Tre aneddoti su B. Con quanta empatia venerdì 23 agosto racconta i suoi miracoli all´assise riminense Cl: l´assemblea invoca luce; e toltasi la giacca, lui irradia torrenti luminosi. Poche settimane dopo, ritto sulla jeep, sfila davanti a reparti in armi, acclamato «Silvio!, Silvio!». Martedì 26 novembre il Tribunale viene da Palermo a sentirlo sul sodale bibliofilo, sotto accusa d´affari mafiosi, e lui non risponde, quale ex possibile imputato d´un procedimento connesso. Siamo nella norma? Complicano l´anomalia artisti d´una politica esoterica. L´archetipo italiano è Ludovico Sforza, detto il Moro, usurpatore del ducato milanese (reggente dal 1479, spodesta l´erede Giangaleazzo). Philippe de Commines lo descrive instabile, sottile, ombroso, funambolo, "homme sans foi": la paura gli stimola un funesto eretismo tattico; temendo gli Aragona (Isabella, moglie del nipote in gabbia, è un´aragonese, nipote del re Ferdinando), tresca con Massimiliano d´Absburgo, poi chiama Carlo VIII; gioca partite sincrone; ogni tanto cambia cavallo e finisce malissimo. Caso altrettanto tipico, nel mondo slavo, l´ultimo ministro degli esteri polacco anni Trenta, colonnello Joszef Beck. Alla domanda d´un ospite straniero, cosa pensi d´Hitler, risponde inarcando le sopracciglia: bravo, e sorride; ma quanto dista dal colonnello Beck (A.J.P. Taylor, "The Origins of the Second World War", Penguin Book, 248). Voleva sedere a Monaco, quinto Big: concupisce l´Ucraina; non degna le proposte tedesche su Danzica e Corridoio, sicuro d´intimidire i colossi confinanti; tra due lievi colpi del dito sulla sigaretta incassa l´inutile garanzia inglese; rifiuta l´aiuto russo, molto equivoco ma era la sola carta; e in tre settimane la Polonia sparisce. Esempi da ripensare quando intenditori sopraffini deplorano che gli allarmisti "strillino al regime". Ogni tanto i politicanti parlano lingue lunatiche. Nel lessico comune, dove "regime" significa varie cose, è chiaro che l´Italia 2002 ne subisca uno: sono tanti quanti gli stili governativi; e visto l´attuale, definiamolo regime personale.
Ha qualcosa delle signorie trecentesche. Il punto comune sta nell´investitura popolare o balìa ma, issato al potere dalla borghesia grassa, il signore, appena può, taglia il cordone ombelicale inaugurando politiche meno classiste: perequa i carichi fiscali; nel Pavese i Visconti abbassano i magnati e proteggono le campagne, oppresse dal Comune; a Firenze il duca d´Atene tutela i popolani. La metamorfosi, insomma, porta anche ordine, giustizia, stabilità. È cominciata dal voto assembleare: gli oligarchi delegano i poteri; il mandatario s´emancipa quale vicario imperiale; e dal titolo signorile ereditario nasce lo Stato (A. Anzilotti, "Movimenti e contrasti per l´unità italiana", Laterza, 1930, 1-31). Ora, mentre le Signorie puntavano al futuro, B. incarna forme regressive del potere. Nella fisiologia dell´alternanza il sistema ammette profondi dissensi (mercato del lavoro, fisco, istruzione, ecc.), ma qui sono a repentaglio regole capitali, come non avviene tra Pompidou o Giscard d´Estaing e Mitterand oppure quando Margaret Thatcher sbaraglia le Trade unions. Solo i finti ciechi non vedono l´anomalìa italiana. Era cresciuto sotto l´ala d´una consorteria politica, orfano della quale, irrompe sul campo perché deve salvarsi. Nell´anno 1992 l´auriga dal garofano rosa arranca, poi affoga. Cade il trinomio Caf (Craxi-Andreotti-Forlani), vacanti Quirinale e Palazzo Chigi. L´establishment muore infognato nel malaffare, avendo condotto l´Italia a due dita dalla bancarotta: fosse ancora vitale, impedirebbe i processi mobilitando sapienti inerzie (così avveniva ai bei tempi); e moltiplicato da labili psicodrammi popolari, l´evento giudiziario affretta lo scioglimento. Naufragano Dc, Psi, Psdi. Vanno alla deriva masse d´elettori captabili dal concorrente più abile. L´unico sopravvissuto è l´ex Pci in cerca d´identità. Manca l´organismo politico dell´opinione liberalsocialista. Mai viste congiunture così fluide.
