Nell'arco di soli 30 giorni le previsioni di Bankitalia sull'andamento del Pil nel 2009 sono passate da un meno 2% a un meno 2,6%. Tradotto in cifre, un buco da 41 miliardi di euro. C'è di che preoccuparsi ma non da stupirsi, è sufficiente guardare l'esplosione delle ore di cassa integrazione, cresciuta del 556% nel solo mese di febbraio, per rendersi conto della gravità della crisi. Dei precari rimandati a casa, degli ex dipendenti di aziende prive di ammortizzatori sociali che sono la maggioranza, neppure si parla. E se il tasso di disoccupazione italiano non ha toccato ancora gli spaventosi livelli spagnoli, è solo perché le forze del lavoro su cui da noi esso viene calcolato sono decisamente minori.
In questo tzunami dell'economia reale, cosa fa il governo italiano? Tassa i ricchi per dare ai poveri? Estende a tutti gli ammortizzatori sociali? Aumenta l'imposizione sulle rendite finanziarie, portandole ai livelli europei del 20%? Macché. Berlusconi impone accordi separati per cancellare il contratto nazionale e possibilmente anche la Cgil; martella il pubblico impiego e lo spolpa, mettendo alla porta centinaia di migliaia di precari; investe il danaro pubblico non per difendere il lavoro e il reddito delle persone, bensì per sostenere il mercato. Soldi alla clientela, e ai lavoratori e ai disoccupati provveda dio, o la Caritas. Non contenti, Berlusconi e i suoi prodi (con la minuscola) lanciano la guerra santa contro il diritto di sciopero. In parole semplici, ridisegnano i rapporti di forza nel paese. Ma siccome qualche intervento a sostegno dei salari (e dei mancati salari) deve pur farlo, il governo riparte da dove era rimasto prima del biennio Prodi (con la maiuscola): fuoco ad alzo zero sui pensionati, quegli ingordi che si mangiano il futuro dei figli. Se per cancellare il diritto di sciopero il governo è partito dai trasporti, il punto più sensibile dove è facile raccogliere consensi populisti, per colpire le pensioni il governo comincia bastonando le donne, con l'alibi della sentenza europea che chiede all'Italia di adeguarsi al criterio della parità uomo-donna. Parità? Parità di diversi, con diversi diritti, salari, opportunità, carriera? Parità tra portatori e portatrici di culture e bisogni diversi?
Se in questa crisi e con queste risposte politiche il neo segretario dei democratici Dario Franceschini propone un assegno ai disoccupati, viene da commentare: bentornato Pd. Non è una scelta rivoluzionaria, neppure da governo di sinistra, come dimostra il resto d'Europa. E' soltanto una proposta ragionevole. Eppure, c'è qualcosa che non convince del tutto. Limitarsi a chiedere un sostegno per chi perde il lavoro, senza chiedere come fanno la Fiom e la Cgil l'estensione degli ammortizzatori a tutti i lavoratori dipendenti, precari inclusi, è come prendere atto che dentro la crisi ai licenziamenti bisogna rassegnarsi, non c'è alternativa. Non è vero, un'alternativa esiste, e per trovarla basterebbe rimettere al centro il lavoro. La seconda preoccupazione non riguarda la proposta in sé ma il reperimento delle risorse necessarie a renderla praticabile: già i soliti noti nel Partito democratico hanno ipotizzato, unendosi al coro della destra e dei principali media, non una patrimoniale, o la tassazione dei redditi più alti come quella annunciata dal nuovo presidente americano, ma l'ennesima sforbiciata alle pensioni. Partendo con quelle delle donne, che intendono usare come apripista per colpire le pensioni di tutti.
Che ne direbbe Obama?