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Valerio Gualerzi
Green City
30 Settembre 2014
Nostro pianeta
Una vera e propria rassegna di ovvietà che pare presa di peso da certi supplementi illustrati patinati da anticamera del dentista, non si può fare di meglio? In fondo il materiale non mancherebbe: basta provare a capirlo, prima di scrivere.

Una vera e propria rassegna di ovvietà che pare presa di peso da certi supplementi illustrati patinati da anticamera del dentista, non si può fare di meglio? In fondo il materiale non mancherebbe: basta provare a capirlo, prima di scrivere. La Repubblica, 28 settembre 2014 (f.b.)

C’erano una volta i vecchi giardinetti. Ora quello che è stato per anni l’unico, striminzito, assediato presidio della natura nelle periferie delle città, si appresta a essere travolto da un’ondata di verde che trasformerà radicalmente i paesaggi cittadini. Boschi verticali e foreste, corridoi e tetti verdi, orti urbani e serre idroponiche. Le nuove politiche lanciate dalle amministrazioni comunali di mezzo mondo promettono di fare delle città luoghi dove la natura si intreccia sempre più col vecchio paesaggio di asfalto e cemento. C’è perfino chi vorrebbe nominare già oggi Londra “parco nazionale”, visto che il 47 per cento del suo territorio è verde. Ormai è chiaro non solo ai soliti ambientalisti, ma anche ad amministratori avveduti e imprenditori illuminati: sarà nelle metropoli che si combatterà la battaglia per la qualità della vita, che sarà scavata la trincea della resistenza ai cambiamenti climatici, che si lotterà per sfamare una popolazione mondiale che entro fine secolo potrebbe arrivare a tredici miliardi di persone.

Le città ospitano più della metà della popolazione mondiale, consumano due terzi dell’energia e producono oltre il 70 per cento delle emissioni di CO2 responsabili del riscaldamento globale. Bastano queste cifre a far capire la portata di una sfida che si gioca attraverso un ventaglio di iniziative: messa in efficienza del vecchio patrimonio edilizio (come ha appena ribadito di voler fare il sindaco di New York), costruzione di nuovi quartieri carbon neutral, diffusione delle energie alternative, sistemi di trasporto sostenibile a zero emissioni e, soprattutto, integrazione della natura nel tessuto urbano, compresa la diffusione di piccole aree paludose capaci di depurare le acque reflue. «Il verde in città significa maggiori capacità di assorbimento delle acque piovane e riduzione dei rischi di inondazione, temperature più basse e quindi minori esigenze di raffreddamento, oltre che maggiore vivibilità», ricorda Piero Pelizzaro, responsabile della cooperazione internazionale del Kyoto Club. Detto in altre parole, gli ecosistemi che si fanno spazio tra tangenziali e cavalcavia ci offrono quello che Yvonne Baskin in un saggio ha ribattezzato “Il pasto gratis”: una serie di preziosi servizi come la pulizia dell’aria, la depurazione dell’acqua, l’eliminazione di insetti fastidiosi. «Si pianta erba ovunque è possibile, persino, come in Germania, tra i binari dei tram», dice ancora Pelizzaro. «Dei tetti verdi e dei giardini verticali che assorbono acqua piovana e tengono freschi gli edifici si è parlato già molto», aggiunge. «Anche l’Italia, cronicamente in ritardo su questi temi, ha iniziato a muoversi con l’installazione voluta da Renzo Rosso per la nuova sede di Diesel a Breganze o con il bosco verticale creato con il Progetto Porta Nuova nel centro Direzionale di Milano. Ciò che è meno noto è il proliferare delle foreste e delle aree umide urbane.

Sempre più spesso il compito di recuperare le vecchie zone industriali o le infrastrutture dismesse, come la High Line di New York, è affidato al lavoro della natura, anche perché più economico rispetto alle costose demolizioni ». Da questo punto di vista uno progetti più interessanti già realizzato è quello di Vitoria-Gasteiz, nei Paesi Baschi spagnoli, European Green Capital 2-012 , dove è stata creata una “cintura verde” che abbraccia la città con tre fasce concentriche che mettono in comunicazione i parchi del centro con le foreste e le montagne dei dintorni, passando attraverso l’ex area industriale. Anche l’Epa, l’agenzia statunitense per l’ambiente, ha scelto di riqualificare nientemeno che Detroit, capitale della deindustrializzazione, attraverso il progetto Greenstreetscape che prevede il coinvolgimento dei cittadini nella creazione di nuovi spazi verdi «casa per casa». Un’operazione destinata a ripetersi in molte altre metropoli, conquistando il consenso, come hanno captato le attente antenne di quegli scopritori di nuove tendenze che sono i pubblicitari. Non a caso hanno scelto per uno degli ultimi spot per Tim un gruppo di guerrila gardening che notte tempo trasforma in aiuole fiorite i brulli e abbandonati ritagli di terra delle nostre città.

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