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Francesco Perini
Genocide memorial week: in Ruanda inizia una settimana di commemorazione
8 Aprile 2013
100 giorni, un milione di morti su 10 milioni di abitanti, sterminati per l'odio scatenato da burattinai ancora senza volto. In Ruanda una settimana per ricordare, tutto l'anno contro le discriminazioni

. Nel resto del mondo? Dal sito "Walking On The South", WOTS.eu, 7 aprile 2013, postilla

Alla mezzanotte di ieri Kigali è piombata nel silenzio, il volume di televisioni e radio è stato considerevolmente ridotto e molti luoghi di intrattenimento hanno abbassato le saracinesche. Questo silenzio commemorativo ricorre ormai da molti anni e si protrae per una settimana ai fini di rievocare il dolore e le vittime del genocidio perpetrato in Ruanda nel 1994. Nell’arco di 100 giorni più di un milione di persone sono state assassinate per motivi etnici, prevalentemente cittadini ruandesi appartenenti all’etnia Tutsi. Il genocidio ha lasciato dietro di se un’ interminabile scia di violenze con circa trecentomila orfani, mezzo milione di vittime di violenza sessuale, di cui migliaia ormai affette dal virus dell’Hiv ed un’insanabile sentimento di inquietudine, complessivamente una nazione ridotta a brandelli dall’odio interetnico.

Il Ruanda ha davanti a sè una settimana ricca di iniziative promosse dal governo per rendere onore alle numerose vittime del genocidio. I cittadini ruandesi si incontreranno oggi alle 15 davanti al parlamento in occasione di “Walk to Remember” ovvero una lunga marcia organizzata da Peace and Love Proclaimers (una giovane organizzazione che promosse per la prima volta la marcia 5 anni fa) e dalla National Commission for the Fight against genocide (CNLG) durante la quale verranno letti a lume di candela i nomi di tutti coloro che hanno perso la vita nell’arco di quei 100 giorni di violenze.

Se 19 anni fa il mondo rimase a guardare le atrocità commesse in Ruanda, oggi, e da ormai molti anni, sono numerose le iniziative promosse per commemorare le vittime del genocidio. Da Bruxelles a Roma, passando per Parigi, Strasburgo e giungendo fino negli Stati Uniti, in Canada ed in Sud Africa, i ruandesi che vivono all’estero, insieme al resto della popolazione, promuovono la realizzazione di dibattiti, cerimonie commemorative e silenziose marce. Lo slogan proposto per la marcia di quest’anno a Kigali sarà “Ricordare, Onorare e Ricostruire” ed il colore scelto quest’anno per commemorare le vittime sarà il grigio. Fino all’anno scorso Kigali si è tinta di viola per ricordare le proprie vittime, tuttavia quest’anno si è deciso di cambiare colore fondamentalmente per due motivi. In primo luogo il viola proviene da una tradizione cattolico-occidentale, essendo utilizzato anche in cerimonie ecclesiastiche come la Pasqua; in secondo luogo il grigio simboleggia per la tradizione ruandese il momento in cui gli antenati rendevano omaggio ai propri defunti, ponendo sulla loro fronte cenere dello stesso colore.

Se “ricordare” sarà una delle principali attività dei ruandesi nel corso della prossima settimana, “educare” alla non discriminazione dev’essere il tema prioritario nel corso di tutto l’anno, in particolare per tutti coloro che il genocidio non l’hanno vissuto ovvero le nuove generazioni. Secondo il Fondo per i Sopravvissuti al Genocidio (FARG), dal ’98 ad oggi, sono stati spesi più di 130 miliardi di franchi ruandesi in programmi volti a garantire il benessere complessivo dei sopravvissuti, con particolare attenzione al tema dell’educazione, per il quale è stato dedicato il 75% di tale cifra.

L’etnicità è ormai un tabù in Ruanda e da molti anni è proibito riferirsi esplicitamente alla diversificazione etnica all’interno della società, anche se ciò rende a volte più difficile la denuncia di eventuali atti discriminatori nei confronti di una delle tre etnie esistenti nel paese ( Hutu, Tutsi e Batwa).

Un articolo del quotidiano britannico The Guardian ricorda come sia fondamentale parlare della discriminazione etnica all’interno delle scuole e come i programmi governativi volti ad educare i giovani ruandesi alla non discriminazione assumano un valore inestimabile ancora oggi. Jean Nepo Ndahimana, responsabile di un programma educativo per studenti delle scuole secondarie, invita gli scolari a non aver timore nel parlare apertamente della propria etnia e a porre domande sulla questione. Alcuni studenti sostenuti dal Fondo per i Sopravvissuti del Genocidio hanno dichiarato di aver subito più volte atti discriminatori da parte dei loro compagni e di essere stati etichettati come “Interhamwe” ovvero il nome della milizia responsabile del genocidio in Ruanda. Secondo il Dr. James Smith, amministratore delegato di Aegis Trust, “esistono risentimenti e ideologie che i bambini apprendono dai loro genitori e questi sentimenti rappresentano una minaccia per la stabilità a lungo termine e lo sviluppo economico e sociale del paese”.

Sebbene le cerimonie commemorative siano particolarmente partecipate dalla popolazione ruandese, esiste una parte della cittadinanza che preferisce celebrare altrove le vittime del genocidio. Sunny Ntayombya, blogger e giornalista del New Times Rwanda, in un post del 27 marzo invita i cittadini ruandesi a non essere turisti nel proprio paese in un momento di lutto nazionale. Sono molti i ruandesi (ed in particolare coloro che appartengono ad una classe agiata) che decidono di lasciare Kigali in occasione della settimana in ricordo delle vittime del genocidio, etichettando la città in questi sette giorni di commemorazione come “ poco divertente “ considerata l’assenza di musica nei luoghi di intrattenimento.

In conclusione la settimana in ricordo delle vittime del genocidio dev’essere non solo un’occasione per ricordare, ma anche un’opportunità per le nuove generazione e per le famiglie ruandesi per riflettere sull’importanza dell’educazione alla non discriminazione che, per avere un impatto significativo, deve affondare le sue radici all’interno del nucleo famigliare.

Postilla

Se, come scrive Perini, «19 anni fa il mondo rimase a guardare le atrocità commesse in Ruanda» senza intervenire, oggi dobbiamo anche ricordare che il resto del mondo, e in particolare l'area dei paesi "sviluppati", non fu senza colpe nello sterminio. Gli storici non concordano ancora sul ruolo dei diversi soggetti, africani ed europei, nello scatenamento della strage di cui furono vittime i Tutsi (e gli Hutu che si rifiutavano di ammazzarli). Ma è ampiamente documentata che le responsabilità dei colonialisti europei nell'utilizzare attizzandole e rinfocolandole, le sopite rivalità etniche: di distinzione tra le etnie ruandesi non si parlava più finché i belgi non introdussero l'obbligo di precisare. l'appartenenza etnica nei documenti d'identità. E altrettanto certamente le rivalità latenti tra i gruppi sociali tradizionali furono utilizzate dai colonialisti, in Ruanda come altrove, per rafforzare il loro dominio. Così come non possiamo dimenticare che sullo sfondo di tutti gli episodi di sanguinosa violenza che avviene nel Continente da cui origina la nostra specie ci sono le mille imprese di sftruttamento rapace delle sue risorse: da quelle della natura a quelle del lavoro reso schiavo.
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