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Vittorio Emiliani
Grandi opere con piccole opere
21 Luglio 2012
Scritti ricevuti
Invece che sulle megastrutture occorre investire su piccoli interventi diffusi e condivisi. Scritto per eddyburg, 20 luglio 2012 (m.p.g.)

Meglio alcune Grandi Opere oppure tante, diffuse Piccole Opere? Da tempo economisti e trasportisti, ma anche politici (come Pier Luigi Bersani), sostengono che la seconda opzione sia preferibile: più agile, meglio condivisa dalle popolazioni e quindi più cantierabile. Il migliore antidoto contro la crisi occupazionale drammaticamente in atto. Una filosofia opposta all’enfasi berlusconiana delle Grandi Opere (e non meno Grandi Trafori) tanto cara a Lunardi e a Matteoli.

Prendiamo il comparto dell’edilizia gravemente depressa. Durante l’ultimo “boom” edilizio (2000-2008) l’offerta era fatta di seconde e terze case o di alloggi “di mercato”, nulla per la angosciosa domanda di edilizia economica e sociale (adesso fa fino chiamarla “social housing”) per la quale l’Italia è finita in coda all’Europa con un misero 5 % (la Francia è al 17, l’Olanda al 34). La situazione occupazionale sarebbe meno disperata se, invece di finanziare la speculazione edilizia (e sempre nuovo consumo di suolo), si fosse impostato un serio piano pluriennale di recupero del patrimonio edilizio degradato, sfitto, precariamente occupato (a Roma 185.000 alloggi, a Milano 90.000, con uffici vuoti equivalenti a 30 grattacieli).

Il discorso vale per la messa in sicurezza anti-sismica e idrogeologica, strategiche nel nostro Paese sismico e franoso, per la riforestazione mirata, con le essenze autoctone, dell’Appennino. Ma sarebbe bastato non togliere ossigeno ai Parchi “motori”, di per sé, di una nuova, diffusa economia agro-silvo-forestale, invece a rischio di soffocamento.

Le Grandi Opere sono fondate, in genere, su non meno Grandi Previsioni. Spesso fantasiose. Come il traffico passeggeri e merci fra Italia e Francia posto alla base della TAV, che sarebbe dovuto balzare a vette incredibili e inevece è sceso nettamente. Per cui gli esperti di trasporto da anni invitano a ragionare e a progettare su dati reali. Anche il cosiddetto Corridoio Tirrenico da Livorno a Roma (oltre sul Tirreno non si va) è stato prima spacciato come un “obbligo europeo” e poi come opera comunque strategica. Malgrado i veicoli/giorno risultassero 18.000, pochi per un’autostrada a pedaggio. Non basta: quei 18.000, oggi calati del 20 %, sono per due terzi di maremmani che giustamente invocano l’esenzione dal pedaggio, oppure il diritto (costituzionale) di fruire di complanari gratuite, costosissime da realizzare sul piano finanziario e ancor più pesanti sul piano ambientale. Il tratto di gran lunga più pericoloso dell’Aurelia è quello fra Grosseto e Civitavecchia (sotto Capalbio una sola corsia di marcia per parte) con 0,87 incidenti/Km, il doppio della media Italia e della Rosignano-Grosseto. Dove invece, a Cecina, suo collegio, l’allora ministro Matteoli concentrò i pochi fondi disponibili. Per fortuna la Giunta Marrazzo aveva concordato e definito il progetto per la Civitavecchia-Tarquinia (una corsia soltanto) che ormai “vede” i primi cantieri. Rimane il nodo difficile di Orbetello. Comune e Provincia propongono una bretella al di là della collina a est che però trancia boschi, aziende biologiche, siti archeologici (Settefinestre). Bisogna studiare, discutere e ancora discutere, progettando tante piccole opere ben fatte anziché poche grandi opere impattanti, spesso infinite. “Dobbiamo insieme trovare le soluzioni più ‘risparmiose’”, ha detto, ad un recente convegno a Orbetello (disertato da Comune e Provincia), Maria Rosa Vittadini, docente a Venezia. Nel 2001 il governo Amato approvò il sospirato Piano nazionale dei trasporti. Berlusconi lo buttò via. Ecco i risultati.

Un versione ridotta dell’intervento è stata pubblicata su L’Unità del 20 luglio 2012.

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