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Ilaria Boniburini
I nuovi dannati della terra. Gli sfrattati dello “sviluppo”.
11 Ottobre 2016
2015-EsodoXXI
Informazioni, documenti, argomenti ed emozioni per comprendere,a partire da un recente convegno internazionale, dimensioni e cause di quello che,riduttivamente e strumentalmente, ci si ostina a vedere solo come “emergenza migranti".

Un convegno internazionale promosso da BarbaraSpinelli (Milano, 25 settembre 2016) ha rivelato come i migranti che approdanofortunosamente in Europa non siano che la punta di un immensoiceberg, costituito da milioni di persone sfrattate dalle loro case e terre,cacciate dal perverso “sviluppo “praticato dal resto del globo. Sulla base deimateriali e degli stimoli di quel convegno la nostra redattrice ha scrittoquest’ampia analisi della questione, con l’obiettivo di diffonderne la conoscenza e di stimolare azioni cheaiutano ad contrastarne le cause.

I NUOVI DANNATI DELLA TERRA
GLI SFRATTATI DELLO "SVILUPPO
di Ilaria Boniburini

1. Introduzione
Esiste una stretta relazione tra il modello di sviluppodominante, le devastazioni ambientali e i flussi migratori indotti provenientidai paesi del Sud del mondo verso il Nord. E chi maggiormente subisce glieffetti negativi di questo sviluppo sono le popolazioni indigene e i poveri delSud del mondo, cioè coloro che meno hanno contribuito a provocarli. Non solo,ma l’Europa, insieme ai nuovi imperi (Cina e US), continua a perseguire iltornaconto del mondo occidentale, anche celandosi dietro la cosiddetta “cooperazioneinternazionale”.
Il 24 settembre scorso si è svolto a Milano il convegnointernazionale “Il secolo dei rifugiati ambientali?” organizzato dall’europarlamentareBarbara Spinelli[1]. Lerelazioni presentate hanno insistito non tanto sull’emergenza migratoria dell’Europa,quanto sulle cause ambientali, all’origine della maggior parte delle migrazioniindotte.
Il convegno prende origine dal fatto che quella dei migrantiambientali è una condizione non riconosciuta dal diritto internazionale comequella dei rifugiati, per cui a queste persone non è riconosciuto il diritto diasilo, nonostante l’abbandono del loro paese di origine sia forzata. Infatti, imigranti ambientali sono coloro che si trovano costretti ad abbandonare le loroterre per cause di siccità, erosione del suolo, desertificazione, deforestazione,inquinamento, salinazzione delle terre e altri eventi causati da mutamentiambientali provocati dall’intervento dell’uomo.
Dalle analisi presentate dai relatori, è evidente che losbarco in Europa di migliaia di persone non è il solo e neanche il piùdrammatico dei problemi se si guarda alle origini di questi flussi forzati e siconsidera il fenomeno nelle sue innumerevoli manifestazioni. Evidenti sonoanche le responsabilità dei paesi “sviluppati” nel concorrere alle cause dellemigrazioni forzate e le loro opportunistiche politiche messe in atto.
Sono uscita dal convegno con unaprofonda amarezza per la pochezza della nostra società, che vanta di essere civile,moderna, evoluta e democratica, mentre continua a costruire il proprio “sviluppo”sullo sfruttamento degli altri popoli e spesso calpesta i diritti umani dei piùdeboli nel perseguire i propri interessi. Sono arrabbiata con il popolo Europeoe con quello Italiano, per l’incapacità di esprimere ospitalità e solidarietà ecogliere l’opportunità di rinnovamento che potrebbe derivare dall’incontro diculture diverse. La storia è anche fatta di migrazioni.
Mi rendo conto che scrivere solo per denunciare non èsufficiente. La denuncia sembra solo provocare un' indignazione momentanea, manon una presa di coscienza vera e propria. Vorrei utilizzare quello che hoimparato nei miei dieci anni di studio, lavoro e vita in Africa su questioni disviluppo e quello che ho acquisito al Convegno sui rifugiati ambientali perconvincervi di due cose.
1. Le politiche migratorie italiane ed europee sonoprofondamente sbagliate. Il problema posto è fuorviante: è mirato a mantenerefuori dalla “Fortezza Europa” i migranti poveri e non ad affrontare ilproblema. Queste politiche sono intellettualmente insignificanti e moralmentemisere; «non dobbiamo dimenticare che non si fala storia senza grandezza di spirito, senza una moraleelevata, e senza gesti nobili» (Rosa Luxemburg).
2. Se si vuole affrontare il problema alla base, occorre unradicale cambiamento del nostro modello di sviluppo e stili di vita. Una fettaenorme delle migrazioni in atto è provocata da trasformazioni ambientaliindotte dal nostro modo di vivere, che sta distruggendo la fonte primaria dellanostra vita: l’universo naturale e le sue insostituibili risorse. Inoltre, convertetutti i nostri beni (cose che hanno valore per l’uso che ne facciamo) in merci(cose che hanno valore solo la loro capacità di essere convertite in moneta);trasforma i fruitori in clienti (paganti); e riduce le nostre esperienze edecisioni a questioni di mero interesse economico-finanziario. A sostegno dellamia tesi porto una serie di ragionamenti.
2. Politichemigratorie sbagliate
il problema posto è fuorviante e strumentale
Una distinzione iniziale tra “migranti”, “migranti senzavisto” e “migranti da sfratto” è necessaria per non alimentare una confusionegià presente nei discorsi politici e nella maggior parte dei giornali.
A rigore di logica e dizionario alla mano, sono “migranti”tutti coloro che si trasferiscono in un paese diverso da quello di origine.Anch’io sono una migrante: vivo e lavoro all’estero dal 1998; ma grazie al miopassaporto Europeo e al mio conto in banca, non sono mai stata additata come “migrante”,e non ho mai avuto particolari problemi ad ottenere un visto.
