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Antonio Sciotto
Forse comincia una nuova storia
15 Marzo 2015
Società e politica
«Non siamo un partito, ma siamo qui per unire tutti quelli che il governo ha diviso». Il leader delle tute blu Cgil presenta il suo nuovo soggetto. All’incontro con movimenti e associazioni, ma senza politici né stampa, c’erano anche studenti, avvocati e partite Iva. Con i distinguo di Libera e l’attacco frontale da parte del Pd. Articolo di Antonio Sciotto e Alfio Mastropaolo,

Il manifesto, 15 marzo 2015

LANDINI, LA COALIZIONE È SERVITA
di Antonio Sciotto

E così è nata: non in piazza, o con uno scio­pero, ma con una discus­sione a porte chiuse. Lon­tano dalla stampa, «dal cla­more dei media», come aveva pre­ci­sato qual­che giorno fa la stessa Fiom, invi­tando i sog­getti della costi­tuenda Coa­li­zione sociale. E mostrando una certa aller­gia sia nei con­fronti dei poli­tici che dei giornalisti.
Un netto distacco dall’“apparato” — in altri ambienti si direbbe la “casta” — che il segre­ta­rio dei metal­mec­ca­nici Cgil, Mau­ri­zio Lan­dini, ha voluto rimar­care, pro­prio per­ché l’intento di que­sto nuovo sog­getto è quello di riap­pro­priarsi della poli­tica: fin dalla base, dai movi­menti e dalle asso­cia­zioni, e ovvia­mente dai luo­ghi di lavoro. «Per­ché la poli­tica non è una pro­prietà pri­vata», come ha evi­den­ziato nella famosa frase scritta in gras­setto nella sua let­tera di con­vo­ca­zione agli alleati.

Per l’ennesima volta Lan­dini, aprendo i lavori poco dopo le 10,30 nella sala riu­nioni della Fiom nazio­nale a Roma, ha ripe­tuto che «la coa­li­zione sociale non vuole essere un par­tito e non vuole fare un par­tito». Anzi, come ha spie­gato il costi­tu­zio­na­li­sta Gianni Fer­rara uscendo durante una pausa, ha detto che «chi pensa che siamo qui per fare un par­tito se ne vada a casa».

Que­sto non vuol dire che la Coa­li­zione sociale non fac­cia poli­tica, anzi: la fa nel senso più nobile del ter­mine, e Lan­dini cita l’articolo 2 della Costi­tu­zione, quello che «rico­no­sce e garan­ti­sce i diritti invio­la­bili dell’uomo, sia come sin­golo sia nelle for­ma­zioni sociali ove si svolge la sua per­so­na­lità, e richiede l’adempimento dei doveri inde­ro­ga­bili di soli­da­rietà poli­tica, eco­no­mica e sociale». Unirsi, «coa­liz­zarsi», è quindi un diritto e anche un dovere.

Unirsi, «unire quel che il governo ha diviso»: per que­sto, ripete Lan­dini, «serve supe­rare le divi­sioni, il fra­zio­na­mento, le soli­tu­dini col­let­tive e indi­vi­duali e coa­liz­zarsi insieme». È que­sto, «lo spi­rito inno­va­tivo» su cui si fon­derà la nuova coa­li­zione sociale, «indi­pen­dente e auto­noma», pun­tua­lizza ancora, riba­dendo i con­cetti che aveva scritto nella sua let­tera: per poter affer­mare una «visione nuova del lavoro, della cit­ta­di­nanza, del wel­fare e della società».

