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Jacopo Gardella
Gli architetti si offendono, ma dimenticano le regole
23 Maggio 2006
Articoli del 2005
Qualche precisazione sulle polemiche delle "grandi firme" dell'architettura per la prevalenza dei progettisti stranieri in Italia. La Repubblica/Milano, 18 settembre 2005 (f.b.)

Alcune note firme dell´architettura italiana si sono lamentate per l´invasione nel nostro territorio di architetti stranieri: hanno ragione e hanno torto contemporaneamente. Hanno ragione quando sostengono che gli italiani sono altrettanto se non più bravi degli stranieri: la recente esposizione tenutasi al palazzo della Triennale dimostra che le nostre facoltà di architettura sono capaci di presentare progetti seri, approfonditi, encomiabili.

Merito di studenti impegnati e di docenti preparati. Perché ricorrere a professionisti d´oltralpe, o d´oltre mediterraneo, quando a casa nostra e per cose nostre siamo già eccellenti ed invidiabili?

I protestatari tuttavia hanno torto quando tacciono sul modo con cui vengono dati gli incarichi. La loro protesta è rivolta solamente contro la burocrazia degli organi ufficiali, accusati di frenare e deviare il decorso delle pratiche edilizie, ma non contro la colpevole reticenza degli enti, sia statali che locali, nel promuovere e bandire concorsi pubblici; e contro la deplorevole assenza di questi enti nell´indirizzare e controllare le gare private, quando queste sono di interesse collettivo. Oggi i concorsi pubblici sono evitati con cura; e non sembra che in futuro tornino ad essere adottati con regolarità.

Il più clamoroso intervento monumentale di questi ultimi anni, la ristrutturazione, o meglio il rifacimento quasi integrale, del teatro alla Scala di Milano è stato eseguito dal Comune di Milano senza bandire un concorso.

Peggio: l´intervento di ristrutturazione è stato manovrato in modo tale da sfuggire all´obbligo del concorso, mascherando surrettiziamente i costi di costruzione per evitare i limiti di spesa fissati dalle norme europee. Così facendo si è potuto far progettare l´opera in un primo tempo da un anonimo tecnico, scelto dell´ente scaligero; e in un secondo tempo a un architetto straniero, scelto dal sottosegretario ai Beni culturali. Anche il teatro degli Arcimboldi è stato progettato senza concorso. Battezzato frettolosamente con questo nome solo dopo aver percepito i pericoli che suscitava la iniziale denominazione di "Scala bis", il teatro è stato costruito con notevoli investimenti pubblici; avrebbe quindi dovuto obbligatoriamente sottostare ad un pubblico concorso di progetto, in osservanza alle norme europee. L´infrazione è stata severamente stigmatizzata dagli organi di tutela europea, avvertiti coraggiosamente dal presidente dell´Ordine degli architetti di Milano, Piero De Amicis. I concorsi di progettazione, per effetto di una recente legge capestro relativa agli appalti banditi da enti pubblici, sono condizionati da pesanti ed inique clausole: queste sbarrano la possibilità di accedere ai concorsi anzitutto ai giovani; e in seguito anche a chi non può vantare bilanci professionali stratosferici, o non ha avuto recenti incarichi di dimensione colossale.

Il torto di chi protesta contro gli architetti stranieri, e contro la loro calata da dominatori in Italia, sta proprio in questo: nel tacere la deplorevole prassi degli attuali concorsi di progettazione, nell´ignorare e non richiedere, per ragioni di interesse professionale, procedure più eque, più imparziali, più democratiche. Guerra internazionale di stelle: ma guerra che appunto si svolge in alto, sopra le nostre teste, e che quaggiù lascia i comuni mortali costretti ad arrangiarsi come possono.

Nota: sullo stesso tema, qui su Eddyburg l'articolo di Pierluigi Panza dal Corsera, e la lettera di Filippo Ciccone(f.b.)

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