Quando si parla del “problema dei migranti”, i governi egiornali si riferiscono più specificatamente ai “migranti senza visto” chearrivano in Europa – generalmente additati come “clandestini” perché non hannoun visto di accesso. Un visto che gli è stato negato o gli verrebbe comunquenegato in base alle norme nazionali di frontiera. Queste norme non sono ugualiper tutti. In presenza di un passaporto non occidentale, viene di solitorichiesto di avere un’assicurazione sanitaria, un conto corrente bancario e soldi,referenze, e altro ancora. Particolare resistenza a rilasciare un visto è fattanei confronti dei cittadini Africani.
Utilizzo il termine “migranti da sfratto” per riferirmi atutte quelle persone che per diversi motivi - conflitti, disastri ambientali,carestie, o progetti di sviluppo come dighe - sono letteralmente statesfrattate e private della loro casa o si vedono costrette a lasciare le loroterre per poter sopravvivere o dare supporto alle loro famiglie. Mi rendo contoche il termine è generico ed è forse difficile provare uno sfratto indotto,perché lasciare la propria terra (o addirittura il proprio paese di origine)richiede anche una volontà individuale, nonché una capacità fisica edeconomica. Qualche decennio fa, in assenza di ricerche e testimonianze dirette,poteva essere difficile capire le cause di queste migrazioni da sfratto. Oggi,non mancano né i dati né le testimonianze, ed è accertato che chi affronta unviaggio incerto, pericoloso, e costoso come quello che i migranti senza vistointraprendono, per terra o per mare, lo fa per ragioni molto forti. Nei loropaesi di origine rischiano di essere uccisi in guerra, perseguitati dai proprigoverni, ma anche “solo” di non avere più mezzi di sussistenza, perché spazzativia e per l’incapacità dei governi di supplire a carestie, siccità, alluvioni, oaltri eventi.
A supporto della definizione “migranti da sfratto” cito unafonte autorevolissima, Saskia Sassen e il suo recente saggio del 2015 Espulsioni. Brutalità e complessità nell’economiaglobale. Nel libro, Sassen descrive come il fenomeno delle espulsioni siauna tipica caratteristica di questa fase del neoliberalismo e cita moltissimiesempi: dalle espulsioni di lavoratori, agricoltori e residenti non abbienti daun numero sempre più consistente di aree, alle espulsioni di intere comunità daparte di governi e multinazionali per costruire dighe o intraprenderecoltivazioni da esporto.
2.1 Occorre guardareoltre i “migranti senza visto”
I “migranti senza visto” che arrivano in Europa sono solouna piccola percentuale della totalità di coloro che si trovano costretti adabbandonare le loro terre a causa di guerre, persecuzioni, carestie, oinadeguate condizioni socio-economiche. Diamo uno sguardo ad alcunestatistiche.
L’ International Organization for Migration (IOM) stima che nel2015 circa 1.046. 600 persone sono arrivate in Europa; si precisa che il numeronon tiene conto di quelli che riescono a passare inosservati. Frontex, l’Agenzia Europea per la gestionedelle frontiere esterne degli stati membri, ha stimato che sono circa 1.800.000i migranti arrivati in Europa nel 2015.
Nel 2014, l”Europa ha accolto circa 3.107.000 rifugiati,mentre l’Italia pur essendo il paese di arrivo di molti rifugiati ne ha accolticirca 93.000, ponendosi agli ultimi posti per incidenza dei rifugiati rispettoalla popolazione nazionale[2].
Paragoniamo ora queste cifre con quelle del rapporto “GlobalTrends 2015” dell’UNHCR[3] relativeal totale degli sfrattati, conteggiati a fine 2015 in tutto il mondo: circa65.3 milioni. Un popolazione più grande di quella dell’Italia o della GranBretagna! Un quinto di questi (12.4 milioni) sono quelli sfollati nel solo anno2015. Il numero degli sfrattati è aumentato notevolmente negli ultimi duedecenni, e si è velocemente ingrandito a partire dal 2011, con l’inizio della“primavera Araba” e il conflitto siriano. La maggior parte degli sfrattatiSiriani approda in Turchia. Nonostante l’attenzione è focalizzata sull’Europa,e le regioni Africane e del Medio oriente, altre crisi si sono abbattute nelAmerica Centrale. Le violenze in El Salvador, Guatemala, and Honduras hannoprovocato un’ondata di migrazioni forzate verso il Messico e gli Stati Uniti. Conla situazione dello Yemen in continua deteriorazione, durante il 2015 circa 169.900persone hanno abbandonato il paese, rifugiandosi nei paesi vicini, e circa 2,5milioni sono stati internamente sfrattati.
Un altro dato interessante emerge dalle stime dell”InternationalDisplacement Monitoring Centre (IDMC) [4]: sono circa27.8 milioni le persone che nel 2015, a causa di guerre, violenze e carestie eranosenza una casa, ma sempre nei confini dei loro stati. Questi sono i cosiddetti “sfollatiinterni” (IDPs – Internally Displaced People),cioè quei migranti forzati che non riescono a pagarsi un viaggio verso l’Europao altri paesi. Relegati nei rapporti delle agenzie internazionali, raramente siparla di loro. Nel 2015, sono state “internamente sfrattate” circa 8.6 milionidi persone e circa 11 milioni l”anno precedente.
2.2 I rifugiati: una categoriache appare sempre più discriminante
Come succede per altre questioni, quello che non colpisce ilmondo occidentale, è ritenuto irrilevante. Se migliaia di persone, senza vistoe senza soldi non arrivassero per mare e per terra in Europa, il problema dei “migrantida sfratto” passerebbe inosservato.
Per i governi europei il problema non è quello dei migrantiin sé, ma il fatto che sono poveri, e non dovrebbero entrare a meno che non faccianoparte della categoria dei “rifugiati” quindi aventi diritto di asilo.
