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Fiumicino. L’aeroporto mangiatutto
28 Aprile 2010
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Scandaloso consumo di risorse pubbliche e patrimoni comuni, di cui nessuno parla. Articoli di Alessandro Ferrucci, Luca De Carolis e Chiara Paolin, da il Fatto Quotidiano, 27 aprile 2010

Fiumicino, 10 miliardi con danno ambientale

di Alessandro Ferrucci

Tre nuove piste per il Leonardo da Vinci, un’opera più costosa del Ponte di Messina, al centro la famiglia Benetton. Ma nessuno ne parla

TERRA. ARIA. ACQUA.

Manca il fuoco, per completare i quattro elementi. Ma ci sono i soldi. Tanti, tantissimi, forse come non se ne sono mai visti prima. Anche oltre i 6,3 miliardi stanziati per il “Ponte di Messina”. No, quelli non bastano per raddoppiare l’Aeroporto di Fiumicino. Ce ne vorranno almeno 10. Eppure nessuno ne parla. Silenzio. Dagli imprenditori coinvolti, agli organi di Stato, fino a gran parte della politica. Zitti tutti. Gli unici pronti ad alzare la voce sono uno sparuto gruppo di cittadini di Maccarese e Fregene, frazioni di Fiumicino, alle porte di Roma. Sono loro a gridare “aiuto, vogliono cementificare le nostre vite”.

Quindi ecco la terra: per realizzare l’opera sono necessari 1.300 ettari; aria: la motivazione data da Aeroporti di Roma è che il traffico aereo sulla Capitale raggiungerà, da qui al 2044, i 100 milioni di passeggeri, rispetto agli attuali 36. Acqua: la zona prescelta è a un chilometro, in linea d’aria, dal litorale, zona bonificata negli anni ’20 da contadini veneti e ora dedita ad agricoltura.

LA “MACCARESE SPA”E GLI IMPRENDITORIDI TREVISO

Agricoltura specializzata. In mano, per oltre il 98 per cento, alla “Maccarese spa”, società nata negli anni ’30, di proprietà prima della “Banca Commerciale” e poi del gruppo “Iri”, ma nel 1998 acquistata dalla famiglia Benetton per circa 93 miliardi “con l’impegno di mantenere la destinazione agricola e l’unitarietà del fondo”, come recita l’accordo. Già, a meno di un esproprio. “Se l’Enac (il braccio operativo del ministero dei Trasporti, ndr) dovesse decidere che quella zona è necessaria per realizzare un’opera fondamentale per la collettività, allora verrebbero avviate le pratiche per ottenere le terre”, spiega una fonte di AdR. Tecnicismi, che nascondono ben altro. Proviamo l’equazione: la “Maccarese spa” è di Benetton. Gemina possiede il 95 per cento di Adr. Gemina è di Benetton. Cai, quindi la nuova Alitalia, sta concentrando sulla Capitale quasi tutto il suo traffico aereo nazionale e internazionale. I Benetton, dopo Air France, il gruppo Riva e Banca Intesa, sono i quarti azionisti di Cai con l’8 e 85 per cento. Insomma gli “united colors” rivenderebbero allo Stato, quello che dallo Stato hanno acquistato, per poi ottenere i finanziamenti utili a realizzare un qualcosa da loro gestito e sul quale lavoreranno direttamente quanto indirettamente. “Questione di lobby, di business sulla testa delle persone – spiega Enzo Foschi, consigliere regionale del Lazio per il Pd –. Perché vede, non c’è alcuna necessità di raddoppiare, nessuna. Basterebbe organizzare meglio l’aeroporto e nell’attuale sedime. Anche così il ‘Leonardo da Vinci’ sarebbe in grado di sopportare il raddoppio di passeggeri”. Invece “si uccideranno le prospettive di un territorio – continua Foschi – vocato all’agricoltura, al turismo e all’archeologia, per le necessità di pochi, di pochissimi. È una vergogna”. Una vergogna “silenziosa”. Come detto, il Fatto ha più volte contattato gran parte della politica laziale per avere delle risposte. Dai big, come il neopresidente Renata Polverini, il sindaco di Roma Gianni Alemanno e il presidente della Provincia Nicola Zingaretti, fino a consiglieri e assessori. Niente da fare. O al massimo un “sì, leggiamo e vedremo se intervenire. Grazie”. “Sono mesi che poniamo interrogativi, sempre inevasi – spiega Marco Mattuzzo del ‘Comitato fuoripista’ –. Siamo choccati da tanto silenzio, ci sentiamo soli e inermi. Abbiamo interpellato tutti, compreso l’Enac per capire. Risultato? Non volevano darci neanche le informazioni di cui abbiamo diritto”. Almeno per capire dove e quando.

