C'è un punto di debolezza nelle posizioni dei fautori del bipolarismo, che in questi giorni sono insorti a gran voce - in nome dell'opportunità dell'alternanza fra due Poli nel governo del paese -, contro l'ipotesi del «terzo polo» o del «nuovo centro», rilanciata con forza da Mario Monti. La debolezza sta nel cattivo, anzi nel pessimo funzionamento del bipolarismo all'italiana: frutto di una raffazzonata legge maggioritaria, che ha compresso il tradizionale pluralismo del sistema politico italiano, ma ha prodotto due schieramenti che per la loro scarsa omogeneità e incoerenza non paiono in grado di svolgere, con incisività ed efficacia, né il ruolo di maggioranza né quello di opposizione. Qui, infatti, sta l'interrogativo fondamentale che si presenta quando si pensa che siamo ormai a meno di un anno dalle nuove elezioni politiche. Dove stanno, nell'attuale situazione di preoccupante crisi della democrazia e di grave declino economico e sociale, le condizioni per sperare che l'Italia possa avere un governo capace di affrontare positivamente questi problemi con chiarezza di idee e con reale capacità operativa?
Che nulla si possa attendere al riguardo dal centro-destra è sin troppo palese. Lo dimostra non solo il disastroso bilancio di questi anni: ma soprattutto il fatto che questo disastro non è casuale, ma è il frutto - oltre che di pochezza politica e culturale - della congenita subordinazione di questo schieramento da un lato ai ricatti dell'estremismo plebeo e sciovinista della Lega, dall'altro alle pressioni degli interessi particolaristici e privatistici di Berlusconi e del suo gruppo. Ma anche la coalizione di centro-sinistra, al di là dell'obiettivo, certamente importante, di porre fine al governo di Berlusconi, non sembra in grado di prospettare con coerenza e con la necessaria unità convincenti obiettivi politici e programmatici di un suo futuro governo. «Non siamo pronti»: con queste parole Alessandro Robecchi riassumeva in modo incisivo questa situazione sulla prima pagina del manifesto di domenica scorsa.
Naturalmente è molto difficile e anzi quasi impossibile dire se possa esservi qualche altra soluzione. Certamente non lo sarebbe una confusa e improvvisata operazione trasformistica che travolgendo i due Poli porti al governo, come qualcuno ha ipotizzato, le forze di centro dei due schieramenti. Ancora più confusa e pressoché impraticabile appare l'ipotesi avanzata da alcuni commentatori (per esempio Ernesto Galli della Loggia), ossia l'ipotesi di una sorta di parallelismo fra due centri, che dovrebbe realizzarsi assicurando che nelle elezioni prevalgano (ma come farlo?) le forze più centrali dell'una e dell'altra coalizione. Per carità di patria non richiamo neppure un'altra eventualità, quella data ricerca di un'intesa fra i due Poli in nome di una comune visione degli interessi nazionali: quell'intesa che già fu tentata nella precedente legislatura, con esito peraltro fallimentare, attraverso la Commissione bicamerale.
In definitiva la strada più realistica sembra restare quella che tutti coloro che chiedono all'Unione di centro-sinistra qualcosa di più che la pur importante vittoria elettorale su Berlusconi, facciano pressione perché i partiti dell'Unione - anziché gingillarsi nel gioco inutile e pericoloso delle primarie o insistere in diatribe interne che servono solamente ad alimentare ambizioni e rivalità - si decidano finalmente a utilizzare con serietà i mesi che ancora restano per ricercare un'intesa su una piattaforma politica e programmatica che entri davvero nel merito dei problemi: che sappia cioè coordinare efficacemente la necessaria azione di risanamento della finanza e dei conti pubblici con le scelte fondamentali per ridare forza agli istituti e alla partecipazione democratica, per riconquistare e consolidare i diritti dei lavoratori, per promuovere un'occupazione seria e qualificata, e per un rilancio efficiente e qualificante dello Stato sociale.Si può ancora sperare che accada qualcosa di simile? O ci si deve invece rassegnare all'idea che un governo di centro-sinistra sia destinato ad essere solo il classico «governo di lacrime e sangue», chiamato a far pagare al paese e soprattutto al lavoro dipendente i sacrifici e i prezzi del necessario risanamento, per cedere subito dopo il passo a un nuovo governo di centro-destra?
Se così fosse, non ci sarebbe davvero da sorprendersi se qualcuno mostra di preferire un'ipotesi alla Mario Monti. Ossia che, una volta eliminato Berlusconi, si possa presto arrivare - con le opportune modifiche elettorali magari favorite da un travaso di voti tra un polo e l'altro - al governo di uno schieramento moderato di centro che si assume l'onere del risanamento e che sia sufficientemente moderato per mediare tra i differenti interessi. Sarebbe, in sostanza, l'operazione neocentrista di cui tanto si parla. Alla quale, però, non si risponde efficacemente difendendo a ogni costo una sbagliata legge maggioritaria, oppure con un ulteriore spostamento verso il centro, come vorrebbe Rutelli. Che i moderati facciano i moderati è del tutto naturale. Ma, per un buon funzionamento della democrazia, occorre che si ricostituisca una robusta forza di sinistra che, dal governo o dall'opposizione, si impegni nella difesa dei diritti del lavoro, delle conquiste in campo sociale, degli istituti di democrazia.
Non si tratta di rimpiangere il passato. Ma anche dal passato c'è qualcosa da imparare. Non è vero, infatti, ciò che ha scritto sul manifesto Valentino Parlato: ossia che «il vecchio Pci, dall'opposizione, aveva governato meglio e di più di quanto i Ds non abbiano fatto da Palazzo Chigi»?