Dalla Convenzione di Ginevra nel 1951, quando è statariconosciuta la condizione di rifugiato a coloro che si trovano al di fuori delloro paese di origine a causa di persecuzioni, conflitti, violenze o altrecircostanze che minacciano l’ordine pubblico, sono state accolte e salvatemolte vite umane. Gli Stati hanno accettano una serie di obblighi nei confrontidi queste persone; ma oggi questa forma di protezione assomiglia sempre più auna categorizzazione che serve soprattutto a tenere fuori i migranti dasfratto, che sono la maggior parte. Nel 2015, meno di 1/3 di quei 65,3 milionierano riconosciuti come rifugiati e circa 3,2 milioni avevano fatto domanda diasilo (asylum-seekers). Inoltre, idieci paesi che accolgono il maggior numero di rifugiati sono quelli del Suddel Mondo, di cui cinque nell”Africa Subsahariana e non come si penserebbel’Europa. Con circa 2.5 milioni, la Turchia rimane lo stato che ha il più altonumero di rifugiati[5].
2.3 La meschinità dell’Europa
A considerare le statistiche di cui sopra, ci rendiamo contoche l’enfasi data al “nostro” problema Europeo di ‘sistemare’ 1.8 milioni di “migrantisenza visto” è sproporzionata rispetto al dramma complessivo delle “migrazionida sfratto”.
Non solo, ma l’Europa per non sovraccaricarsi di questa peso,relativamente esiguo, sta facendo di tutto per mettere in atto politicherestrittive per il controllo dei flussi di migranti.
Ne sono esempi significativi il Migration Compact, l’accordòEU con la Turchia e la Roadmap di Bratislava. Il Migration Compact è uno strumentoper evitare l’ingresso ai migranti senza visto e non un modo per affrontare ilproblema migratorio. Infatti, consiste sostanzialmente nel esternalizzare lefrontiere, incentivando i paesi di origine ad esercitare un risoluto controllosulle uscite e rispendendo al mittente coloro che sono entrati, anche versopaesi retti da dittatori riconosciuti responsabili di crimini contro l’umanità,come il Sud Sudan[6].
L’accordocon la Turchia, che prevede il ritorno dei richiedenti asilo nella Turchia di Erdogan- paese non in grado di garantire ai rifugiati un asilo sicuro - rischia divenir ripetuto con l’Egitto di Al Sisi[7].
E perconcludere la lista delle misure ristrettive, la recentissima Roadmap diBratislava, che dichiara di non voler più permettere flussi incontrollati,assicurare il pieno controllo delle frontiere, ritornare al sistema Schengen edi applicare principi di solidarietà e responsabilità. Questi obiettividovrebbero essere raggiunti attraverso: la messa in opera dell”accordo EU-Turchia,il Migration Compact, il “dialogo” con paesi terzi (sul modello Egitto) e l’operatività(nonché” indipendenza) della Guardia di frontiera europea. Uno strumento gretto,velato – neanche tanto bene - da una falsa preoccupazione per le vite umane deimigranti (appellandosi ipocritamente alla solidarietà).
3. Riconoscere le trasformazioniambientali come causa fondamentale delle migrazioni da sfratto
Vivendo e lavorando in Africa, le statistiche citate non misorprendono. Non c’è uno stato Africano che non abbia un campo profughi o chenon abbia avuto il problema di ricevere sfollati o vedere i propri abitantiscappare altrove. Quando insegnavo in Ruanda, oltre 2/3 dei miei studenti eranonati al di fuori del loro paese, per la maggior parte in campi profughi inCongo o Tanzania.
Non ero invece del tutto consapevole del peso che letrasformazioni ambientali hanno nel produrre “migranti da sfratto”. Cercherò quindidi dare conto di quest’ aspetto.
I conflitti continuano ad avere una responsabilità notevolenel provocare fughe, ma secondo l’IDMC, nel 2015 solo il 31% degli sfollatiinterni è dovuto a conflitti e violenze, mentre il restante 49% è dovuto adisastri naturali come terremoti, eventi climatici estremi come le alluvioni, oaltre cause legate a trasformazioni ambientali gravi[8].
3.1 Oltre le cause diguerra: il peso delle cause ambientali
Per dare un’idea generale, adotto la distinzione della Forced Migration Online(FMO) che individua tre cause fondamentali alla base di quelli che chiamo “migrazionida sfratti”[9]:
1. Conflitti: conflitto armato, inclusa la guerra civile;violenza generalizzata; e la persecuzione per motivi di nazionalità, razza,religione, opinione politica o di un gruppo sociale, da parte delle autoritàstatali. Questa è l’unica causa riconosciuta suscettibile di aiuto internazionale,in quanto è quella che produce i rifugiati.
2. Disastri: catastrofi “naturali” (come vulcani, alluvioni,terremoti), cambiamenti ambientali (deforestazione, la desertificazione, ildegrado del territorio, il riscaldamento globale) e disastri provocatidirettamente dall’uomo (incidenti industriali, radioattività). Il tema degli sfrattatidal disastro, per cause “naturali” e legate al cambiamento climatico, rimanecontroverso; e ne spiegherò le ragioni nei seguenti capoversi. Diverse organizzazioniinternazionali forniscono assistenza alle persone colpite da queste calamità,tra cui la Federazione Internazionale delle Società della Croce Rossa eMezzaluna Rossa, e il Programma alimentare mondiale, senza contare le molte ONG.
3. Sviluppo: progetti realizzati per migliorare lo “sviluppo”di un’area, città, nazione che però al contempo produce sfratti a larga scaladi comunità locali e indigene. Per esempio i progetti di dighe, le estrazioniminerarie, le deforestazione o la creazione di parchi e riserve, che estromettele popolazioni indigene[10]. Questoè senza dubbio un fattore trascurato, che avviene con poco riconoscimento,supporto o assistenza, proprio perché colpisce in modo sproporzionato leminoranze indigene, i poveri urbani e rurali; spesso con la compiacenza deigoverni locali e attraverso i finanziamenti dei paesi occidentali o della Cina.