Tutto nasce nell’ottobre del 2009. Conferenza stampa convocata da AdR. Toni pacati, sorrisi grandi. Pacche sulle spalle e l’atteggiamento di chi dice: siamo alla svolta, chi non lo capisce è fuori dal mercato. È fuori tempo. L’occasione è presentare a governo ed Enac il piano di sviluppo. Il presidente di AdR, Fabrizio Palenzona, spiega: “Sono previsti investimenti per 3,6 miliardi di euro fino al 2020, nell’ottica di un progetto che punta a una capacità di 55 milioni di passeggeri nel 2020 e di 100 milioni nel 2040”. Attenzione alle cifre: i 3, 6 miliardi sono solo per arrivare ai 55 milioni; per toccare quota 100 c’è chi osa sparare quel numero iperbolico: 10 miliardi (“Basta moltiplicare il costo per il numero di passeggeri” ci spiega la nostra fonte in Adr). E per questo è necessario “un grande patto tra investitori e istituzioni – continua Palenzona – attraverso un quadro certo di regole e tariffe per consentire un così ingente piano di investimenti privati: un piano che ha il sostegno di imprenditori che rischiano, mettono soldi nel mercato, ma hanno bisogno di certezze”.

“Tariffe”, la parola magica. Come conferma Gilberto Benetton: “Il tutto è vincolato nella prima fase all’ottenimento di un aggiornamento delle tariffe, nella seconda fase a una nuova convenzione che preveda anche un ritorno sugli investimenti futuri”. Dichiarazione rilasciata sempre a ottobre, poco prima di un incontro ufficiale a Villa Madama, Roma. Presente anche il responsabile divisione corporate e investment banking di Intesa Sanpaolo, Gaetano Miccichè. Guarda caso “Intesa” è il terzo socio di maggioranza in Cai.

LA PREOCCUPAZIONE DELLE BANCHE E LE CONDIZIONI

I soldi ci sono. Eccoli. Loro chiedono un adeguamento. L’adeguamento c’è. Dalla legge finanziaria presentata il 23 dicembre del 2009, si legge: “È autorizzata, a decorrere dall’anno 2010, e antecedentemente al solo periodo contrattuale, un’anticipazione tariffaria dei diritti aeroportuali per l’imbarco di passeggeri in voli all’interno e all’esterno del territorio dell’Unione europea, nel limite massimo di 3 euro per passeggero, vincolata all’effettuazione di un autofinanziamento di nuovi investimenti infrastrutturali urgenti”. Più urgenti di un raddoppio? C’è un “però”: AdR ha ottenuto un incremento di imbarco pari all’inflazione programmata del 2009 (l’1,5 per cento, quindi da 5,17 euro a 7,57). Ma secondo quanto riportato il 6 aprile da il Sole 24 Ore a firma Laura Serafini, AdR non ritiene di essere in grado di finanziare l’opera con le norme attualmente vigenti sulle tariffe. “Lo potrà fare solo con un nuovo sistema, tutto da negoziare con l’Enac entro la fine del 2010, che secondo quanto già dichiarato dai vertici di AdR dovrebbe riconoscere allo scalo la stessa convenzione data ad Autostrade, che dunque garantirebbe aumenti per i prossimi 34 anni (la concessione AdR scade infatti nel 2044)”. Da qui lo scoglio: manca la garanzia che il ministero dell’Economia, chiamato ad approvare quel contratto assieme al ministero dei Trasporti dia il via libera a questo tipo di contratto. E le banche non vogliono rischiare. Vogliono vedere “nero su bianco”. Per questo AdR pretende che il calcolo dell’inflazione parta dal 2001. “Quindi il raddoppio lo paghiamo noi cittadini – interviene Marco Mattuzzo –.Eppoi c’è qualcuno che vuole venderci la storia che conviene a tutti avere un aeroporto del genere. Anche a chi vedrà la propria casa rasa al suolo. Lo sa una cosa? Ora nessuno comprerebbe una casa ‘condannata’. A meno che non sappia niente del piano. Quindi il danno lo subiamo già ora”. Non solo case, anche aziende. Nella zona interessata (nella pagina accanto c’è la piantina) vivono duecento famiglie e operano venti aziende, alcune delle quali affittuarie della “Maccarese Spa”. Gente che da anni lavora la terra, investe, cresce, offre primizie al mercato romano. Percorrere le tante stradine che costeggiano i campi è come fare un viaggio nelle “quattro stagioni”: da una parte i prodotti dell’inverno, poi ecco i primi frutti della primavera. E così via. “Noi siamo qui dal 1987 – interviene il signor Caramadre, dell’omonima cooperativa –, e ci occupiamo di orticoltura biologica. Se sono disposto ad andarmene? Ma lei si rende conto quanto tempo ci vuole per mettere in piedi un’azienda del genere? Cosa vuol dire piantare e aspettare i frutti? Non siamo mica una fabbrica che compra i componenti e li mette in funzione. Per noi i periodi diventano anni, dai dieci ai quindici”. Quindi di vendere non se ne parla “anche perché non ci darebbero mai la cifra necessaria per aprire una nuova attività – continua –. Così siamo all’interno di una forma ricattatoria: o cedi alla cifra che decidiamo, o vai in giudizio civile. Quindi 7-8 anni per arrivare a sentenza. E nel frattempo mi hanno raso tutto al suolo”.

