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Simon Jenkins
Gli date un dito, e si prendono tutta la città
23 Maggio 2006
Articoli del 2005
“Una buona urbanistica è il segno sicuro di una comunità civile”. Polemica per un progetto di Frank Gehry in un contesto storico. The Guardian, 16 settembre 2005 (f.b.)

Titolo originale: Give these people an inch and they take a city – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

Provate a camminare verso ovest sul lungomare di Brighton. Lasciate perdere l’orrore del centro congressi. Ignorate la triste carcassa del Molo Occidentale in rovina. Ignorate anche tutti i detriti di mezzo secolo di urbanistica fallimentare.

Al vecchio confine di Hove l’umore migliora. L’ordine regna nella solida Brunswick Terrace. Brunswick Square è un’ondata di stucchi travolgente, una delle piazze più nobili d’Inghiliterra. Adelaide Crescent è un crescendo di architetture e spazi verdi che supera qualunque altra cosa a Bath. Hove, sul mare, per usare le parole di Betjeman è una delle poche città inglesi che si possono tranquillamente chiamare “lei”. È bellissima.

Ora, alzate gli occhi verso ovest, ancora, e immaginatevi due grossi “Prescott” che vi colpiscono in faccia (un Prescott è una torre situata ovunque, che piaccia al vicepresidente del consiglio, come quelle da cinquanta piani che ha appena approvato a Vauxhall sul Tamigi). Le due torri di Hove, una di 25 piani, sono intese a coronamento di un piano da 250 milioni di sterline per il lungomare. Il leader del consiglio municipale di Brighton e Hove, Ken Bodfish, sostiene che le torri faranno di Hove “la città di questo secolo”. Presumo che sia questo, quello che vogliono i cittadini, anche se mi suona nuova.

E sin qui la cosa sarebbe ancora di interesse locale. Ma qui non si tratta di edifici normali. Il loro vero senso, sta nell’essere progettati da un architetto davvero ispirato, il canadese Frank Gehry. Avere un edificio di Gehry in qualunque località d’Inghilterra sarebbe un onore (abbiamo solo la sua piccola clinica Maggie’s Centre in Scozia). Ha anche chiesto la collaborazione dello scultore Antony Gormley. Riconosce anche un contributo dal suo “apprendista”, l’attore con la passione dell’architettura Brad Pitt. Da qui la battuta locale che chiama già gli edifici “i Pitt”.

Sarei disposto a dare molto per un progetto di Gehry. Avrei sacrificato la centrale elettrica sulla riva alla Tate Modern per il suo Guggenheim di Bilbao, che a dire il vero costa di meno. Sacrificherei certamente la desolazione cementizia della South Bank per la sua Disney Hall di Los Angeles. Il suo uso esotico delle forme, colori e materiali può essere entusiasmante, e grazie al cielo odia le grandi superfici a vetro. Di sicuro Brighton meritebbe un progetto di Gehry.

Questo, però, non vuol dire qualunque progetto di Gehry, messo in qualunque posto. Un edificio è arte, nel contesto più pubblico possibile. Un piccolo edificio si rivolge ad una strada. Una torre si rivolge a tutta la città. Ciascun cittadino ha diritto ad esprimere un punto di vista sulla sua realizzazione o meno, o dove debba essere costruita. La gran parte del lavoro di Gehry è costituita da un sofisticato intreccio di piani, spesso influenzato da tematiche marine. Possono essere ispiratori, divertenti, acuti, intelligenti.

Le torri di Hove sono solo sciocche. Sembrano fogli di carta appallottolati messi l’uno sull’altro, avvolti in un malsano involucro che riecheggia il World Trade Centre che implode. Gehry le descrive come evocanti “i movimenti di un vestito da dama edoardiana sul lungomare”, rafforzando la mia opinione secondo cui gli architetti, qualunque cosa facciano, non dovrebbero parlare.

Nella maggior parte dei lavori di Gehry ci sono logica e disciplina. Le torri di Hove sembrano non avere né l’una né l’altra. E anche così, le loro superfici sbucciate e i lineamenti caotici non interesserebbero tanto, se il complesso fosse poco sviluppato in altezza. Il vicino centro sportivo King Alfred, ben attaccato al suolo ha un aspetto attraente, e si deve fare. Le torri sono una faccenda diversa. Sono un grido, non un mormorio. Urlano su tutta Hove, impongono attenzione.