Chiaramente, tra queste tre categorie vi sonosovrapposizioni di cause ed effetti. È fondamentale cercare di capire le causedi queste trasformazioni ambientali, ma concentrarsi sulla ricerca di un nesso lineareo matematico di causa ed effetto tra migrazioni dovute a trasformazioniambientali e attività antropica «può essere fuorviante e servire più daparaocchi che da strumento di analisi»[11].
Bisogna invece riconoscere che c’è un’ondatamigratoria silenziosa che rappresenta le vittime di un sistema di produzione econsumo che ha ampiamente superato i limiti ecologici del Pianeta. Lemigrazioni ambientali possono essere lette come conseguenza di un continuotrasferimento di servizi ecosistemici dai luoghi sfruttati ai poli dellosfruttamento, fino a determinare nei primi ambienti ostili alla sopravvivenza”.[12]
Come afferma François Gemenne, ci troviamo nell’erageologica dell’Antropocene[13], in cuitutte le trasformazioni ambientali sono in qualche misura legate all’operadegli esseri umani, a come si produce, si consuma, si costruisce, e si governa,quindi al predominante modello di sviluppo.
3.2 Sviluppo: l’egemoniadi una credenza e il collasso di un Pianeta
La parola sviluppo è quella che forse più di ogni altra èstata capace di plasmare un’epoca. Per oltre settant’anni il concetto disviluppo come sinonimo di progresso, civilizzazione, e positività a priori(senza il bisogno di qualificare lo sviluppo con un attributo) ha orientato lepolitiche di tutti i paesi del mondo e colonizzato le menti, impedendo ad altreconcezioni di essere approfondite e altre pratiche di essere attuate.
Questo concetto è però inadeguato sia a comprendere i fenomeni,che a dare risposta ai bisogni e alle questioni che il genere umano esprime inquesta fase della sua storia.
È indicativo che il termine sviluppo abbia acquisito l’accezioneattuale a partire dal 1945, quando è entrato in uso il concetto sottosviluppo. Daallora lo sviluppo è stato associato all’idea che tutte le società avrebberodovuto passare attraverso prevedibili “fasi di sviluppo”. È quindi diventando unprogetto di dominazione, in quanto minala fiducia di altre culture ad esprimersi e portare avanti diversi modi dipensare e di agire e riducendo i loro destini ad un modo essenzialmenteoccidentale di concepire, percepire e plasmare il mondo.
Nei decenni successivi c’è stata una progressivasovrapposizione tra sviluppo e “sviluppo economico” compiendo una forteriduzione dei significati complessi e che il termine comprende. Così come cisono stati tentativi di riabilitare la parola stessa nei suoi momenti di crisi,per esempio durante il momento di presadi coscienza ambientale, di preoccupazione per la scarsità di risorse e losfruttamento sfrenato della natura. Se questa coscienza ha introdotto l’importanteconcetto di “limite alla crescita”, la nozione di sostenibilità - che invece havinto - ha matrici diverse. Infatti, quest’ultimo concetto è avvolto da una“modernizzazione ecologica”, dove l’innovazione tecnologica riveste un ruolocentrale. Si riconosce una crisi ecologica, ma a differenza del movimentoradicale sul limite della crescita si crede fermamente di poter interiorizzarela cura per l’ambiente.
Bisogna riconoscere che il termine è emerso al momento giusto: per dare allosviluppo uno scopo relativamente nuovo e soprattutto una rinnovata legittimazione. Losviluppo sostenibile è l’espressione che forse più di ogni altra ha ridato allosviluppo un prestigio mondiale, e lo ha fatto dandogli un tono opportunatamenteambientalista. La tesi principale che sta al fondo dell’espressione svilupposostenibile è che crescita economica e problema ecologico possono essereconciliati, è solo una questione di individuare appropriate misure dimitigazione.
La caratteristica peculiare dello sviluppo, e dell’immaginarioche lo accompagna, è che la crescita e il progresso possano svilupparsi all’infinito,anche grazie all’aumento costante delle merci prodotte. Ma, come scrive GilbertRist[14], l’egemoniadello sviluppo si è potuta affermare solo grazie ad un illusione semantica,attraverso la creazione del sottosviluppo, cioè creando uno “pseudo contrario”che ha trasformato una credenza in senso comune, e facendo credere nellapossibilità di trasformare l’intero mondo ad immagine e somiglianza dell’occidente[15].