WWF, VASCHE,NATURA E INQUINAMENTO

Secondo il master plan presentato a ottobre da AdR simile se non identico a quello studiato dall’Iri negli anni ’60, dei 1300 ettari, l’8,2 per cento verrebbe destinato a hotel, centri commerciali, uffici, congressi e ancora. Ben 106,6 ettari, “1.066.000 metri cubi di nuove costruzioni” come denunciano dal comitato. E non importa se nella zona esistono due riserve del Wwf, un Parco Romano, se sotto alcune “zolle” sono stati ritrovati degli importanti reperti archeologici. Non importa se non lontano, in linea d’aria, incide una delle discariche più grandi d’Europa, quella di Malagrotta. Non importa se già adesso la qualità della vita è complicata per gli abitanti della zona, investiti da alti livelli di inquinamento acustico, elettromagnetico, oltre che ambientale. Secondo uno studio realizzato dalla dottoressa Antonella Litta, referente per la provincia di Viterbo dell’Associazione italiana medici per l’ambiente, “esistono evidenze sempre più consistenti, legate al traffico aereo, di come numerosi inquinanti, introdotti nel corpo umano, inducano processi infiammatori cronici che determinano uno stress cellulare progressivo a carico di organi e tessuti, aprendo la strada a patologie gravi come aterosclerosi e cancro”. Sarà un caso, le due persone che ci hanno guidato tra i campi di Maccarese, sono sotto chemioterapia. E la Asl competente non ha ancora realizzato uno screening specifico per valutare la situazione della zona. Interpellati i responsabili, ci hanno spiegato che esistono solo dei dati ricavabili da altri studi, quelli di routine.

“Sì, è tutto molto sconcertante – afferma Filiberto Zaratti, ex assessore all’Ambiente della giunta precedente –. Emerge con chiarezza il classico investimento immobiliare, nel quale potranno intervenire i soliti ‘paperoni’. A prescindere dalla reale utilità, che non c’è. Inoltre parlano di aumento dell’occupazione. Ma siamo seri, prenda quanti sono attualmente impiegati al Leonardo da Vinci e li rapporti al traffico passeggeri. Poi veda”. Bene, ecco qui: “A 36 milioni di traffico, corrispondono 2623 dipendenti, di cui circa 635 a tempo determinato – spiegano da Fuoripista. Quindi 80 occupanti ogni milione di passeggeri. Al contrario AdR parla di mille addetti ogni milione. Al 2044 sarebbero 100 mila posti di lavoro diretti”. Il Fatto ha cercato di sentire tutte le parti. Ha chiamato Gemina, ha interpellato l’Enac. Per capire. Anche con loro, niente da fare. L’Ente nazionale ha risposto che i “tecnici stanno ancora valutando, quindi è presto”. Gli uomini di Benetton si sono chiusi dietro un inespressivo no comment. E chi lavora con loro ci ha parlato a voce bassa e sotto una promessa: “Mi raccomando, io non vi ho detto niente. Non fate mai il mio nome altrimenti mi licenziano”. Già, l’importante è tenere la voce bassa. Anche se in ballo ci sono 10 miliardi di euro.

