Il nostro rischio di cancro è solo un sintomo, del vero cancro che si sta mangiando il territorio che abbiamo sotto i piedi, e che alimentiamo anche con le abitudini di consumo: più che mai insomma è ancora valida la famosa massima secondo cui il personale è politico. Today, 2 novembre 2015
Perché di che mondo ci parlava, quella OMS mondiale per definizione e che di mondiale deve per forza avere la prospettiva? Ci parlava di un mondo dove quote assolutamente maggioritarie delle proteine animali desinate all'alimentazione umana viaggiano su filiere che paiono studiate apposta per riprodurre il peggio della logica industriale: dall'accaparramento di vastissimi territori remoti, strappati agli agricoltori tradizionali e convertiti in gigantesche macchine da allevamento tritatutto; ai sistemi di alimentazione del bestiame, ingollato a milioni e milioni di esemplari in batteria peggio delle peggiori oche da fois gras delle leggende; alle fucine di satanasso della lavorazione e distribuzione finale del frullato industriale, con la ciliegina dell'etichetta-logo e della pubblicità magari salutista-tradizionale (un bel panorama agreste sulla confezione non si nega a nessuno).
Tutto questo per una clientela prevalentemente urbana, che nulla sa dei criteri di sfruttamento delle risorse agricolo-territoriali, e si immagina magari sul serio che quel brandello di bestia che gli fuma nel piatto guarnito di verdure e aromi, venga davvero dall'animale sorridente disegnato in etichetta, da quegli sfondi collinari col casale in prospettiva, dal tizio baffuto col cappello di paglia delle pubblicità interpretato da un attore professionista. Nulla sa, quella clientela urbana che rischia il cancro, al 15% o 10% in più o chissà quanto, i calcoli sono ovviamente perfettibili, del fatto più importante: il cancro vero è quello delle forme di produzione, delle quantità di proteine animali indispensabili a garantire quei prezzi e quel mercato, nell'attuale modello alimentare. Semplicemente, se ci fosse sul serio la famosa produzione locale sostenibile, a chilometro zero, magari dentro qualche «greenbelt» metropolitana dove è possibile l'allevamento da carne, il cotechino col purè (o l'hamburger, o il prosciutto, o la bistecca) lo assaggeremmo poche volte l'anno, pagandolo un occhio come merita, esattamente come i nostri nonni quando la filiera produttiva assomigliava parecchio a quel modello. Quello che ci dice implicitamente, il comunicato dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, è che il nostro rischio di cancro è solo un sintomo, del vero cancro che si sta mangiando la terra che abbiamo sotto i piedi, e che alimentiamo anche con certe pessime abitudini alimentari e di consumo. Una volta capito questo, poi, torniamo pure a sfottere, a dare dei pervertiti ai vegetariani o a chiunque discuta di ambiente o etica, siamo in democrazia e possiamo pure farlo, no?