Invece, a distanza di 70 anni ci ritroviamo un pianeta inprogressivo deterioramento. Di seguito alcuni elementi emblematici[16]:
- lo scioglimento dei ghiacci nella parte ovest dell’Antartideha superato ormai la soglia dell’irreversibilità e se le previsioni sonocorrette con l’innalzamento del livello dei mari la migrazione di centinaia dimilioni di persone rimarebbe l’unica alternativa (a);
- nonostante i rischi per l’ecosistema, naviinquinanti continuano a trasportare materiali inquinanti, provocando emissionidi gas di serra corrispondente al 4-5% del totale; l’organizzazione marittimainternazionale prevede un aumento del 72% entro il 2020 in assenza diprovvedimenti contro tale problema (a);
- negli ultimi 15-20 anni gli eventi climatici estremisi sono manifestati con effetti sempre più distruttivi e con frequenza sempremaggiore; per esempio El Nino nel 2015 ha provocato una grave siccità dall’AfricaOrientale sino al Sud America e all’Asia, traducendosi in malnutrizione, morte dimigliaia di capi di bestiame, e diffusione di epidemie, mettendo a rischiocirca 60 milioni di persone (a);
- a partire dal 1990, almeno 18 confitti violenti sonostati generati dallo sfruttamento delle risorse naturali e il 40% dei confittiintrastatali degli ultimi 60 anni (guerre civili come quelle in Angola, Congo,Darfur, Medio Oriente) si collegano alla gestione, accesso e sfruttamento dellerisorse naturali (a);
- il rapporto “The Human Cost of Weather RelatedDisasters” sostiene che negli ultimi 20 anni circa il 90% delle catastrofiregistrate nel mondo sono state provocate da fenomeni legati al clima (inondazioni,tempeste, siccità) (a);
- dal Medio Oriente agli Stati Uniti, dal SudAmerica all”Europa dell”Est, in tutti i continenti si moltiplicano i rischi discontro per l’acqua; il rapporto ONU “Acqua per un mondo sostenibile” dice cheentro 15 anni la domanda di acqua aumenterà del 55% ma nel 2030 ladisponibilità coprirà solo il 60% (b);
- 1 miliardo di persone sono ancora senzaacqua potabile e 2 miliardi e mezzo sono privi di servizi igienici (b);
- un rapporto del Pentagono (2004) afferma che le prossimeguerre saranno combattute per questioni di sopravvivenza.; nei prossimi 20 annidiventerà evidente un “calo significativo” dalla capacità del pianeta di sostenerel”attuale popolazione; milioni di persone moriranno per guerre e per fame finoa ridurre la popolazione della terra ad una quantità sostenibile (b);
- un rapporto della CIA (2011) sostiene che almenootto fiumi saranno oggetto di conflitti (b);
- la quantità di acqua necessaria in Africa percoltivare i terreni acquistati da stranieri e multinazionali nel 2009, è duevolte il volume usato nei 4 anni precedenti in tutta l’Africa; se l’accaparramentodelle terre e dell’acqua continua al ritmo attuale, la richiesta di acquasupererà le scorte Africane di acqua rinnovabile (b);
- dighe, miniere, piantagioni, autostrade,complessi industriali e resort turistici, costringono ogni anno 10 milioni dipersone a spostarsi e i privati assumono il controllo dell’acqua che dava davivere a intere popolazioni;
- solo le dighe hanno generato nei decenni passati80 milioni di profughi; per esempio la diga Rinascita, sul Nilo costruitadalla italiana Salini formerà un bacino che bloccherà tanta acqua pari a unavolta e mezzo il flusso annuo del Nilo e caccerà uomini e donne e animali (b);
- il Land Matrix, un “iniziativa indipendente permonitorare l’acquisizione di terre su grandi scale, registra che le transazionitransnazionali coprono una superficie di circa 44, 27 milioni di ettari,praticamente tutti situati nel Sud del mondo e solo una piccola percentuale èdestinata a coltivazioni alimentari; questo fenomeno provoca l’espropriazioneforzata di piccoli coltivatori locali (landgrabbing).
Gli effetti negativi di questo modello di sviluppo, così comei sui benefici, non sono omogeneamente distribuiti dal punto di vistageografico (ne tantomeno dal punto di vista delle classi sociali). Sono lepopolazioni del sud del mondo e quelle più povere a pagare il prezzo dellegravi conseguenze di questo sviluppo, quando invece i benefici sono concentratinei paesi occidentali e riservate alle persone abbienti.
3.2 Non puòesserci sviluppo equo senza giustizia ecologica
Giuseppe De Marzo nella sua presentazione “Larelazione fra diritti umani e diritti della natura”[17] haspiegato il rapporto, tanto ovvio quanto indissolubile, tra natura e uomo equindi tra diritti della natura e diritti dell’uomo, tra equità e sostenibilità,tra pace e sviluppo equo (come sosteneva Maathai Wangari) e tra sviluppo equo egiustizia ecologica.
Le “migrazioni da sfratto” non sono altro che unulteriore prodotto, insieme alla povertà e alle diseguaglianze, di questomodello di sviluppo, che basa la sua sussistenza sullo sfruttamento dellerisorse naturali, sulla protezioni dei capitali e dei profitti dei grandiinvestitori, e sulla credenza nello sviluppo illimitato.
Affrontare il problema dei “migranti da sfratto”significa ripensare profondamente e rivoluzionarmene a un nuovo modello disviluppo, che sostiene la causa dell’ambientalismo e dell’ecologismo piùradicale, ponendo fine alla rapina, sfruttamento e distruzione del PianetaTerra, rimettendo al centro dell’economia il concetto di beni, e perorando la causadella pace, il rispetto di tutti gli esseri umani e la solidarietà.
4. Ipocrisia, sfruttamentoe calpestamento dei diritti umani: neocolonialismo e neoliberismo
Nel 1961, Frantz Fanon, anticolonialista radicale, scriveva:
«Quando si riflette sugli sforzi che sono stati impiegatiper attuare l’alienazione culturale così caratteristica dell’epoca coloniale,si capisce che nulla è stato fatto a caso […] Il risultato coscientementericercato dal colonialismo, era di ficcare in testa agli indigeni che lapartenza del colono avrebbe significato per loro ritorno alle barbarie,incanagliamento, animalizzazione.»[18]
E ancora:
«Sono secoli che l’Europa ha arrestato la progressione deglialtri uomini e li ha asserviti ai suoi disegni e alla sua gloria; secoli che innome d’una pretesa “avventura spirituale” soffoca la quasi totalità dell’umanità.[…]
L’Europa ha assunto la direzione del mondo con ardore,cinismo e violenza. E guardate quanto l’ombra dei suoi monumenti si stende e simoltiplica. Ogni movimento dell’Europa ha fatto scoppiare i limiti dello spazioe quelli del pensiero. L’Europa si è rifiutata ad ogni umiltà, ad ogni modestia,ma anche a ogni sollecitudine, ad ogni tenerezza»[19].
Sono passati cinquantacinque anni, dovrebbe essere tuttaun’altra storia, ma queste parole sembrano ancora attuali nonostante ladecolonizzazione, i movimenti di liberazione, la creazione di stati africaniindipendenti e il riconoscimento nel 1948 (Carta dei diritti umani) che tuttigli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Il colonialismosi è esaurito, ma l’imperialismo occidentale ha trovato nuovo vigore sotto laguida americana.