Il primo volo, Andreotti e il Vaticano Montanelli: “Una rapina”

di Luca De Carolis

IL RITRATTO di questo scandalo fatto di miliardi sprecati e intrecci oscuri lo dipinse Indro Montanelli sul Corriere della Sera: “Il caso dell’aeroporto di Fiumicino è molto peggio di un furto, di una rapina a mano armata o di un’incursione di briganti”. Era il 27 dicembre 1961, oltre un anno dopo l’inaugurazione dello scalo romano: tardiva. Fiumicino doveva essere pronto per il 1950, l’anno del Giubileo. E invece venne inaugurato nell’agosto 1960, per entrare davvero in funzione nel gennaio 1961. Erano trascorsi 14 anni di lavori, per una spesa complessiva attorno agli 80 miliardi di lire: quasi 50 miliardi in più di quanto preventivato. Un fiume di denaro persosi nei mille rivoli del sottopotere democristiano. La vicenda inizia nel 1947, quando il ministro dell’Aeronautica, Mario Cingolani, istituisce un comitato per la costruzione del nuovo aeroporto di Roma. I tecnici vogliono realizzarlo nell’area di Casal Palocco, vicino Ostia. Ma il comitato, presieduto dal generale Matricardi, dirotta la scelta su un’area paludosa a Fiumicino, porto della Capitale. I terreni appartengono ai Torlonia, ma a gestirli è un ex gerarca fascista, Nannini, in ottimi rapporti con l’allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giulio Andreotti. Poco tempo prima, un privato aveva comprato un appezzamento attiguo per 60.000 lire all’ettaro. Il comitato Matricardi paga ogni ettaro 754.000 lire. Finisce il 1950, l’Anno Santo: prima scadenza non rispettata. A dirigere l’ufficio progetti per l’aeroporto arriva il colonnello Giuseppe Amici: sodale di Nannini, con eccellenti entrature in Vaticano. In sette anni, Amici spende oltre venti miliardi per Fiumicino, ma sui terreni non compare neppure un muro. “Chi fa osservazioni gravi contro Amici non è tra le persone oneste” tuona Andreotti. Nel 1957, Giuseppe Togni diventa ministro dei Lavori pubblici, con l’incarico di occuparsi di Fiumicino. Per gli appalti è battaglia, con minacce incrociate. Nel febbraio 1959 il presidente della commissione tecnica per Fiumicino, il generale Fernando Silvestri, si spara un colpo di pistola alla tempia. Andreotti è serafico: “Caso ereditario, suo padre si uccise alla stessa età”. Si annuncia che l’aeroporto sarà pronto per le Olimpiadi del 1960, ma i lavori vanno a rilento. Per salvare la faccia, il 20 agosto del ’60 Togni e il ministro della Difesa Andreotti inaugurano Fiumicino. Ma lo scalo diventa operativo solo la notte tra il 14 e il 15 gennaio 1961. Tre mesi dopo, la pista numero uno sprofonda. Il fondo in calcestruzzo e cemento ha ceduto di schianto. Sull’onda dello scandalo, si forma una commissione d’inchiesta parlamentare. Socialisti e comunisti chiedono le dimissioni di Andreotti, senza esito. La commissione non prende provvedimenti, mentre Amici viene promosso generale. Nel 1963, la Procura di Roma archivia tutto. “Chissà quanti altri Fiumicino ci aspettano” commenta Montanelli: profetico

