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Gli italiani (al Sud e al Nord) che campano di rifiuti
12 Gennaio 2008
Articoli del 2008
Tre articoli (Michele Serra, Massimo Serafini, Roberto Saviano) che aiutano a comprendere che cosa c’è dietro. Da la repubblica (3 e 5 gennaio 2008) e ilmanifesto (5 gennaio 2008)

Michele Serra

Rifiuti, ancora roghi e scontri. La Ue minaccia sanzioni

la Repubblica, 3 gennaio 2008

Una comunità che sprofonda e soffoca nei propri escrementi: difficile immaginare un’allegoria più devastante, quasi dantesca nella sua potenza punitiva. Le immagini infernali (e annose) di Napoli e parte della Campania che cercano una impossibile purificazione nel rogo delle cataste di rifiuti che intasano le strade ci riguardano non solo perché Napoli è Napoli, città del mondo affidata alla custodia italiana.

Ma perché quell’occlusione, pur essendo una catastrofe locale, incarna e ravviva una delle paure collettive più attuali e – ahimé – più motivate: quella di non essere più in grado, come consesso umano, di smaltire le nostre deiezioni. E di controllare, di governare la progressione geometrica dei consumi e delle scorie.

Naturalmente, al netto di questa sensazione (la sensazione, cioè, che le scorie di Napoli siano solo le più visibili, le più infette e ingombranti nel breve periodo), rimane lo scandalo, gigantesco, di un apparato politico, amministrativo, industriale e tecnico che proprio lì, e proprio ora, è stato totalmente sopraffatto dal fenomeno, e non è in grado di gestirlo. E l’immagine di autorità sopraffatte, a ben vedere, è perfino più paurosa del vecchio luogo comune – molto diffuso al Sud - delle autorità sopraffattrici: né la speculazione né eventuali arbitrii nelle decisioni hanno potuto sortire alcun effetto. Quando il risultato finale è l’impotenza, vuol dire che a lasciare il segno non è l’arroganza del potere, ma la sua debolezza, la sua latitanza. Ed è perfino peggio.

L’ultimo capitolo della labirintica vicenda dei rifiuti campani, fatta di continui passi falsi e frettolosi arretramenti, è la tentata riapertura di una discarica, quella di Pianura, chiusa dodici anni fa con la trionfale promessa di aprire proprio lì un campo da golf. Ma i green non si sono visti. Semmai si vedranno tornare, come un figliol prodigo non particolarmente atteso, i rifiuti, sotto la forma di quelle ecoballe che si accumulano a decine di migliaia, fino a formare non metaforiche catene montuose, nei siti che dovrebbero avviare i rifiuti ai due grandi inceneritori mai attivati.

A quanto si capisce (e non è facile orientarsi) il sistema di smaltimento della Regione Campania è infatti come un intestino chiuso, senza sbocco. Era stato impostato oltre dieci anni fa, dal governo regionale di centrodestra, sui termovalorizzatori di Acerra e di Santa Maria La Fossa, che avrebbero dovuto bruciare le famose ecoballe, a loro volta sbocco intermedio della raccolta differenziata.

A quanto pare nessuno di questi tre livelli (raccolta differenziata, trasformazione in ecoballe, incenerimento) è riuscito ad andare a regime. La raccolta differenziata a Napoli viaggia, secondo stime desolanti, attorno al dieci per cento del totale, e già qui è molto difficile stabilire se sia una mediocrissima pedagogia politica o il disastroso stato del senso civico diffuso a produrre i danni peggiori, le negligenze più gravi. Le ecoballe, che dovrebbero "preparare" i rifiuti allo smaltimento finale, evitando di destinare agli inceneritori anche i rifiuti tossici o riciclabili, pare siano del tutto inadeguate al loro scopo, spesso puri involti di tutto quello che finisce in discarica, indiscriminatamente. Quanto ai due termovalorizzatori, la storia è nota: ne esiste uno soltanto, quello di Acerra, ma ancora virtuale, non in grado di funzionare. E nel frattempo le ecoballe si accumulano a dismisura, intasando il livello intermedio. E i rifiuti rimangono nelle strade, intasando la vita delle persone.