In occasione del cinquantesimo anniversario del libro “Idannati della terra”, Miguel Mellino scriveva che l’attualità di Fanon sta nelfatto che siamo ancora di fronte a «una combinazione mostruosa di capitalismo erazzismo»[20].Mellino argomenta che l’imperialismo è ancora una realtà, così come il sistemagerarchico di status di cittadinanza che caratterizza le nostre metropoli, eche i processi di «accumulazione per espropriazione» e «finanziarizzazione»,oltre che appropriarsi dei mezzi di produzione si appropriano delle nostre vite.
Lo sfruttamento, la prevaricazione, il razzismo e l'annichilamentodelle culture africane e degli altri popoli non occidentali non passano piùattraverso i regimi coloniali, ma attraverso il neocolonialismo delle politicheestere dei nostri governi democratici, dei trattati economici internazionali e dell’aiutoallo sviluppo.
4.1 L’ipocrisia della cooperazioneallo sviluppo
È attraverso la “professionalizzazione” e la“istituzionalizzazione” dello sviluppo (Escobar, 1995) che si mirava areplicare nel “Terzo Mondo” le caratteristiche delle società occidentalicapitalistiche avanzate. Democrazia, un alto livello di industrializzazione eurbanizzazione, la meccanizzazione dell’agricoltura, rapida crescita dellaproduzione materiale e dello standard di vita, e adozione diffusa di valoritipici della cultura americana e anti-comunista dovevano essere gli obiettivi specifici.
Con la professionalizzazione dello sviluppo l’economista èdiventato l’esperto per eccellenza, seguito dal tecnico che ha il compito diapplicare le conoscenze teoriche e, attraverso la pianificazione, di legare l’economiaalla politica e allo Stato.
Con l’istituzionalizzazione dello sviluppo si è affermato uncomplesso sistema di relazioni, programmi, pratiche e organi amministrativi chehanno consentito di produrre, divulgare e inculcare discorsi, promuoverepolitiche, strategie, procedure, norme e comportamenti. Si è formata una vera epropria istituzione “aiuto allo sviluppo”o quello che oggi chiamiamo “cooperazione allo sviluppo” o “cooperazioneinternazionale”.
Con la fine del colonialismo, la cooperazione allo sviluppo, èuno degli strumenti più potenti per continuare a manovrare i paesi del Sud delmondo. Essa passa attraverso organi internazionali come la Banca Mondiale, leNazioni Unite, e le varie Banche di Sviluppo Regionali; le agenzie nazionali dicooperazione come l’USAID (americana), la Cooperazione Italiana, GEZ (tedesca)e JEICA (giapponese) e le Organizzazioni Non Governative. Queste agenzie sonoresponsabili della produzione e la circolazione dei discorsi dello sviluppo,attraverso conferenze, riunioni di esperti, consulenze, pubblicazioni, thinktanks, ma anche nella promozione e realizzazione di progetti e riformepolitiche, amministrative e sociali. Se le Nazioni Unite sono riconosciute comele più autorevoli nella produzione di linee guida e strategie; le agenzie diprestito, come la Banca Mondiale, portano con se il denaro e il simbolo delcapitale e del potere. Se gli esperti hanno la conoscenza e le competenze,quindi il potere delle parole, i governi hanno l’autorità legale di interveniresul popolo delle loro nazioni.
Il consenso a questo “controllo” sui paesi del Sud del Mondoe in particolare sull’Africa è garantito dall’obiettivo buonista della lottaalla povertà, al quale tutte queste organizzazioni si appellano. Al contempo,consente di perseguire, implicitamente, l’interesse e il tornaconto del mondooccidentale del capitalismo neoliberista. Con l’introduzione della “governance” nel discorso sullo sviluppo side-politicizza il campo “politicamente” sensibile delle trasformazioniterritoriali, e socio-economiche verso il solo campo della tecnica,sbarazzandosi del rischio di venir accusati di ingerenza, pur continuando ainfluenzare gli assetti istituzionali dei paesi poveri e indirizzarli versoprogrammi che implicavano riforme neoliberiste.
Nelle città si afferma uno sviluppo predatorio finalizzatoallo sfruttamento delle rendite connesse alla valorizzazione economica di tuttele risorse privatizzabili. Nelle città africane alla segregazione razziale delcolonialismo si sostituisce una segregazione su base socio-economica, dove formedi esclusione fisica, economica e sociale perpetuano diseguaglianze, povertà eframmentazione del tessuto urbano. Alla città pianificata e infrastrutturata,luogo del potere, delle classi agiate e dei cosiddetti espatriati, delle bancheinternazionali, degli alberghi di lusso, dei mall e degli uffici dei gruppiinternazionali, si contrappone la città informale, costituita da agglomerazionispontanee, fatte di materiali di scarto, dove vivono migliaia di persone esclusedai beni e i servizi urbani di base come l’acqua, le fognature, i trasporti, lestrutture sanitarie. È anche l’esclusione da un lavoro regolare e adeguatamenteretribuito, dalla rappresentanza politica e dai processi decisionali.
4.2 Due esempi dineocolonialismo
È la costruzione di dighe e bacini artificiali che dàorigine ai più consistenti sfratti, sottraendo spazi e risorse comuni acomunità locali ed economie diffuse per innescare processi produttivi cherispondono a logiche di profitto transnazionali e di scala industriale. Questecostruzioni sono generalmente finanziate con prestiti o contributi di organiinternazionali come la Banca Mondiale, coinvolgono agenzie di cooperazione, tecnicistranieri, materiali di importazione, meccanismi di corruzione per aggirarenormative ed acquisire il consenso dei governi, e spesso finiscono con ilcalpestare i diritti umani delle popolazioni. Non a torto, si parla dineocolonialismo.