Nel corso dei diversi inter­venti si trac­cia un pos­si­bile per­corso, da fare insieme: con Libera, Arci, Emer­gency, ma anche Legam­biente, Libertà e giu­sti­zia, il gruppo Abele. E ancora, la pos­si­bi­lità di coin­vol­gere le asso­cia­zioni di free­lance e par­tite Iva, come gli avvo­cati di Mga, i far­ma­ci­sti, i dot­to­randi di ricerca. Chiaro che Lan­dini vuole andare oltre il sin­da­ca­li­smo metal­mec­ca­nico di stampo clas­sico, per coin­vol­gere i nuovi lavo­ra­tori, anche quelli che non si rico­no­scono come dipendenti.
Per trac­ciare un nuovo «Sta­tuto dei lavo­ra­tori», a par­tire dall’elaborazione della stessa Cgil, ma non solo, e anche andare a un «refe­ren­dum»: per «can­cel­lare quello che delle leggi attuali non ci piace, come il Jobs Act». E per fare que­sto, «biso­gna creare con­senso, dif­fon­dere e col­ti­vare una cul­tura dei diritti», e «lo pos­siamo fare solo se stiamo nelle fab­bri­che ma anche fuori». Dove serve la soli­da­rietà: «Per­ché sem­pre più per­sone si avvi­ci­nano al sin­da­cato dicendo che non arri­vano alla fine del mese, e allora a que­ste per­sone noi dob­biamo dare risposte».

Non a caso la sal­da­tura con i gruppi cat­to­lici, e con asso­cia­zioni come Emer­gency che assi­cu­rano l’assistenza sani­ta­ria a poveri e immi­grati. E poi i recenti rife­ri­menti, tra il serio e il faceto, a papa Fran­ce­sco. Allar­gare oltre il con­sueto stec­cato della sini­stra, abban­do­nare i vec­chi par­titi che hanno perso, pol­ve­riz­zati da Renzi, Grillo, e Sal­vini. Biso­gna dare un mes­sag­gio di «nuovo», al di là dei con­te­nuti più solidi, e que­sto Lan­dini lo sa bene.

Anche se ieri è arri­vata una prima pun­tua­liz­za­zione di Libera, che ha spie­gato che sì, par­te­cipa e col­la­bora, ma che non entra in nes­suna coa­li­zione sociale: «Libera non par­te­cipa a nes­suna coa­li­zione sociale», ha fatto sapere l’associazione di Luigi Ciotti in una nota. Libera spe­ci­fica di aver sol­tanto rac­colto l’invito a «incon­trarsi per affron­tare sin­gole que­stioni di comune inte­resse». «Nel mani­fe­sto con­clu­sivo di Con­tro­ma­fie, gli Stati gene­rali dell’antimafia svolti a Roma nell’ottobre 2014 abbiamo indi­cato con chia­rezza i dieci punti su cui siamo impe­gnati, come rete che rac­co­glie oltre 1.600 associazioni».

Lo scon­tro con i democrat

Come si può imma­gi­nare le peg­giori stoc­cate sono venute dal Pd. Non solo l’entourage ren­ziano, che ha par­lato solo in serata: «Si con­ferma che l’opposizione di que­sti mesi era più poli­tica che sin­da­cale», dice il vice­se­gre­ta­rio del Pd Lorenzo Guerini.

Ma i più acidi sono quelli dell’area rifor­mi­sta del Pd, che vedono togliersi poten­ziale ter­reno sotto i piedi, men­tre vor­reb­bero essere loro, pur in preda a un eterno amle­ti­smo, a inter­pre­tare la sini­stra a sini­stra del Pd (vedi i bril­lanti risul­tati sul Jobs Act). E così Roberto Spe­ranza dice che «la parola scis­sione non esi­ste, non fa parte del voca­bo­la­rio Pd», e che «la solu­zione non può essere una nuova sini­stra anta­go­ni­sta che nasce dalle urla tele­vi­sive di Lan­dini, ma avere più sini­stra nel Pd e nella nostra azione di governo». Molti aspet­tano fiduciosi.

Gli risponde Lan­dini, che si dice «più attento ai con­te­nuti che ai deci­bel»: «Il par­tito di mag­gio­ranza, non tutti — aggiunge — ha votato la can­cel­la­zione dello Sta­tuto dei lavo­ra­tori. Ma il par­tito, que­sto governo, non hanno mai avuto un man­dato del popolo su un tale programma».