Se il disastro fin qui descritto assomiglia alla realtà e alla verità, è ovvio che le colpe non possono essere limitate. Certamente il potere regionale, che si identifica da parecchi anni con il governatore Bassolino (che è stato anche, per lungo tratto, commissario straordinario per l’emergenza rifiuti), deve sobbarcarsi la percentuale più alta e inappellabile delle responsabilità. Ha ereditato dal centrodestra un’ipotesi di smaltimento, l’ha fatta propria, non è riuscita a portarla a compimento. Le municipalità locali, e questo salta all’occhio, non hanno neanche provato a farsi carico di ciò che non le riguardava. "Dove volete, ma non nel mio cortile" è stata la dilagante parola d’ordine in grado di animare ogni subbuglio, ogni preoccupazione per la salute locale ma anche ogni menefreghismo e ogni mini-localismo. "No alla discarica", e pazienza se la mia merda andrà a intasare le fognature degli altri. Basta che io non ne senta la puzza.

La camorra ha trasformato in industria l’inefficienza pubblica, si infila in ogni possibile pertugio lasciato incustodito dallo Stato, figurarsi in una voragine del genere. Ma viene da domandarsi se non sia, quello della mano malavitosa sui rifiuti, solamente uno scandalo collaterale rispetto all’incapacità di una regione popolosa, importante, depressa in alcune plaghe ma operosa, industrializzata e perfino tecnologica in altre sue parti, di mettere in piedi un sistema di smaltimento in grado di funzionare.

Perfino il dibattito sui modi (inceneritori sì o no, eccetera) è del tutto ozioso, lussuosamente ideologico, in una zona d’Italia che contempla le sue montagne di scorie senza riuscire a immaginare una maniera, virtuosa o viziosa che sia, di liberare il paesaggio. La regione italiana che esprime il leader dei Verdi, nonché ministro per l’Ambiente, non può fare altre ipotesi sul proprio futuro ambientale se non quella di turarsi il naso per sopravvivere.

Massimo Serafini

Una politica usa e getta

il manifesto, 5 gennaio 2008

Le nuove giornate di fuoco scatenate in Campania dall'eterna emergenza rifiuti sollecita una domanda: perché il rifiuto di inceneritori e discariche della popolazione campana è così radicale, «senza se e senza ma», infinitamente più duro che in altri posti, al punto da invocare la presenza dell'esercito? La risposta è semplice: da decenni la camorra seppellisce illegalmente, con profitti elevatissimi, nel territorio campano gran parte dei rifiuti tossici delle imprese del nord.

E in particolare di rifiuti tossici delle imprese lombarde e venete. Questa scomoda verità è da tempo nota, anche perché è tutta scritta in Gomorra, il bel libro di Saviano. Forse sarebbe il caso di mandare ai cancelli di quelle fabbriche esercito e polizia e non contro le popolazioni, in modo da far cessare questo traffico illegale che ha avvelenato gran parte della terre e delle acque della Campania, causando una diffusione di tumori e malattie di ogni tipo fra la popolazione che non ha pari in nessuna altra regione italiana.

Se non si parte da qui non si capisce nulla dell'emergenza rifiuti e della rabbia delle popolazioni. Soprattutto rende irricevibili i pelosissimi e continui richiami alla razionalità e l'invito di tanti a dire qualche sì, a cominciare dal presidente di Confindustria, che ha coperto le imprese responsabili di questi traffici mortali. Che cosa è stato fatto per stroncare questo traffico o per bonificare la terra intossicata ed avvelenata? Nulla, anzi dai cumuli ammassati lungo le strade non emana solo odore di marcio si sente forte la puzza dell' intreccio fra affari e politica su cui questa realtà ha potuto consolidarsi.