Porto due esempi: il caso del lago Turkana e valle dell”Omoin Kenya e quello degli EPA (Economic Partnership Agreements), accordi dilibero scambio tra l”Europa e i paesi ACP (paesi dell Africa, Caraibi ePacifico).
La valle dell’Omo è alimentata dall’omonimo fiume, cheattraversa l’Etiopia per poi sfociare nel lako Turkana. Storicamente, qui vivonoalcune tra le più antiche comunità africane, che praticano un’economiaagro-pastorale di sussistenza, strettamente legata all’inondazioni del fiumeOmo.
Dagli anni Sessanta in poi questa valle ha visto lacostituzione di due parchi nazionali - che ha escluso dalla gestione di questeterre le popolazioni indigene - e le estese piantagioni da carburante, che hannomesso a rischio le comunità locali. A peggiorare la situazione, è stata lacostruzione di tre infrastrutture indroelettriche che insistono sul bacinodell’Omo: la diga Gibe I (2004), la stazione idroelettrica Gibe II (2010) e larecente diga Gibe III (2015). Quest’ultima, incoraggiate dalle agenzieinternazionali per lo sviluppo, è destinata a raddoppiare la capacitàenergetica di Etiopia, fornire energia per l'esportazione nel vicino Kenya,Sudan e Gibuti e irrigare le piantagioni industriali.
Questi progetti disviluppo hanno innescato una serie di processi, tutti a discapito dellepopolazioni locali. La raccolta d’acqua di Gibe III frena le inondazioninecessarie a sostenere la produzione alimentare di circa 200.000 persone. Neldisperato tentativo di trovare altri mezzi di sussistenza i pastori hannospostato il loro bestiame nel Parco Nazionale Mago, ciò che ha scatenato la lotta con i soldatigovernativi incaricati di proteggere il parco. In altre zone, il governo etiopecostringe le comunità indigene a fare spazio alle grandi piantagioni,sfrattandole dalle loro terre ancestrali e senza risarcimento adeguato. Lagente del posto riferisce che una tattica del governo è quello di scatenare unacomunità contro l’altra al fine di reprimere meglio in caso di rivolta[21].Perriempire il serbatoio della diga prima e per deviare l’Omo dopo - che servirà all’irrigazione delle piantagioniindustriali – il livello del lago Turkana sarà drammaticamente ridotto, trasformandol’area nell’ennesimo luogo di conflitto per le risorse.
Dietro a questi progetti ci sono la Salini CostruttoriS.p.A., una delle principali aziende italiane operanti nel settore delleinfrastrutture, e i soldi della coperazione italiana, sotto forma di creditod’aiuto al governo etiope. Nel 2004 sono stati stanziati ben 220 milioni dieuro, nonostante: a) le obiezioni della Direzione Generale per la Cooperazioneallo Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri e del Ministero dell'Economia edelle Finanze, in quanto il contratto tra la Salini e Ethiopian Electric PowerCorporation è stato fatto senza gara d'appalto, in violazione del dirittoitaliano e dell’ UE; b) l’assenza di uno studio di fattibilità riguardante le speseper le misure di mitigazione dell’impatto ambientale; c) l’ulterioreindebitamento dell’Etiopia. Persino la Banca Mondiale, maggiore sostenitore diprogetti infrastrutturali nel Sud del Mondo, aveva negato il prestito[22].
Gli EPA sono degli accordi commerciali tra due gruppi dipaesi (paesi UE e paesi ACP), che mirano a eliminare le barriereprotezionistiche in nome del libero scambio. I negoziati, cominciati nel 2002 e ufficialmente conclusi nel 2014,mirano ancora una volta a proteggere l’economia europea – in un momento diprofonda crisi – attraverso l’apertura dei mercati dei paesi ACP ai prodottiEuropei eliminando qualsiasi daziodi importazione.
I paesi dell’Africa, Caraibi e Pacifico, già messi alla duraprova da severe trasformazioni ambientali, vedranno le proprie produzionilocali ulteriormente strangolate, anche perché non di godono di sussidi oincentivi statali, come quelle Europee. L’appello lanciato da Padre Zanotelli e Vittorio Agnoletto“Fermiamo gli EPA”[23] mettevain guardia sulle conseguenze nefaste di questi accordi per i paesi africani,che colpiscono le economie regionali e impediscono lo sviluppo di prodottinazionali.
5. Sfrattati dellosviluppo: un appello e un impegno politico

Individuare “il problema” da affrontare è una scelta fondamentale che influenza il percorso sia della comprensione che della soluzione. Non solo, ma identificare come problema una determinata questione piuttosto che un'altra, è un’operazione ideologicamente orientata, perché riflette uno specifico modo di vedere le cose e il mondo.

C’è una profonda differenza ideologica, politica, morale e tecnica tra:

a) fare fronte ai “migranti senza visto” che secondo i governi e la maggior parte dell”opinione pubblica disturbano le nostre vite;

b) assistere i “migranti da sfratto”, ovunque essi siano, anche intervenendo sui meccanismi che portano agli sfratti, espropriazioni e migrazioni forzate.

Scegliere se il problema da porci sia a) oppure b) influirànon solo sulle nostre scelte future in termini di ricerca, politiche,provvedimenti, ma definirà anche di chi e di che cosa prenderci cura e quindidi chi siamo.
A mio parere affrontare il problema in termini di migranti(quali che essi siano) non rende giustizia né alle complesse cause eresponsabilità intrinseche né agli obiettivi di radicale cambiamento, giàespressi da una certa parte della società, e che nel convegno stesso hannotrovato spazio e parole, a partire da quelle di Barbara Spinelli.