Abbiamo perso la sensibilità per regolamentare gli edifici urbani. La catastrofe degli interventi pronti a spuntare dappertutto a Londra è una tragica replica di quanto accadde negli anni ’60 e ‘70. Ogni veduta, per quanto solenne, sarà riempita da una punta di vetro, o una piramide, o una scheggia, cuneo, tubo. Lo skyline di Londra sembrerà il banale recinto da gioco di un bambino sparpagliato di giocatoli geometrici. Le torri non mostrano alcun rispetto per le immediate vicinanze, figuriamoci l’orizzonte. Sono pezzi architettonici da museo, che usano la città come vetrina e catalogo.

Questo museo un tempo era curato dall’urbanistica. Ma in Gran Bretagna l’urbanistica ha perso la sua tradizionale battaglia contro un potere asservito al denaro: in gran parte contro John Prescott e gli interessi della lobby edilizia. A Londra, l’epoca in cui i Very High Buildings (VHB) erano destinati a raccogliersi lontano dalle zone residenziali e storiche, è finita. Architetti e costruttori odiano i raggruppamenti, per la semplice ragione che gli altri VHB sono infernali da avere attorno. Ognuno vuole essere isolato, con la propria visibilità da lontano. Non sanno più tenere un rapporto con le strade, conversare coi quartieri. Sanno solo dare pugni in faccia. La progettazione di ambiente si risolve nel famigerato “stronzo in mezzo alla piazza”.

Bernard Levin auspicava che si sparasse a un architetto all’anno, pour encourager les autres. Non è leale. Gli architetti lavorano. Se affermano di fare arte, allora c’è qualcun altro che deve pagare. La colpa dei cattivi edifici è di chi avrebbe il compito di controllarli in nome del pubblico, approvando quelli buoni e respingendo quelli non buoni. È a loro, e a quelli a cui loro rispondono, che si dovrebbe sparare, quando si verifica un’offesa.

Una buona urbanistica è il segno sicuro di una comunità civile. Senza di essa, resterebbero pochi vecchi edifici nei centri delle città britanniche. L’intera zona centrale di Londra sarebbe il sogno del sindaco Bodfish, una “città di questo secolo”. Sappiamo esattamente che aspetto avrebbe avuto, perché è stata pensata negli anni dopo la seconda guerra mondiale da pianificatori come Abercrombie e Buchanan. Sarebbe stata una città di piastre di cemento e torri, una Stalingrado-sul-Tamigi. Date un dito a questa gente, e si prendono tutta la città.

Guardate cos’hanno fatto con Brasilia, Canberra, Cumbernauld e Milton Keynes.

Le vedute dal lungomare di Hove dovrebbero essere un monumento nazionale. È qui che negli anni ’20 del XIX secolo gli architetti Charles Busby, Amon Wilds e Decimus Burton volevano creare in riva al mare una versione ancora più splendente della contemporanea Regent’s Park di John Nash a Londra. Ci sono riusciti.

Niente dovrebbe intromettersi, in questo splendore. La vista da est verso il centro di Brighton è già stata profanata da tozzi appartamenti, le catapecchie di un centro congressi e divertimenti, un molo in rovina, che tutti farebbero vincere a Brighton qualunque premio “comune delle schifezze”. Ma i meravigliosi complessi di Kemptown e Hove restano intatti. Sono la gloria del sud Inghilterra.

Il genio di Gehry non si diminuisce dicendogli di diminuire la dimensione dei suoi progetti, per restare entro il campo visivo del sito. L’ha già fatto una volta. Se i capolavori di Busby, Wilds e Burton non pretendono di offendere la sua opera, perché dovrebbe farlo lui con le loro? La Tate non mette i lavori di Rothko nella stessa sala di quelli di Turner. E Prescott non mette le sue torri in Parliament Square o i suoi uffici amministrativi a Dovedale (non ancora).

Anche la mente più prosaica ha qualche residuo di DNA che riesce a distinguere il brutto o l’inadeguato dal bello. Sa capire la stupidità della massima secondo cui “la bellezza sta nell’occhio del padrone”. C’è una cosa che si chiama estetica pubblica, ed è il motivo per cui si fa tanto per salvare la grande arte. Eppure, ci importa tanto poco della forma d’arte più pubblica, la forma della città.

Le città moderne stanno diventando come zoo che contengono solo elefanti. Hove ha ancora uccelli del paradiso. Perché calpestarli?

Nota: il testo originale al sito del Guardian ; altri particolari e links sul progetto di Gehry, a questa pagina del sito Europaconcorsi (f.b.)

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