Si può ammazzare un poeta e cantastorie? La storia ci ha più volte detto di sì. Talvolta l’autore è stato la bestialità di un potere dittatoriale, talaltra la causalità, anch’essa bestiale, impersonata da ragazzi di strada. Siamo sempre più assuefatti alla violenza omicida e questa ‘abitudine’, dopo un battito di inquietudine, ci ha reso indifferenti di fronte all’orrore della morte procurata, a meno che essa non colpisca persone a noi vicine. All’indomani del fatto quasi sempre siamo già dimentichi, nonostante la ragione ci suggerisca che non ci sono giustificazioni (neppure le più gravi e tanto meno quelle presunte) per accettare un atto così estremo.
Hanno ammazzato Peppino Marotto, un poeta le cui uniche armi erano i dolci suoni delle sue poesie e la coscienza civile che metteva al servizio della comunità di Orgosolo. Difficilmente potremo dimenticare questa violenza, e chi oggi appare indifferente non sa di essere più povero e più solo di ieri.
Non ho mai conosciuto Peppino Marotto, ma il suo nome e la sua attività intellettuale mi erano familiari, e seppure a distanza facevano parte del mio background. Non avrò più occasione di conoscerlo, qualcuno lo ha ammazzato in pieno giorno e in una strada centrale del paese.
Ho letto in modo partecipe gli articoli a lui dedicati e ascoltato con attenzione i commenti di chi conosce certamente molto più di me l’humus culturale di Orgosolo e la lunga vita operosa di Marotto. Mi hanno colpito le dure parole di Giovanna Marini, secondo cui il paese che uccide i suoi poeti è senza speranza, ed anche quelle di Paolo Pillonca, secondo cui se una spiegazione c’è, va cercata nelle tenebre del passato; così come ho ascoltato quelle affrante di Giacomo Mameli che della comunità orgolese in molti suoi articoli ha esposto la grande capacità di cogliere i nuovi percorsi di sviluppo sociale ed economico. Ma anch’egli sembra aspettarsi che la causa di questo omicidio vada cercata nei profondi labirinti del rancore tramandato per decenni.
Sono di nascita barbaricina e mi capita di riflettere sul rancore che sembra connotare pezzi della popolazione sarda, e ciò perché nei racconti di qualche famigliare continuo a cogliere un’atavica incapacità di distaccarsi emotivamente da un torto subito (o presunto tale), anche quando il torto non lo riguardava direttamente, ma era vissuto di riflesso attraverso qualche antico componente della famiglia. Ed ogni volta mi sono chiesta a che serve accanirsi con se stessi in questo modo . Perché accade questo nella maggior parte dei casi. Ricordare del passato prevalentemente il male che si crede di aver ricevuto, significa imputare ad altri la responsabilità della propria più o meno grande infelicità.
Ma la mia reiterata riflessione non ha valenza scientifica, è solo un vissuto personale che non si può estendere ad un’intera comunità. Recentemente ho avuto modo di studiare le dinamiche degli omicidi in Sardegna, pratica violenta ancora troppo diffusa , in modo particolare in una delimitata area dell’Isola centro-orientale. Omicidi che si caratterizzano per lo più per il fatto che si tratta di atti individuali, che avvengono in ambienti comuni a vittima ed autore, che vengono compiuti da persone con un basso livello di istruzione, in gran parte per ragioni futili e solo in minima parte per ragioni economiche. Pratica che comunque non è connessa a forme di malessere sociale così come si è sostenuto in passato, e che neppure può essere spiegata come un modo residuale e primordiale di soluzione dei conflitti, in assenza di altri meccanismi di conciliazione e mediazione. Insomma, provo una certa resistenza ad acquisire come spiegazione la vendetta per risolvere un conflitto, seppure tardiva, come viene ipotizzato da alcuni nel caso dell’omicidio di Marotto.
Le diverse spiegazioni che conducono al passato mal si conciliano con un’immagine di Orgosolo che in questi ultimi tempi ha saputo esprimere intelligenze, sapienza del fare e civicità, paese che recentemente ha saputo sostenere le ragioni del suo sviluppo, confermate dal fatto che è uno dei pochi comuni dell’interno che non ha subito il devastante processo di spopolamento.
Saranno gli inquirenti ad indagare, nella speranza che sappiano tessere la ragnatela per intrappolare celermente l’omicida. Di questa persona mi ha colpito il senso di sicurezza con cui ha agito in pieno giorno, come se si sentisse immune dal pericolo tra i muri del suo paese, come ha detto Giacomo Mameli a Rai 1; spero soltanto che quei muri abbiano acquistato voce e orecchie, così come i suoi abitanti hanno saputo conquistarsi intelligenza e sapienza.