Anche estendendo (giustamente) la categoria degli aventidiritto di asilo a coloro che si trovano costretti ad abbandonare le loro terreper fenomeni causati da mutamenti socio-ambientali, non si cambierebbe il mododi concepire la società e veder il mondo dal di sopra (il Nord). Quello checontinuerebbe ad alimentarsi sarebbe il “pensiero abissale”, cioè «una disposizione intellettuale,filosofica e politica, che si traduce nella capacità di tracciare linee attraversole quali istituire divisioni radicali all'interno della realtà, rendendone unaparte «riconoscibile», rispettata, rilevante, e condannando tutto il resto all'irrilevanzae all'inesistenza».[24]
Propongo quindi di parlare di “sfrattati dello sviluppo” pertre ragioni:
- per evidenziare che il problema e il grandedramma sta in chi è sfrattato, cioè costretto a lasciare il proprio luogo diorigine, e non nel cercare rifugio altrove che è una conseguenza e che diventaproblema solo nel momento in cui l’altrove non è disposto ad accogliere;
- per rendere esplicite le cause strutturali edipendenti dall’azione che generano gran parte delle migrazioni e riconoscerela responsabilità delle nostre società, perché è su queste che possiamo agirecambiando radicalmente il modo di concepire il mondo e il modello di sviluppodi riferimento;
- per dare un senso profondamente politico all’impegnoe alle azioni necessarie per sostenere il cambiamento.
Questo scritto diventa anche un appello, perché comprendere non è sufficiente percambiare, e il passo successivo è farcomprendere. Convincere il maggior numero di persone che queste politicheeuropee sono degradanti per la nostra civiltà, non rappresentano ciò che siamooggi, e ciò che vogliamo essere domani. Accettare queste politiche significaapprovare di sopraffare e calpestare gli altri, che un domani potremmo ancheessere noi o i nostri figli, perché il modello che vita che ci siamo costruitinon lascia scampo e non permette di raggiungere quei principi di libertà euguaglianza in dignità e diritti, che ci accomunano in quanto essere umani.
Johannesburg, 10 ottobre 2016
Il testo è scaricabile qui in formato .pdf


[1] La registrazione e trascrizione completa del Convegnoè disponibile sul sito di Radio Radicale: https://www.radioradicale.it/scheda/486729/il-secolo-dei-rifugiati-ambientali-analisi-proposte-politiche.
[2] Salvatore Altiero eMaria Marano (a cura di) “Crisiambientale e migrazioni forzate”, 2016, http://asud.net/wp-content/uploads/2016/07/Crisi-ambientali-e-migrazioni-forzate-def.pdf
[3] UNCHR, “Global Trends 2015”, http://www.unhcr.org/576408cd7.pdf
[4] IDMC, “Global Report on Internal Displacement”, May2016,http://www.internal-displacement.org/assets/publications/2016/2016-global-report-internal-displacement-IDMC.pdf
[5] Dati riferiti al 2015, estratti da “Global Trends2015” (op.cit).
[6] Vedi gli articoli di Guido Viale “Il gioco crudele delMigration compact” e di Alex Zanotelli “No Migration Compact” per unaspiegazione più esaustiva; rispettivamente su eddyburg alle pagine:

[7] Si legga per esempio l’articolo di Tonia Mastrobuoni “L’implicitoaccordo dei carnefici dell’EU sul destino dei migranti”, su edduburg allapagina:

[8] Op. cit.
[9] La FMO parla di migrazioni forzate, termine che io ho ritenutoopportuno cambiare in “migrazioni da sfratti” (http://www.forcedmigration.org).
[10] Al Convegno la relazione di Francesca Casella ha messoin evidenza come nel mondo ci siano 200,000 aree protette, di cui il 50% sonoanche gli habitat di origine di popolazioni indigene, che vengono cacciate innome della “conservazione e tutela”.
[11] Consiglio di leggere Salvatore Altiero e MariaMarano (a cura di), “Crisi ambientale emigrazioni forzate”, op.cit.
[12] ib., p. 8.
[13] François Gemenne “L”Antropocene e le sue vittime: unbuon motivo per parlare di rifugiati ambientali” relazione al convegno “Il secolodei rifugiati ambientali?”.
[14] Gilber Rist, “Losviluppo. Storia di una credenza occidentale”, 1997, Bollati Boringhieri.
[15] Ilaria Boniburini,"L’ideologia della crescita, l’inganno dello sviluppo”, in: Mauro Baioni,Ilaria Boniburini, Edoardo Salzano, La città non è solo un affare, ÆmiliaUniversity Press, 2013, pp: 5-21.
[16] I dati sono statiestrapolati da: (a) rapporto “Crisi ambientale e migrazioni forzate” a cura diSalvatore Altiero e Maria Marano; (b) dalla relazione “Il diritto all”acqua e iprofughi idrici” di Emilio Molinari ; (c) dalla relazione “Dagli EPA (EconomicPartnership Agreements) al Land Grabbing: l”impatto sui processi migratori” diVittorio Agnoletto.
[17] Raccomando diascoltare l’intera registrazione della presentazione di De Marzo sul sito diRadio Radicale.
[18] Franz Fanon, “I dannati della terra”, 2007 [1962],Einaudi, p. 143.
[19] ib. p. 227.
[20] Miguel Mellino, “Un classico per il presente”, Il manifesto, 18 maggio,http://rassegnastampa.unipi.it/rassegna/archivio/2011/05/18SI93020.PDF.
[21] The Oakland Institute, “Omo Tribes under threat”,2013.
[22] Per un approfondimento si legga Salvatore Altiero,“Lago Turkana e
Valle dell”Omo: dalle dighe made in Italy alle barriere dell’Europa,lo sviluppo che genera migrazioni” in A Sud – CDCA “Crisi ambientale emigrazioni forzate”, op. cit. pp.
[24] Traduzione dell’autore di Boaventura de Sousa Santos,“Beyond abyssal thinking”, 2007,http://www.boaventuradesousasantos.pt/media/pdfs/Beyond_Abyssal_Thinking_Review_2007.PDF.
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