[…] ecco l’avvenimento che ripropone drammaticamente l’intera “questione urbanistica”. Il 19 luglio 1966
“una frana di inconsuete dimensioni, improvvisa, miracolosamente incruenta, ma terribile nello stritolare o incrinare irrimediabilmente spavalde gabbie di cemento, ed impietosa, al tempo stesso, nello sgretolare vecchie abitazioni di tufo, in pochi istanti, ha buttato fuori casa migliaia di abitanti ponendo Agrigento sotto nuova luce e nuova dimensione”[i].
La frana è stata causata dall’enorme sovraccarico edilizio: ben 8.500 vani costruiti negli ultimi anni in contrasto con tutte le norme esistenti. Mancini, Ministro dei lavori pubblici, nomina una commissione d’inchiesta, presieduta da Michele Martuscelli. Nel settembre la “relazione Martuscelli” è resa pubblica.
“Gli uomini, in Agrigento, hanno errato, fortemente e pervicacemente, sotto il profilo della condotta amministrativa e delle prestazioni tecniche, nella veste di responsabili della cosa pubblica e come privati operatori. Il danno di questa condotta, intessuta di colpe coscientemente volute, di atti di prevaricazione compiuti e subiti, di arrogante esercizio del potere discrezionale, di spregio della condotta democratica, è incalcolabile per la città di Agrigento. Enorme nella sua stessa consistenza fisica e ben difficilmente valutabile in termini economici, diventa incommensurabile sotto l’aspetto sociale, civile ed umano”[ii].
L’impressione nel paese è enorme. Sotto accusa è la DC che amministra la città da vent’anni. Un aspro dibattito si accende nel Parlamento e nel Paese. Un accusatore implacabile è il deputato comunista Mario Alicata:
“Il dramma di Agrigento non pone problemi nuovi o straordinari. Ripropone il problema dello sviluppo democratico e civile della Sicilia e del Mezzogiorno, il problema del tipo di sviluppo economico e sociale, che è stato impresso a tutto il nostro paese, e, in questo quadro, il problema, oggi centrale, dei caratteri impressi all’urbanizzazione da un sistema di potere economico e politico fondato sulla speculazione e l’affarismo; ripropone il problema del monopolio politico della DC, come strumento, oltre tutto, degenerativo della vita pubblica del paese”[iii].
La DC fa quadrato intorno ai suoi uomini compromessi.
Gran parte della stampa conservatrice tenta di accreditare la versione dell’“evento naturale imprevedibile”. In questa tesi, in fondo, c’è del vero: la sordida connivenza tra amministratori e speculatori, che è all’origine della frana, non è una triste prerogativa di Agrigento; Agrigento riproduce in piccolo la generale situazione italiana, da Roma a Napoli, da Palermo a Mestre. Lo afferma la stessa commissione Martuscelli che
“nel rimettere agli atti, sente il dovere di segnalare all’attenzione del Signor Ministro, dei Parlamentari e di tutti i responsabili delle amministrazioni pubbliche e degli enti locali, la gravità della situazione urbanistico-edilizia del paese, che ha trovato in Agrigento la sua espressione limite. E non può, nel concludere, non auspicare che da questa analisi concreta parta un serio stimolo nel porre un arresto - deciso ed irreversibile - al processo di disgregazione e di saccheggio urbanistico. Il problema non può ovviamente, essere risolto che con una nuova legge urbanistica - la cui emanazione non dovrebbe essere ulteriormente rinviata - ; ma in attesa che tale legge entri in vigore e dispieghi i suoi effetti positivi e rinnovatori, appare indispensabile ed urgente l’adozione - eventualmente anche nella forma del decreto-legge - di alcune essenziali ed incisive norme di immediata operatività atte ad affrettare la formazione dei piani, ad eliminare nei piani e nei regolamenti le più gravi storture relative ad indici aberranti e a troppo estese facoltà di deroga e ad impedire i più vistosi fenomeni di evasione e di speculazione”[iv].
La “lezione di Agrigento” induce Mancini a correre ai ripari; “in attesa che la nuova legge urbanistica sia emanata e che i dispositivi da essa previsti producano i loro effetti positivi e rinnovatori, appare indispensabile ed urgente l’emanazione di norme intese a porre un freno all’attuale situazione di disordine urbanistico-edilizio”. Così inizia la relazione al d.d.l. governativo, che sarà approvato nell’estate del 1967 e sarà noto come “legge-ponte”.
Ad accelerare l’approvazione della legge concorsero anche, indubbiamente, i disastri del novembre 1966: le tragiche alluvioni di Firenze e Venezia, le frane e le alluvioni nel Veneto. Come scrive Giovanni Astengo:
“Alla radice di ognuno di essi sta, per certo, il cattivo uso del suolo, sotto forma sia di continuativo ed insensato disfacimento di antichi equilibrati ecosistemi naturali, sia di violento e pervicace sfruttamento intensivo del suolo a scopi edificatori. In entrambi i casi, la natura, irragionevolmente sfidata, ha scatenato d’improvviso le sue furie terribili ed ammonitrici. In entrambi i casi, alla radice è l’imprevidenza umana. E se, nell’imminenza del repentino maturare della tragedia, è mancata anche la più rudimentale forma di preavviso organizzato, alle origini giganteggia una ben più ampia e continuativa imprevidenza, che si concreta nel mancato uso razionale degli strumenti della pianificazione territoriale ed urbanistica”[v].
[i] Ministero dei lavori pubblici, Commissione d’indagine sulla situazione urbanistico-edilizia di Agrigento, Relazione al Ministra, on. Giacomo Mancini, Roma, 1966, p. 5.
[ii] Ivi, p 142.
[iii] M. Alicata, La lezione di Agrigento, Roma, 1966, pp. 29‑70.
[iv] Ministero dei lavori pubblici Commissione, cit., p. 142.
[v] G. Astengo, Dopo il 19 luglio, in “Urbanistica”, n. 48, dicembre 1966 p. 2.