Porte aperte alla coa­li­zione sociale dal Prc di Paolo Fer­rero («Ottima noti­zia») e da Sel di Nichi Ven­dola: «È una necessità».L’appuntamento sabato pros­simo a Bolo­gna per la mani­fe­sta­zione di Libera, e poi sabato 28 a Roma, in Piazza del Popolo


AGGIRARE PER CAMBIARE
di Alfio Mastropaolo

Ben­ve­nuta la mossa di Lan­dini. A lungo attesa, ha il pre­gio di essere spiaz­zante. Due temi finora hanno pro­vato a incon­trarsi, ma senza suc­cesso. Quello del par­tito, di un’organizzazione poli­tica elet­to­ral­mente cre­di­bile da opporre alla deriva mode­rata del Pd, e quello delle poli­ti­che: c’è modo di affron­tare la cosid­detta crisi senza sca­ri­carne i costi sui ceti deboli, che sono ormai una parte lar­ga­mente mag­gio­ri­ta­ria della popo­la­zione, giac­ché inclu­dono anche una fetta dei ceti medi, che si erano finora rite­nuti protetti


È pro­prio quest’ultima novità che rivela la natura della crisi. Che non è affatto crisi. È un mostruoso pro­cesso redi­stri­bu­tivo su scala glo­bale dal basso verso l’altro, che vuol rove­sciare la sto­ria del Nove­cento, a bene­fi­cio di una mino­ranza ristret­ti­sima, di impren­di­tori, mana­ger, spe­cu­la­tori, finan­zieri, col con­torno di divi dello spet­ta­colo e dello sport. Ecco la novità di cui pren­dere coscienza e che potrebbe costi­tuire una risorsa poli­tica essenziale.

Giorni fa D’Alema dava per perso il refe­ren­dum con­fer­ma­tivo delle con­tro­ri­forme costi­tu­zio­nali. Per tanti versi ha ragione. Quello screan­zato che tra un ulti­ma­tum e l’altro ha preso in ostag­gio il Pd e i suoi par­la­men­tari, insieme a una parte dell’opposizione di destra, sca­te­nerà una tem­pe­sta media­tica. Che non sarebbe però irre­si­sti­bile ove si riu­scisse a mostrare al paese che, una volta appro­vate quelle riforme, non solo i ceti popo­lari e il mondo del lavoro saranno defi­ni­ti­va­mente alla mercé dell’esecutivo e delle sue poli­ti­che, ma che lo stesso acca­drà a una parte dei ceti medi tra­di­zio­nal­mente meno sen­si­bili alla que­stione democratica.

Che s’introduca una tassa che col­pi­sca i patri­moni è piut­to­sto ovvio. Ma l’entità e il dire­zio­na­mento di tale tassa è da vedere. Che si dia una sfor­bi­ciata alla pen­sioni più ele­vate è ragio­ne­vole. Dove si col­lo­chi la soglia oltre cui inter­ve­nire non è detto. Lo deci­derà un governo senza con­trad­dit­to­rio, come quello che si pro­spetta a riforme appro­vate: un governo asser­vito alla ristret­tis­sima mino­ranza di cui sopra. Ai ceti medi vanno mostrati i rischi che cor­rono: non di pagare il giu­sto, ma anche assai di più. Non dimen­ti­chiamo che lo stato sociale nac­que da una larga alleanza tra ceti popo­lari e ceti medi. Chi può pro­muo­verla? Un nuovo par­tito di sinistra?

