CANTIERI costituzionali sono aperti o in via di apertura in diversi luoghi d’Europa. A Bruxelles, a partire dall’autunno, comincerà la fase decisiva per il futuro costituzionale dell’Unione europea, affidato al lavoro della Convenzione. In Francia, anche come contraccolpo delle tormentate vicende che hanno accompagnato l’elezione di Chirac, si parla della necessità di mettere le mani sulla Costituzione della V Repubblica. E proposte analoghe vengono avanzate in Germania, guardando alle prospettive che si apriranno dopo le prossime elezioni politiche.
Il cantiere italiano è aperto da quasi vent’anni, da quel 1983 che vide l’invenzione delle commissioni bicamerali, con effetti soltanto negativi e nessun beneficio, come tardive autocritiche di questi giorni cominciano a riconoscere. Oggi il dibattito riprende intorno al presidenzialismo, ma sullo sfondo già s’intravede una novità, legata all’emergere di proposte di revisione anche della prima parte della Costituzione.
Si tratta di una novità perché, soprattutto nell’ultima fase, il compito affidato alle commissioni bicamerali era stato esclusivamente quello di modificare il testo costituzionale nella sua seconda parte, quella relativa all’organizzazione dello Stato, escludendo interventi sulle norme riguardanti i diritti e i doveri dei cittadini. Questa distinzione poteva ben essere considerata artificiosa, perché molti dei diritti e delle libertà considerati nella prima parte della Costituzione trovano poi la loro effettiva garanzia nel fatto che eventuali loro limitazioni possono avvenire solo ad opera della magistratura, di cui si parla nella seconda parte.
In Italia forzature in concreto sarebbero possibili Ma in tal caso ci troveremmo di fronte a un vero cambiamento di regime e a un’autentica rottura
In Francia nessuno pensa di mettere mano alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1789 E le antiche norme del "Bill of rights" negli Usa restano un punto fermo
Sicché ogni intervento limitativo della indipendenza della magistratura porta con sé un indebolimento anche del quadro dei diritti, anche se questo rimane formalmente immutato. E tuttavia escludere la revisione della prima parte ha sempre avuto un forte valore politico e simbolico, poiché in questo modo si ribadiva la fedeltà ai valori e ai principi fondativi della Repubblica.
Questa impostazione è superata? Non direi, e l’ultima conferma è venuta dal recentissimo messaggio del presidente della Repubblica, che ha voluto sottolineare la "continuità di ideali e di valori dal Risorgimento alla Resistenza, alla Costituzione repubblicana". Ideali e valori che trovano la loro concreta manifestazione proprio in quella prima parte della Costituzione che Massimo Severo Giannini, critico della seconda, definì "splendida".
L’inammissibilità di interventi volti a modificare quel nucleo di valori fondamentali è stata esplicitamente affermata dalla Corte costituzionale. In una famosa sentenza del 1988, relatore Antonio Baldassarre, si è detto che "la Costituzione italiana contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali", perché "appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana".
Vi è, dunque, un limite insuperabile da chiunque intenda aggiornare e modificare la Costituzione. Questo non vuol dire, ovviamente, che forzature non siano in concreto possibili, e che una maggioranza non possa decidere di cambiare anche le norme in cui si esprime quell’insieme di valori. Il realismo politico impone di prendere in considerazione anche questa eventualità. Solo che, qualora un fatto del genere si verificasse, saremmo di fronte ad una vera e propria rottura costituzionale, ad un cambiamento di regime. Questo non vuol dire, peraltro, che non sia ammissibile alcuna modifica di specifiche norme contenute nella prima parte della Costituzione. Solo che questa revisione, per essere in linea con le indicazioni della Corte costituzionale, deve rappresentare uno svolgimento della logica dei principi esistenti, non una loro contraddizione.
La storia costituzionale mostra quanto sia importante tener fermo un nucleo essenziale di libertà e di diritti al quale, nel tempo, i cittadini si abituano a far riferimento. In Francia la Costituzione continua ad aprirsi con un esplicito richiamo alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. Negli Stati Uniti nessuno pensa di proporre modifiche della costituzione, e delle più antiche norme del Bill of Rights, per il solo fatto che hanno più di duecento anni. Né in Germania si parla di cancellare, ad esempio, l’art. 15 della costituzione, dove pure si afferma che "la proprietà terriera, le ricchezze naturali ed i mezzi di produzione possono essere trasferiti, ai fini della socializzazione, alla collettività, o essere sottoposti ad altre forme di economia collettiva mediante una legge che determini il modo e la misura dell’indennizzo". Si riconosce, in definitiva, che le costituzioni hanno una loro intima sostanza che le proietta al di là delle contingenze e delle maggioranze che diedero loro origine.
L’essenziale funzione di garanzia e di costruzione di un "patriottismo costituzionale" si perde se la costituzione viene considerata come una legge tra le altre, sempre bisogna di aggiustamenti secondo il mutare delle stagioni politiche. L’uso congiunturale delle istituzioni ha sempre prodotto guasti non facilmente rimediabili.
Ma, si dice, la Costituzione repubblicana è figlia d’un mondo politico scomparso, non riflette adeguatamente una realtà sociale ed economica profondamente mutata, tanto che in essa non v’è alcun riferimento all’impresa. In questi argomenti si manifesta una cultura istituzionale che non coglie le specificità del nucleo di principi dei testi costituzionali, di cui deve essere assicurata la "lunga durata" proprio per permettere loro di adempiere alla funzione di garantire stabilità all’ordinamento e di non esporre i diritti e le libertà alla mutevole volontà delle maggioranze. Questo non contraddice l’esigenza di adattamento alla realtà in continua trasformazione. Ma le corti americane hanno affrontato e risolto questioni nate da Internet continuando a fare riferimento ad una norma del Bill of Rights approvata addirittura nel 1789, mostrando così quanto possa un uso intelligente dell’interpretazione evolutiva. E, interpretando l’art. 41 della Costituzione italiana dove si afferma che "l’iniziativa economica privata è libera", si è sempre ritenuto che questo ampio concetto comprendesse, ovviamente, anche l’impresa. O le proposte di modificare l’art. 41 mirano piuttosto ad eliminare quella sua parte dove si dice che l’iniziativa economica privata "non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana"?
Ho fatto riferimento a questo articolo anche perché esso, lungi dal riflettere un mondo passato, manifesta uno dei tratti di lungimiranza della nostra Costituzione, con il suo riferimento alla "dignità umana". Un riferimento che si ritrova in altre norme, come quella che assicura al lavoratore una retribuzione "in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa"; e soprattutto nell’art. 3, che si apre con le parole "tutti i cittadini hanno pari dignità sociale". Oggi il riferimento all’inviolabilità della dignità umana apre la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che così conferma come quel valore debba essere considerato parte del nucleo immodificabile della nostra Costituzione.
Più che discutere della revisione della prima parte della Costituzione, oggi è importante svilupparne i valori profondi per rafforzare le premesse, le precondizioni del processo democratico. Lo ha fatto in modo eloquente il messaggio del presidente della Repubblica, che si apre con una affermazione impegnativa e solenne, quasi un monito non solo a Governo e Parlamento, ma a tutti i cittadini: "la garanzia del pluralismo e dell’imparzialità dell’informazione costituisce strumento essenziale per la realizzazione di una democrazia compiuta". L’accesso al sistema dell’informazione, tra l’altro, è una condizione necessaria perché la partecipazione politica avvenga in condizioni di eguaglianza e non dipenda dai mezzi finanziari dei quali si può disporre.