice del Parco Sud», ha detto il presidente della società che gestirà l’Expo, prima di specificare però la necessità di coniugare progresso e ambiente: «Il nostro territorio necessita con urgenza di un adeguamento infrastrutturale. Opere come la tangenziale est esterna e il prolungamento della Boffalora-Malpensa sono essenziali». Propositi di conciliabilità «bizzarri e incondivisibili», per il consigliere dei Verdi al Pirellone, Carlo Monguzzi, che attacca: «La Regione non pone alcun freno a strumenti deleteri come i programmi integrati d’intervento». A Diana Bracco ribatte anche Carlo Franciosi, presidente della Coldiretti di Milano e Lodi: «Non servono collegamenti nuovi ma allargare e mettere in sicurezza quelli esistenti». Convinta che solo la città metropolitana possa assicurare una governance adeguata, e contraria alla superstrada, il presidente in scadenza del parco Sud (l’unico gestito dalla Provincia), Bruna Brembilla: «Fino a cinque anni fa il parco era un "ferro vecchio" mentre oggi è oggetto di dibattiti ma occorre garantire un reddito agli agricoltori». All’appello del Fai si uniscono anche gli accademici: «I dati che abbiamo finora arrivano al 2007 - precisa Paolo Pileri docente di Architettura e pianificazione del Politecnico - ma dagli studi non ci sembra che le cose stiano migliorando». In più la beffa: «I dati dimostrano che il quattro per cento di aree agricole urbanizzate in nove anni, fino al 2007 - avverte Stefano Bocchi di Agraria - ha la classe di fertilità più elevata».
I predatori del suolo pericolo per il futuro
di Luca Mercalli
Milano ha dimenticato in fretta che per diventare cosa è diventata, deve dir grazie alla più fertile e ubertosa campagna del mondo, che nei secoli l’ha nutrita di cereali, ortaglie e foraggi, da cui un allevamento e un’industria casearia d’eccellenza. La ricchezza industriale è arrivata dopo, quando i trasporti a lunga gittata hanno portato gli alimenti da lontano, da dove il prezzo era più conveniente. E così la città ha voltato la schiena alla sua campagna, alla quale era unita in equilibrata simbiosi, anzi, come una grande metastasi si è avventata sul suolo e l’ha rapidamente trasformato in autostrade, ferrovie, centri logistici e commerciali, abitazioni. Ora il problema sta nella mancanza di visioni a lungo termine e di senso della misura.
Nel dopoguerra le infrastrutture ci volevano e certo hanno reso più facile la nostra vita, ma la mancanza di coscienza dei limiti fisici del territorio, rende oggi la continua predazione di una risorsa non rinnovabile come il suolo, insostenibile. È un classico problema del tipo "tragedia dei beni comuni" un meccanismo di abuso di un capitale naturale descritto dal biologo americano Garrett Hardin una quarantina d’anni fa: per massimizzare il profitto individuale tutti depredano il bene fino al suo collasso, per garantirne il mantenimento a lungo termine ci vuole un meccanismo collettivo di regolazione che dovrebbe essere svolto dalla politica. Ma se la politica asseconda chi sulla risorsa fa affari, camuffati da servizi al cittadino, allora la tragedia è assicurata. Spesso si sente dire che le opere vanno fatte, certo rispettando criteri ecologici, ma vanno fatte comunque perché utili. Ebbene, nel caso del suolo, questo è solo un esercizio lessicale, in quanto lo spazio è fisicamente determinato, ci è dato una sola volta e per sempre, e la popolazione già eccede la "capacità di carico" del territorio.
Quindi l’unica soluzione è fermarsi, quantificare con cura quanto suolo resta, verificare se sufficiente a darci da mangiare oggi e domani, nonché svolgere le altre indispensabili funzioni biogeochimiche (depurazione acque, degradazione rifiuti organici, assorbimento e stoccaggio di anidride carbonica) e ludiche, e solo alla fine di un delicato processo conoscitivo e sociale, decidere di sacrificarne oculatamente ancora pochissimi lembi. Ci stiamo dimenticando che il suolo è più utile di qualsivoglia grande opera, in quanto unico sistema complesso in grado di darci da mangiare. Chi sbaglia oggi cementificandolo per un pugno di euro condanna a subire il proprio errore le generazioni dei prossimi millenni.