Si è allungato l’elenco delle vertenze nel territorio, che spesso oppongono punti di vista “circoscritti” a interessi più generali. Vertenze tanto ricorrenti che appare singolare che la questione non sia posta in modo giusto prima, che non si provi, se non in qualche benemerito club, a indicare per tempo la strada per evitare la grande confusione che regna in estemporanei dibattiti ogni volta che qua o là scoppia il caso.
E’ vero: le sinistre radicali non hanno avuto dubbi a schierarsi, nelle diverse circostanze dalla parte degli interessi locali minacciati da una malintesa idea del progresso, nel nome di un’idea di sviluppo che non convince. Ma non mi pare che sia stata dai/nei partiti – troppo pochi i volenterosi della sinistra rossoverde – un’attenzione costante questi temi.
E’ mancata la ricerca di una linea utile a prevenire i conflitti, la determinazione a dare battaglia nel momento delle scelte, appunto quando servirebbe che la politica facesse fino in fondo il suo mestiere. L’ atteggiamento è in genere distratto e rinunciatario: proprio nella fase del confronto sulle decisioni a monte, quelle che produrranno prima o poi gli esiti sgraditi in questo o in quel luogo. Un atteggiamento che muta quando un gruppo sociale prende coscienza e si rivolta con clamore. (Ed eccolo pronto in video il leader, tanto presente quanto più cresce il tono della protesta).
Forse per questa intermittenza nell’azione il partito dei verdi conta su un’ adesione esigua e gli esponenti che si richiamano a temi ambientali nelle altre formazioni politiche sono marginali, scarsamente influenti.
Di valori ambientali, di temi urbanistici si discute troppo poco in proporzione al rilievo che nel Paese hanno paesaggi naturali e urbani e beni storico-artistici. Il sistema territoriale, ampiamente compromesso da incuria, favori alle rendite, abusi ecc., su cui si fonda buona parte della nostra ricchezza è nello sfondo, sbiadito, perché sono sempre altre le cose che contano. Questi temi sono sempre stati in un angolo dei programmi del centrosinistra e delle sinistre, ridotti a pochi principi con molte ambiguità. Sulla Tav-Tac che cosa intenda fare Prodi non è chiaro. E ancora: il disinteresse con cui è passata alla Camera la pessima legge Lupi, i toni concilianti in commissione al Senato, preludono a un accordo di profilo basso in un prossimo futuro?
Nel tempo delle devoluzioni che rimanda a un uso distorto del principio di sussidiarietà, il tema dei poteri decisionali presenta contraddizioni rilevanti proprio in relazione al governo del territorio.
Potrà accadere ancora che brutti provvedimenti presi al centro vengano revocati per sollevazioni popolari. Ma sta anche accadendo che esigenze di rigorosa tutela poste, ad esempio, dal governo regionale sardo, trovino all’opposizione comuni intenzionati a cedere alle pressioni di costruttori di case in riva al mare. I casi controversi sono destinati ad ampliarsi e una riflessione nel merito non può essere rinviata.
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Per stare più direttamente a noi, alle cose dibattute su Eddyburg, è il caso di osservare ancora che le questioni del governo del territorio non sono state e non sono né in primo né in secondo o piano nell’agenda della politica. Di urbanistica e cose connesse si parla molto poco in proporzione a quanto le scelte urbanistiche incidono sulla qualità della vita di oggi e per gli uomini che verranno.
Si guardi al modo occasionale con cui la stampa tratta questi argomenti, salvo lamentare la bruttezza delle città costruite in questi decenni (non saranno più di una decina gli articoli sulla legge Lupi)
I giornali, i dibattiti televisivi dedicano grande attenzione alle manovre di ogni legge finanziaria. Si riflette continuamente sulle scelte della sanità. Ma chi si occupa di città è chiamato a dire qualcosa a fronte delle emergenze, solo quando le banlieus si rivoltano.
L’economia fa girare il mondo, le scelte economiche possono produrre danni molto gravi (i ricchi più ricchi, i poveri più poveri), che tuttavia, in qualche misura, sono reversibili (lasciando strascichi seri, si capisce). Le scelte sbagliate che si riflettono nella forma del territorio, credo che siano più resistenti.
C’è poi un aspetto che riguarda l’intreccio tra affari immobiliari (l’urbanistica c’entra qualcosa, mi pare) e i patrimoni che vengono accumulati e giocati nella roulette della nuova finanza. Non si sottolinea abbastanza che le fortune di cui si parla da mesi, per come è emerso da opa, scalate ecc. hanno un’origine nel mercato edilizio, spesso con interferenze nei processi decisionali locali ( lo stesso Berlusconi nasce come imprenditore edile nella sua Milano ed è nominato cavaliere da Giovanni Leone per l’abilità nel commercio di appartamenti).
Le grandi rendite che hanno consentito le cordate degli imbroglioni di questo decennio sono prodotte da investimenti nell’edilizia (Ricucci mette a segno il primo affare di una lunga catena grazie a una variante personalizzata al piano regolatore del suo paese).
La domanda che occorre riproporre, traguardando i casi di questi mesi ma non perdendoli di vista, è se nella pianificazione urbanistica i governi locali, anche quelli democratici, siano stati attenti a non cedere, oltre la soglia raccomandabile, agli interessi di pochi nel nome della modernizzazione.
La domanda non è nuova e conosco la risposta, grosso modo. Ma può essere che nel frattempo le cose siano peggiorate proprio in linea con l’idea di mediare al ribasso su tutto?
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Veniamo alla superiorità morale della sinistra (su cui si sono di recente avanzate riserve),con riguardo alle questioni urbanistiche.
Chi tra noi decideva di stare a sinistra – dopo il ’68 – anche per occuparsi delle cose che leggiamo su Eddyburg, immaginava che il Progetto potesse aiutare i gruppi sociali più sfortunati a vivere meglio (lo dico in modo sbrigativo). Per cui abbiamo auspicato leggi e scelte di politica urbanistica nell’interesse collettivo, invece che per garantire l’interesse di pochi. Magari è capitato che qualche piano di qualche città di sinistra avesse qualche difetto (qualche cedimento: niente di rilevante sul piano penale, direbbe B.) e per questo vissuto con sensi di colpa e con contrordini.
Nell’epoca del craxismo si chiese che questi vincoli morali fossero recisi di netto per andare spediti verso la liberta e la ricchezza, con spregiudicatezza e cinismo a volta riconoscibili negli atti amministrativi (quelli urbanistici si prestano).
Quel messaggio è penetrato, a disorientare quelli orgogliosi della diversità di sinistra, nonostante Berlinguer la cui intransigenza (sbaglio o il richiamo all’austerità fu associato all’urbanistica nei titoli di qualche libro) è apparsa estremista soprattutto a sinistra.
Poi le cose sono andate come sappiamo e la stessa nascita e l’esistenza di Eddyburg è qui a testimoniare che occorre fare qualcosa per resistere, che le linee accomodanti e bipartisan sono molto ma molto pericolose. Io (dico anche questo sbrigativamente) vorrei non avere neppure un dubbio sulla superiorità morale della sinistra.17 febbraio 2006