Anziché puntare sulle lobbies o assumere politici professionisti, B. giostra a viso scoperto, incurante degli avvertimenti (dal fedelissimo alter ego): cava dall´azienda un partito, avendo sotto mano masse elettorali nel suo pubblico televisivo; imbarca i post-fascisti, sdoganandoli dalla quarantena, e Lega; sceglie una sigla dal lessico nazional-calcistico; rende ossequio labiale al movimento epuratorio, mentre raccoglie l´eredità attiva della classe politica folgorata; inalbera insegne d´anacronistico anticomunismo; e gioca al tavolo delle ciarle. Passerà alla storia come supremo antipedagogo, l´Attila degli schermi. Gli spettatori hanno 12 anni, ripete senza stancarsi, esigendo dagli spacciatori formule elementari che vadano diritte alla midolla: dove soffia lui, non cresce più l´erba intellettuale; altro che i dottori Mabuse e Caligaris nei film espressionisti tedeschi. Paragonati agli attuali, i vecchi programmi televisivi erano arte, varia cultura, decoro, sentimento morale. In mano sua lo spettacolo diventa ignoranza, volgarità aggressiva, ciarlataneria, svago plebeo. Con tali arnesi cattura mezza Italia, pescando nelle acque vedove, erede d´un ceto sulla cui caduta versa lacrime da coccodrillo, imputandola al complotto comunista, mentre se fosse meno istrione, ammetterebbe d´avervi guadagnato. L´avventura governativa dura appena 6 mesi. Sconfitto 2 anni dopo, sopravvive benissimo ai 5 nel deserto, anzi, cresce sulla pelle degli alleati e ruba voti agli antagonisti, nei quartieri operai, ad esempio. Stavolta piglia tutto.
Più che vittoria sua, è un suicidio ex adverso. Rammentiamolo perché le memorie politiche deperiscono. Nella primavera '96 il Centrosinistra vince sul traguardo, avendo giocato meglio la partita con uno schieramento dall´area liberale alla neocomunista, mentre sulla destra mancano i voti della Lega. Il da farsi appare chiaro: governare bene, riassestando i conti affinché l´Italia entri nell´Unione europea, obiettivo arduo; e risolvere l´aberrante conflitto d´interessi, cominciando dalle televisioni. L´opera riesce a metà: buono l´esecutivo; funesta la politica nelle Camere; e quanto meglio lavora il governo, tanto meno vitale appare; i becchini contano le settimane; l´aspirante erede postula un B. senza futuro politico o addomesticabile: due ipotesi false, e avvia dialoghi intesi niente meno che a rifondare la Repubblica. L´affabile mago vende fumo, nel qual mercato incanterebbe anche Asmodeo, uno dei più fini alla corte diabolica. L´abbaglio costa caro nella partita con un eversore quale costui era ed è. Alla falsa diagnosi seguono scelte empie. Imperdonabile l´oblio del conflitto d´interessi, né aveva senso colpire le toghe, nemmeno incombesse un temibile potere inquisitoriale: dei dulcamara tengono consulto; un barbiere arrota i ferri; l´Italia corrotta trova benevoli rivalutatori; corre voce che i giudizi berlusconiani siano risolubili extra ordinem, Dio sa come, magari attraverso salvacondotti parlamentari, simili alle lettres de grâce con cui monarchi iure divino salvavano i loro protetti. La Bicamerale tiene a balia filosofie forzaitaliote. Passi falsi elettorali completano la débâcle e poteva finire peggio.
B. deve molto ai "comunisti": erano manna elettorale i diavoli rossi, né fiatavano gli opinanti cosiddetti liberali (salvo schernire l´"apocalittica" antiberlusconiana, e dopo le figure ridicole o pietose al governo, apparso qual è l´uomo d´Arcore, un bagalùn d´l lüster bravissimo solo nell´arricchirsi sulla pelle pubblica, gli rendono l´ultimo servizio predicando il disgelo); non fosse esistito quel Pci, lo inventerebbe; vuole oppositori su misura. Qualche uomo della nomenclatura convola nelle sue file o se lo sogna partner. Lievitano affinità trasversali e pose dialoganti. Ma ogni tanto batte dei colpi un´etica immanente nella storia: e allora le furberie amorali perdono; uomini d´apparato divorano i concorrenti; poi, nonostante l´imprinting bolscevico o forse a causa dello stesso, cadono nelle fauci berlusconiane. S´illudevano d´averlo catturato, quasi non fosse il suo mestiere spacciare illusioni da quando intratteneva i croceristi sulle navi. Bisognava chiudere seriamente la partita. Gli epigoni del Moro filano intese costituenti, l´accreditano e gli lasciano l´ordigno con cui li sgomina. In francese l´idea è presto definita: i dialoghi sono auspicabili con Chirac, avversario, ma lui era Le Pen, nemico; né appare meno predone dopo la vittoria, meno che mai adesso, con l´acqua alla gola. Il lupo nell´ovile non perde i vizi; e se falsi testimoni lo dicono penitente, stia attento l´uditorio: sono favole da Malebolge, le fosse «color ferrigno» contenenti il mondo della frode, «ruffiani, ingannatori, lusinghieri» e simili (Inferno, XVIII).