La mossa di Lan­dini ha il pre­gio di aggi­rare la que­stione. Non che i par­titi non ser­vano, ma in que­sto momento sono diven­tati così impo­po­lari che fare un nuovo par­tito non por­te­rebbe a nulla. Lo pro­vano gli insuc­cessi dei ten­ta­tivi com­piuti finora di costi­tuire un nuovo par­tito a sini­stra, o magari una coa­li­zione elet­to­rale, che comun­que somi­glia a un par­tito. I par­titi sono vit­tima di una duplice ingiu­sta aggres­sione, in atto da decenni. Sono vit­time di un’aggressione da destra, con­ser­va­trice e ple­bi­sci­ta­ria, che imputa ai par­titi i loro ben noti difetti, ma che ha in odio sopra ogni cosa il loro radi­ca­mento nella popo­la­zione. Anche un par­tito con­ser­va­tore non può con­ce­dersi il lusso di inter­lo­quire solo coi ceti supe­riori. Se vuole pren­dere tanti voti, deve offrire qual­cosa anche al resto della società. Può offrire forme avve­le­nate di raz­zi­smo e popu­li­smo, come fanno la signora Le Pen e Sal­vini, ma deve offrire anche un po’ di pro­te­zione. I ceti ristret­tis­simi non sop­por­tano nean­che que­sto. Sognano la demo­cra­zia del ple­bi­scito e del lea­der che governa a loro van­tag­gio senza rispon­dere a nessuno.

La seconda aggres­sione i par­titi l’hanno subita da sini­stra. Che quella dei par­titi non sia una sto­ria né di mora­lità, né di demo­cra­zia interna lo sap­piamo. Ben­ché non tanto come si rac­conta. E non sem­pre. Vi sono casi in cui i par­titi hanno incluso migliaia di mili­tanti, iscritti, sim­pa­tiz­zanti e li hanno fatti sen­tire a casa loro. Igno­rarli e far di tutt’erba un fascio è errore grave. Comun­que, l’effetto demo­cra­tico dei par­titi va cer­cato da un’altra parte. I par­titi, con l’aiuto dei sin­da­cati, hanno tra­sfor­mato masse disperse e informi di ope­rai, con­ta­dini, impie­gati, uomini e donne in sog­getti poli­tici rispet­tati e temuti. Senza i par­titi socia­li­sti, il mondo del lavoro non sarebbe esi­stito poli­ti­ca­mente. È il caso di pren­derne atto.

Va tut­ta­via preso atto anche del fatto che la cri­tica con­cen­trica ai par­titi è arri­vata a ber­sa­glio. Oggi pro­porre la costi­tu­zione di un nuovo par­tito ver­rebbe, almeno in Ita­lia, accolta con indif­fe­renza. Per quanto diversi tra loro, Pode­mos e Syriza sug­ge­ri­scono di muo­versi altri­menti. Ovvero di agire anzi­tutto sul fronte delle poli­ti­che, o, meglio, sul senso comune. There is no alter­na­tive, diceva la signora That­cher e il ceto poli­tico, salvo frange mar­gi­nali, le è andato appresso: non c’è alter­na­tiva. L’alternativa invece c’è. Potrebbe essere in peg­gio: neo­li­be­ra­li­smo più fasci­smo media­tico. Ma può essere in meglio. Basta cre­derci, ragio­narci sopra e orga­niz­zarsi per met­tere in cir­colo l’idea che l’offensiva dei mer­cati che sta deva­stando la società non è irre­si­sti­bile. Magari atti­vando — secondo la lezione del movi­mento ope­raio d’una volta — forme soli­da­ri­sti­che e di aiuto reci­proco utili a resi­stere già adesso. Atten­zione: non è inim­ma­gi­na­bile un fasci­smo bru­tale come quello dello scorso secolo. Ma si può imma­gi­nare un fasci­smo sub­dolo e stri­sciante, così si può imma­gi­nare una som­mi­ni­stra­zione sub­dola, e non bru­tale come in Gre­cia, delle ricette delle Troika. Anzi: è quello che il signor Renzi sta facendo e vuol segui­tare a fare, senza nean­che i (mode­sti) intralci che al momento lo rallentano.

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