Grandi sono dunque le responsabilità dei decisori politici, soprattutto quelli di sinistra, che in questi anni sono stati latitanti. Forse più che di latitanza bisognerebbe parlare di colpa: di avere accettato la cultura della crescita infinita dei consumi e quindi dei rifiuti, così ben sintetizzata dalla pubblicità dei rasoi Gillette «la comodità dell'usa e getta» con cui ogni sera veniamo martellati ed educati al dogma dell'eterna crescita economica. Ma la colpa più grande è quella di aver pensato che il problema fosse possibile risolverlo con i commissari e con l'intervento straordinario, escludendo la popolazione e i suoi sindaci. Una scelta assurda e miope, imposta con innumerevoli decreti di proroga che hanno attraversato sempre uguali la prima e la seconda repubblica. Una decisione con cui di fatto si è tolta ogni possibilità all'unica politica che permette di gestire i rifiuti quella che chiede prima di pensare se seppellirli o incenerirli di organizzare le tre R: ridurne la quantità, raccoglierli in modo differenziato e riciclarli. Poi si penserà a ciò che resta.

Queste politiche non partono per ordine di un commissario né per decreto, ma solo se si organizzano le donne e gli uomini e li si convince offrendo loro partecipazione, conoscenza, una cultura critica del consumismo, nuovi stili di vita, tutte cose che solo un intervento ordinario e quotidiano, gestito da decisori, come i sindaci, vicini alla gente, può garantire.

E l'emergenza? Nessuno la nega, ma paradossalmente solo commissariando i commissari la si può affrontare. Soprattutto dando qualche segnale alla popolazione di un cambio di passo: far capire a chi ha fallito ed è responsabile di questo disastro che esiste la nobile arte delle dimissioni e soprattutto presentando piani di bonifica e di organizzazione delle tre R. Solo così anche misure straordinarie ed impiantistiche saranno capite e accettate e non imposte.

Roberto Saviano

Ecco tutti i colpevoli della peste di Napoli

la Repubblica, 5 gennaio 2008

È UN territorio che non esce dalla notte. E che non troverà soluzione. Quello che sta accadendo è grave, perché divengono straordinari i diritti più semplici: avere una strada accessibile, respirare aria non marcia, vivere con speranze di vita nella media di un paese europeo. Vivere senza dovere avere l’ossessione di emigrare o di arruolarsi. E’una notte cupa quella che cala su queste terre, perché morire divorati dal cancro diviene qualcosa che somiglia ad un destino condiviso e inevitabile come il nascere e il morire, perché chi amministra continua a parlare di cultura e democrazia elettorale, comete più vane delle discussioni bizantine e chi è all’opposizione sembra divorato dal terrore di non partecipare agli affari piuttosto che interessato a modificarne i meccanismi.

Si muore di una peste silenziosa che ti nasce in corpo dove vivi e ti porta a finire nei reparti oncologici di mezza Italia. Gli ultimi dati pubblicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità mostrano che la situazione campana è incredibile, parlano di un aumento vertiginoso delle patologie di cancro. Pancreas, polmoni, dotti biliari più del 12% rispetto alla media nazionale. La rivista medica The Lancet Oncology già nel settembre 2004 parlava di un aumento del 24% dei tumori al fegato nei territori delle discariche e le donne sono le più colpite. Val la pena ricordare che il dato nelle zone più a rischio del nord Italia è un aumento del 14%. Ma forse queste vicende avvengono in un altro paese. Perché chi governa e chi è all’opposizione, chi racconta e chi discute, vive in un altro paese. Perché se vivessero nello stesso paese sarebbe impensabile accorgersi di tutto questo solo quando le strade sono colme di rifiuti. Forse accadeva in un altro paese che il presidente della Commissione Affari Generali della Regione Campania fosse proprietario di un’impresa - l’Ecocampania - che raccoglieva rifiuti in ogni angolo della regione e oltre, e non avesse il certificato antimafia. Eppure non avviene in un altro paese che i rifiuti sono un enorme business. Ci guadagnano tutti: è una risorsa per le imprese, per la politica, per i clan, una risorsa pagata maciullando i corpi e avvelenando le terre. Guadagnano le imprese di raccolta: oggi le imprese di raccolta rifiuti campane sono tra le migliori in Italia e addirittura capaci di entrare in relazione con i più importanti gruppi di raccolta rifiuti del mondo. Le imprese di rifiuti napoletane infatti sono le uniche italiane a far parte della EMAS, francese, un Sistema di Gestione Ambientale, con lo scopo di prevenire e ridurre gli impatti ambientali legati alle attività che si esercitano sul territorio. Se si va in Liguria o in Piemonte numerosissime attività che vengono gestite da società campane operano secondo tutti i criteri normativi e nel miglior modo possibile. A nord si pulisce, si raccoglie, si è in equilibrio con l’ambiente, a sud si sotterra, si lercia, si brucia. Guadagna la politica perché come dimostra l’inchiesta dei Pm Milita e Cantone, dell’antimafia di Napoli sui fratelli Orsi (imprenditori passati dal centrodestra al centrosinistra) in questo momento il meccanismo criminogeno attraverso cui si fondono tre poteri: politico imprenditoriale e camorristico - è il sistema dei consorzi. Il Consorzio privato-pubblico rappresenta il sistema ideale per aggirare tutti i meccanismi di controllo. Nella pratica è servito a creare situazioni di monopolio sulla scelta di imprenditori spesso erano vicino alla camorra. Gli imprenditori hanno ritenuto che la società pubblica avesse diritto a fare la raccolta rifiuti in tutti i comuni della realtà consorziale, di diritto. Questo ha avuto come effetto pratico di avere situazioni di monopolio e di guadagno enorme che in passato non esistevano. Nel caso dell’inchiesta di Milite e Cantone accadde che il Consorzio acquistò per una cifra enorme e gonfiata (circa nove milioni di euro) attraverso fatturazioni false la società di raccolta ECO4. I privati tennero per se gli utili e scaricarono sul Consorzio le perdite. La politica ha tratto dal sistema dei consorzi 13.000 voti e 9 milioni di euro all’anno, mentre il fatturato dei clan è stato di 6 miliardi di euro in due anni.

