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Enzo Bianchi
Francesco: il popolo umiliato dalle banche
19 Giugno 2015
Invertire la rotta
LAUDATO SI’ è la prima enciclica interamente ascrivibile alla paternità di papa Francesco, un’enciclica dedicata all’ecologia o, meglio, come recita il sottotitolo, alla “cura della casa comune”. Su questo tema il papa intende “entrare in dialogo con tutti”, non solo con i membri della sua chiesa cattolica. La Repubblica, 19 giugno 2015 (m.p.r.)

LAUDATO SI’ è la prima enciclica interamente ascrivibile alla paternità di papa Francesco, un’enciclica dedicata all’ecologia o, meglio, come recita il sottotitolo, alla “cura della casa comune”. Su questo tema il papa intende “entrare in dialogo con tutti”, non solo con i membri della sua chiesa cattolica. La Repubblica, 19 giugno 2015 (m.p.r.)

Francesco si rivolge a tutti, come fece Giovanni XXIII, papa santo e profeta, con la Pacem in terris quando la emanò dedicandola «a tutti gli uomini di buona volontà». Così delinea un parallelo tra la tragica minaccia della guerra all’inizio degli anni Sessanta, «mentre il mondo vacillava sull’orlo di una crisi nucleare», e il «deterioramento globale dell’ambiente» che stiamo provocando, “degradazione” già denunciata come “drammatica” e foriera di una possibile “catastrofe ecologica” da Paolo VI nella sua Lettera apostolica Octogesima adveniens del 1971. Ci troviamo cioè di fronte a una minaccia per l’umanità paragonabile alla catastrofe nucleare: per questo il suo monito risuona accorato e urgente.

Anche la modalità con cui papa Francesco ha costruito l’enciclica e lo stile assunto fanno parte dell’insegnamento stesso. Francesco non è un papa autoreferenziale che citi solo il magistero suo o dei papi precedenti: certo, come in tutti i documenti pontifici c’è innanzitutto la Sacra Scrittura che risulta ispirante, ci sono i padri della Chiesa e il magistero precedente, dal concilio ai papi dell’ultimo secolo, a volte però con scelte e discriminazioni eloquenti. Ma nella Laudato si’ troviamo citati anche documenti degli episcopati di tutto il mondo: dalle Americhe all’Oceania, dall’Africa del Sud all’Asia fino all’Europa. Il papa attinge anche al magistero episcopale, come capo del collegio cui spetta il discernimento e la conferma nella fede.
Accanto a questo respiro collegiale ci sono anche dati assolutamente nuovi e sorprendenti. È la prima volta che in un’enciclica papale vengono citati testi di cristiani appartenenti ad altre Chiese: due paragrafi presentano il pensiero e l’azione infaticabile del Patriarca ecumenico Bartholomeos, chiamato nel mondo il “patriarca verde” per la sua costante attenzione all’ecologia. Bartholomeos è un grande amico e fratello di Francesco, che condivide con lui una forte convergenza di sensibilità e «la speranza della piena comunione ecclesiale». Ma, tra gli autori citati nell’enciclica, si deve ricordare la presenza di un filosofo, peraltro protestante, Paul Ricoeur e i numerosi rimandi a pensatori cattolici come Romano Guardini e il “sospettato” Teilhard de Chardin. Una sorpresa ancor più grande in questo senso è trovare il rimando a «un maestro spirituale, Ali-Khawwas», mistico musulmano sufi del XV secolo.
Così l’enciclica ha un autentico respiro cattolico, ecumenico e capace di riconoscere la ricerca e la sapienza delle genti della Terra. Papa Francesco non solo rilegge le pagine della Genesi che narrano la creazione di tutto il cosmo ad opera di Dio, ma lo fa da cristiano, attraverso il Nuovo Testamento, e comprende la creazione come opera trinitaria, ossia come opera di Dio compiuta attraverso il Figlio, la Parola, nella forza del suo compagno inseparabile, il soffio, lo Spirito. L’universo non solo è opera di Dio, ma è abitato dalla presenza di Dio, è destinato alla salvezza, alla divinizzazione. Solo in questa “sovraconoscenza” della realtà della creazione in Cristo, attraverso Cristo e in vista di Cristo è possibile comprendere la vocazione umana e la vocazione di tutto il cosmo che attende redenzione e trasfigurazione.
Questa ripresa cristiana di una teologia della creazione è abbastanza rara, per lo più sconosciuta ai credenti, eppure decisiva per poter, come dice Agostino, “adorare la terra” come sgabello della signoria di Dio. Certo, l’ebraismo e il cristianesimo hanno liberato l’uomo dall’idolatria, dall’alienazione agli elementi celesti e terrestri, hanno demitizzato la natura, ma non hanno mai cessato di guardare ad essa non come a un semplice scenario per l’uomo, ma come a una comunità di creature che Dio aveva giudicato realtà “buona e bella”, creature che l’uomo deve custodire, ordinare, proteggere perché la vita fiorisca e la convivenza sia foriera di pace e di felicità.
Ma su questo fondamento teologico papa Francesco fa emergere due esigenze: consapevolezza e responsabilità. Consapevolezza della situazione-limite in cui i nostri comportamenti hanno condotto “nostra madre terra”; consapevolezza dell’irreversibilità di certi processi ormai innescati, della necessità di fare fronte comune per fermare il degrado e invertire la rotta. Consapevolezza, anche, della spirale perversa avviata dalla «tecnologia che, legata alla finanza, pretende di essere l’unica soluzione dei problemi ». E responsabilità: verso il bene comune, innanzitutto. Verso le creazione che è stata affidata all’essere umano «perché la coltivasse e la custodisse». Non quindi perché la dominasse da padrone assoluto, ma la gestisse da “amministratore responsabile”. Il messaggio di Francesco è urgente e chiaro: per salvarci dobbiamo salvare la terra. Da anni ripeto a me stesso un comandamento che accosto a quelli biblici: ama la terra come te stesso.
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