Sulla pelle dei viaggiatori

quella “tassa” da 3 euro

di Chiara Paolin

Per sapere cosa succede in Italia basta leggere BusinessWeek. Già lo scorso 4 febbraio la rivista economica raccontava come i Benetton stessero muovendo terra e cielo per far finalmente decollare il progetto AdR, la società Aeroporti di Roma che gestisce il nascente hub capitolino. Franco Giudice, direttore generale AdR, annunciava serafico: “Intendiamo raddoppiare utili e ricavi entro il 2019 incrementando il traffico e le concessioni commerciali”. Ma come? Finora lo scalo romano per i trevigiani è stato un affare a metà. Entrati nel 2005, si sono accollati 70 milioni di spese per il rinnovo della stazione (intonsa dagli anni ‘60) e altri 170 per nuove strutture. Hanno tentato di convincere gli altri soci di Gemina, società che controlla AdR al 96%, a una forte ricapitalizzazione. Solo qualche mese fa Luciano, gran patron della casa veneta, parlò apertamente di 500 milioni di euro da sborsare, ma Mediobanca (che ha il 13%), Silvano Toti (che vanta un 12%, in pegno però a Unicredit e Intesa) e gli altri piccoli azionisti (Premafin, Generali, Unicredit, Fassina) fecero spallucce. Così i Benetton, che non amano perder tempo né denaro (specie dopo la batosta Telecom), si sono rimboccati le maniche. La megaholding di famiglia Edizione Srl (11 miliardi di euro il fatturato), azionista di maggioranza in Gemina (31%), ha deciso di coinvolgere nuovi soci tramite la controllata Sintonia, società lussemburghese che fa da ponte tra Edizione e Gemina: è lì, nel comodo paradiso fiscale, che il fondo sovrano cinese Gic e la nota banca d’affari Goldman Sachs hanno deciso di prender parte al gioco romano dell’AdR. E vai col primo risultato: potenziare la cordata. Ma per cambiare rotta serve denaro. L’ultimo bilancio AdR segna un utile netto di 5,2 milioni di euro: un bel miglioramento sul -8,3 milioni dell’anno scorso, ma briciole per l’impero dei veneti. I quali, subito dopo aver approvato i conti 2009, hanno votato il nuovo Cda: dentro un rappresentante cinese e presidenza a Fabrizio Palenzona, che ricopre la stessa carica anche in Gemina. Perché il doppio incarico? Palenzona è l’uomo di fatica dei trevigiani: sarà lui a dover sbrogliare la questione del cosiddetto adeguamento delle tariffe, ovvero una nuova tassa da 3 euro che pagheranno tutti i passeggeri per foraggiare nuove opere a Fiumicino (e Malpensa). L’accordo dei Benetton con il governo è di investire 3,6 miliardi da qui al 2020, ma solidi introiti devono giungere dalla tassa viaggiatori, oltre che dai diritti pagati dalle compagnie aeree. A decidere l’introduzione dell’obolo sarà il Cipe: oggi il bonus varrebbe oltre 100 milioni l’anno visto che nel 2009 sono passati da Fiumicino 34 milioni di viaggiatori. I quali diventeranno però il triplo nei prossimi vent’anni (secondo AdR). Per ora, l’incarico di Palenzona è sbloccare la richiesta dei veneti. Lui il piglio sicuro ce l’ha, e dichiara: “Per l’adeguamento delle tariffe aeroportuali c’è un iter in corso. Dovrebbe essere convocato un Cipe per la seconda lettura, dopo la prima avvenuta a novembre. Poi ci sono state le elezioni e penso che al prossimo Cipe se ne parlerà”. Del resto Palenzona è un pezzo d’uomo capace di conquistarsi nel tempo cuori poco teneri come quello di Enrico Cuccia e amicizie pericolose come quella di Giampiero Fiorani, che lo accusa di aver trafficato con lui all’epoca della Banca di Lodi. Accuse rispedite al mittente e schiacciate da una fantastica ascesa al potere con conseguente accumulo di mille incarichi: da presidente della Federazione padroni e padroncini di tir, business cui venne introdotto dal suo mentore Marcellino Gavio, fino all’ingresso come consigliere in Mediobanca via Crt-Unicredit. Insomma, un mastino dei trasporti lanciato dai Benetton prima sulle autostrade e adesso sulle piste di Fiumicino. Anche perché Palenzona, studiando Economia a Pavia, fece amicizia con quel giovane assistente universitario di nome Giulio Tremonti che nemmeno sognava di diventare un giorno ministro dell’Economia (e vicepresidente del Cipe).

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