Ma guadagnano cifre immense anche i proprietari delle discariche come dimostra il caso di Cipriano Chianese, un avvocato imprenditore di un paesino, Parete, il suo feudo. Aveva gestito per anni la Setri, società specializzata nel trasporto di rifiuti speciali dall’estero: da ogni parte d’Europa trasferiva rifiuti a Giugliano-Villaricca, trasporti irregolari senza aver mai avuto l’autorizzazione dalla Regione. Aveva però l’unica autorizzazione necessaria, quella della camorra. Accusato dai pm antimafia Raffaele Marino, Alessandro Milita e Giuseppe Narducci di concorso esterno in associazione camorristica ed estorsione aggravata e continuata, è l’unico destinatario della misura cautelare firmata dal gip di Napoli. Al centro dell’inchiesta la gestione delle cave X e Z, discariche abusive di località Scafarea, a Giugliano, di proprietà della Resit ed acquisite dal Commissariato di governo durante l’emergenza rifiuti del 2003. Chianese - secondo le accuse - è uno di quegli imprenditori in grado di sfruttare l’emergenza e quindi riuscì con l’attività di smaltimento della sua Resit a fatturare al Commissariato straordinario un importo di oltre 35 milioni di euro, per il solo periodo compreso tra il 2001 e il 2003. Gli impianti utilizzati da Chianese avrebbero dovuto essere chiusi e bonificati. Invece sono divenute miniere in tempo di emergenza. Grazie all’amicizia con alcuni esponenti del clan dei Casalesi, hanno raccontato i collaboratori di giustizia, Chianese aveva acquistato a prezzi stracciati terreni e fabbricati di valore, aveva ottenuto l’appoggio elettorale nelle politiche del 1994 (candidato nelle liste di Forza Italia, non fu eletto) e il nulla osta allo smaltimento dei rifiuti sul territorio del clan. La Procura ha posto sotto sequestro preventivo i beni riconducibili all’avvocato-imprenditore di Parete: complessi turistici e discoteche a Formia e Gaeta oltre che di numerosi appartamenti tra Napoli e Caserta. L’emergenza di allora, la città colma di rifiuti, i cassonetti traboccanti, le proteste, i politici sotto elezione hanno trovato nella Resit con sede in località Tre Ponti, al confine tra Parete e Giugliano, la loro soluzione. Sullo smaltimento dei rifiuti in Campania ci guadagnano le imprese del nord-est. Come ha dimostrato l’operazione Houdini del 2004, il costo di mercato per smaltire correttamente i rifiuti tossici imponeva prezzi che andavano dai 21 centesimi a 62 centesimi al chilo. I clan fornivano lo stesso servizio a 9 o 10 centesimi al chilo. I clan di camorra sono riusciti a garantire che 800 tonnellate di terre contaminate da idrocarburi, proprietà di un’azienda chimica, fossero trattate al prezzo di 25 centesimi al chilo, trasporto compreso. Un risparmio dell’80% sui prezzi ordinari. Se i rifiuti illegali gestiti dai clan fossero accorpati diverrebbero una montagna di 14.600 metri con una base di tre ettari, sarebbe la più grande montagna esistente ma sulla terra. Persino alla Moby Prince, il traghetto che prese fuoco e che nessuno voleva smaltire, i clan non hanno detto di no. Secondo Legambiente è stata smaltita nelle discariche del casertano, sezionata e lasciata marcire in campagne e discariche. In questo paese bisognerebbe far conoscere