ROMA - Dal terribile tsunami del dicembre 2004 la terra ha continuato a tremare fino agli ultimi drammatici terremoti: l’Aquila, Haiti, il Cile. Si può dire che c’è una ripresa di attività sismica su scala globale? «Assolutamente no», risponde Franco Barberi, docente di vulcanologia a Roma. «Non c’è alcuna ragione per ritenere che siamo in presenza di un incremento dell’attività sismica. Prendiamo ad esempio gli tsunami. Solo nel Pacifico, in media, ce n’è più di uno all’anno; e ogni 10 - 12 anni se ne registra uno catastrofico».
Eppure la sensazione è che il numero delle vittime cresca.
«Questo è un altro discorso. Stiamo viaggiando rapidamente verso i 7 miliardi di persone e le aree urbanizzate sono enormemente cresciute. Cresciute in larga parte in luoghi dove non esistono le risorse materiali, e in qualche caso la cultura, per fare della buona edilizia, dei palazzi in grado di resistere alle scosse. In un mondo così sovraffollato e poco intelligentemente costruito è inevitabile che il bilancio dei terremoti peggiori».
Forse c’è anche un maggior senso di vicinanza con le vittime. Nell’era della globalizzazione non esistono più luoghi remoti.
«Sì, questo è senz’altro uno dei fattori in gioco. E io aggiungerei un terzo elemento: la moltiplicazione dell’informazione. Gli eventi ci arrivano addosso riflessi da tutti i media e l’effetto psicologico aumenta».
Dal punto di vista statistico lei comunque non vede traccia di un aumento dei sismi neanche a livello regionale?
«Le statistiche di questo tipo si fanno su lunghi periodi e su aree ampie. È chiaro che se ci concentriamo su una zona molto ristretta troviamo sempre, in qualche luogo del mondo, un picco di fenomeni sismici; ma dal punto di vista scientifico quest’analisi non ha senso. A livello globale ogni anno si registrano decine di migliaia di scosse: questa è la situazione di base con cui dobbiamo fare i conti».
I picchi recenti di cui parla coincidono con un recente aumento delle vittime?
«Il rischio aumenta su scala globale per le cause che ho elencato, ma a livello di singoli episodi ci sono stati terremoti più devastanti degli ultimi. Ad esempio nel 1556 in Cina, nello Shansi, ci sono stati 830 mila morti».
È il numero più alto di vittime?
«Sì, anche se, essendo così lontano nel tempo, il dato ha una minore affidabilità. In tempi più recenti c’è stato un altro terremoto devastante in Cina, a Tangshan: i morti dichiarati sono stati 255 mila, ma si sospetta che il numero reale abbia superato quota 600 mila. In Italia il bilancio più drammatico è stato quello del terremoto di Messina del 1908, con 80 mila morti, e quello della val di Noto del 1693 che distrusse Catania e fece 54 mila vittime. Dal punto di vista dell’energia in gioco, il peggiore fu invece quello che si registrò nel maggio del 1960 al largo delle coste cilene: 9,5 di magnitudo».
Che consigli darebbe a chi teme che i terremoti aumentino?
«Lasciar perdere i calendari maya e costruire meglio le case».