Biùtiful cauntri (scritto alla napoletana) un documentario di Esmeralda Calabria, Andrea D’Ambrosio e Peppe Ruggiero: vedere il veleno che da ogni angolo d’Italia è stato intombati a sud massacrando pecore e bufale e facendo uscire puzza di acido dal cuore delle pesche e delle mele annurche. Ma forse è in un altro paese che si conoscono i volti di chi ha avvelenato questa terra. E’in un altro paese che i nomi dei responsabili si conoscono eppure ciò non basta a renderli colpevoli. E’in un altro paese che la maggiore forza economica è il crimine organizzato eppure l’ossessione dell’informazione resta la politica che riempie il dibattito quotidiano di intenzioni polemiche, mentre i clan che distruggono e costruiscono il paese lo fanno senza che ci sia un reale contrasto da parte dell’informazione, troppo episodica, troppo distratta sui meccanismi. Non è affatto la camorra ad aver innescato quest’emergenza. La camorra non ha piacere in creare emergenze, la camorra non ne ha bisogno, i suoi interessi e guadagni sui rifiuti come su tutto il resto li fa sempre, li fa comunque, col sole e con la pioggia, con l’emergenza e con l’apparente normalità, quando segue meglio i propri interessi e nessuno si interessa del suo territorio, quando il resto del paese gli affida i propri veleni per un costo imbattibile e crede di potersene lavare le mani e dormire sonni tranquilli. Quando si getta qualcosa nell’immondizia, lì nel secchio sotto il lavandino in cucina, o si chiude il sacchetto nero bisogna pensare che non si trasformerà in concime, in compost, in materia fetosa che ingozzerà topi e gabbiani ma si trasformerà direttamente in azioni societarie, capitali, squadre di calcio, palazzi, flussi finanziari, imprese, voti. E dall’emergenza non si vuole e non si po’ uscire perché è uno dei momenti in cui si guadagna di più. L’emergenza non è mai creata direttamente dai clan, ma il problema è che la politica degli ultimi anni non è riuscita a chiudere il ciclo dei rifiuti. Le discariche si esauriscono. Si è finto di non capire che fino a quando sarebbe finito tutto in discarica non si poteva non arrivare ad una situazione di saturazione. In discarica dovrebbe andare pochissimo, invece quando tutto viene smaltito lì, la discarica si intasa. Ciò che rende tragico tutto questo è che non sono questi i giorni ad essere compromessi, non sono le strade che oggi solo colpite delle "sacchette" di spazzatura a subire danno. Sono le nuove generazioni ad essere danneggiate. Il futuro stesso è compromesso. Chi nasce neanche potrà più tentare di cambiare quello che chi li ha preceduti non è riuscito a fermare e a mutare. L’80 per cento delle malformazioni fetali in più rispetto alla media nazionale avvengono in queste terre martoriare. Varrebbe la pena ricordare la lezione di Beowulf, l’eroe epico che strappa le braccia all’Orco che appestava la Danimarca: "il nemico più scaltro non è colui che ti porta via tutto, ma colui che lentamente ti abitua a non avere più nulla". Proprio così, abituarsi a non avere il diritto di vivere nella propria terra, di capire quello che sta accadendo, di decidere di se stessi. Abituarsi a non avere più nulla.

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