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Finalmente visibile il popolo dei migranti
2 Marzo 2010
Articoli del 2010
Un commento di Enrico Pugliese e cronache da Roma, Milano, Siracusa e Napoli (Luce Manara, Cinzia Gubbini, Francesca Pilla) sulla giornata del ieri. La prima di una serie. Il manifesto, 2 marzo 2010

Cittadini lavoratori

di Enrico Pugliese

Le mobilitazioni di ieri in tutt'Italia con una forte presenza di immigrati e di italiani rappresentano un importante elemento di novità. Il loro carattere è stato diverso da un posto all'altro, ma dappertutto pacifico e colorato. In qualche città e in qualche fabbrica, dove esiste una presenza più radicata di immigrati consolidata anche a livello sindacale, ci sono stati scioperi, per iniziativa soprattutto della Fiom. L'elemento principale di novità è rappresentato proprio dalla presenza contemporanea e multiforme delle manifestazioni in tutto il paese.

Perciò la giornata di ieri rappresenta una buona ripresa di lavoro politico degli immigrati, con gli immigrati e per gli immigrati. Non si tratta naturalmente di un inizio. C'è gente - compagni e non - che da anni svolge lavoro politico e pratica sociale con loro. Ed è stata proprio la partecipazioni delle associazioni radicate tra i migranti a dare legittimità e vivacità alla giornata di mobilitazione e di protesta.

La nota certamente più bella va cercata nella vivace e allegra presenza dei «nuovi italiani»: giovani di diversa origine nazionale, di diversa fede, di diverso colore della pelle e con un diverso accento (perché parlano in chiaro dialetto romanesco, napoletano, veneto oppure milanese, e quasi mai «straniero»). Sono italiani a pieno titolo, cresciuti e spesso nati qui in Italia - come essi stessi tengono sempre a precisare - ma non hanno la cittadinanza italiana. Non è prevista.

L'Italia è ormai uno dei più importanti paesi di immigrazione d'Europa, ma al crescere della rilevanza numerica e del numero degli immigrati non solo è mancato un adeguamento della politica di immigrazione e di cittadinanza, ma è andata montando negli ultimi anni non un' ondata di razzismo popolare, come pure spesso di sente dire, bensì una crescente pratica razzista e discriminatoria istituzionale. Non si tratta solo delle improvvide dichiarazioni di questo o di quell'esponente della Lega, quanto della sempre più frequente messa in atto (o comunque del tentativo di mettere in atto) di norme discriminatorie che non hanno altra spiegazione se non un intento persecutorio. Si va affermando nel nostro paese una sorta di diritto speciale per gli immigrati che ha trovato nel cosiddetto «decreto sicurezza» la sua più evidente espressione. Ma anche a livello locale le iniziative di sindaci di destra o anche di centro sinistra contro gli immigrati (lavavetri, produttori e consumatori di kebab o semplicemente «stranieri») - sulla base di motivazioni speciose, che malamente nascondono l'intento razzista - sono espressione di questo pericoloso clima istituzionale.

È difficile dire se esista o meno a livello popolare una pari deriva in direzione razzista nel nostro paese, ma sono convinto di no, anche se il pulpito istituzionale è fortemente capace di influenzare l'opinione pubblica. Alla fine, come sempre, la gente è meglio dei governanti.

Quelli che sono scesi ieri in piazza - italiani e immigrati - sono certamente una minoranza. Ma forse esprimono un sentire comune molto più diffuso di quanto non si pensi solitamente e possono aiutare a far chiarezza e a mostrare che un diverso modo di porsi nei confronti dei migranti è possibile. D'altronde a livello di base, tra la gente, la solidarietà la si può sempre osservare quotidianamente nelle strade, nei posti di lavoro, nelle scuole. Il razzismo, nonostante il quadro istituzionale altamente diseducativo, è ancora minoritario.

Tutto bene, dunque, per le manifestazioni e gli scioperi di ieri in alcune fabbriche del nord? Certamente. Anche perché la proposta originale di sciopero generale degli immigrati - non solo impraticabile ma anche foriera di divisioni (perchè sciopero dei soli immigrati?) - è stata largamente superata dalle più opportune e praticabili iniziative e manifestazioni di piazza. Ora bisogna che - lavorando politicamente e sindacalmente, ma svolgendo anche lavoro sociale - ci si attrezzi perché in futuro davvero possa aver luogo un grande sciopero degli immigrati e per gli immigrati.

«Una giornata senza di noi» è lo slogan che aveva caratterizzato la grande mobilitazione degli immigrati in America qualche anno addietro. Ieri non si è tratto di questo, ma si è riusciti a far capire l'importanza della presenza dei migranti per l'economia e per la società italiana, e a riattivare una vertenzialità degli stessi immigrati, nella veste di protagonisti di un comune destino.

«INPS, VOGLIAMO I CONTRIBUTI»

Una giornata di protesta a macchia di leopardo, decine di iniziative, cortei affollati soprattutto di migranti. Il «popolo giallo» esiste e si mostra all'Italia, anche se quello di ieri non è stato un vero e proprio sciopero. Oltre al comitato promotore nato su Facebook e ai tanti comitati di immigrati, hanno aderito alla «giornata senza immigrati» Amnesty e l'Arci, Legambiente, le Acli ed Emergency. E poi tutti i partiti della sinistra, dal Pd all'Idv passando per Pdci e Rifondazione. Di Roma, Milano e Napoli parliamo in questa pagina. Ma sono state molto partecipate anche le altre manifestazioni: diecimila in piazza a Brescia per iniziativa della Fiom-Cgil e a Genova per iniziativa delle comunità di immigrati del centro storico. Alla sede Inps di Roma una cinquantina di immigrati hanno protestato per il riconoscimento dei contributi previdenziali di cui non godono se lasciano il paese. Un migliaio i manifestanti a Bari. A Mestre un giovane è stato denunciato per aver lanciato vernice contro una sede leghista. Commenti positivi dalla Coldiretti («Sono indispensabili») e perfino dai «finiani» del Pdl Adolfo Urso e Fabio Granata. Critiche invece dalla Cisl («una strumentalizzazione») e naturalmente dalla Lega, che ha organizzato per oggi una contromanifestazione a Sesto San Giovanni.

Milano

Gli antirazzisti passano col giallo

di Luce Manara

Visto che roba? Troppo facile complimentarsi per una piazza così, adesso. Tanto bella e plurale come piace a molti (spesso solo a parole), che quasi sembra finta. Uno spot con i palloncini colorati di giallo, come tutto il resto, del resto. Sorrisi, armonia. Un albanese che di solito ne farebbe scappare mezza (di piazza), grida con il suo cartello in mano, dice a mister B. di tenere giù le mani dalle ragazze dell'est, e sfila di fianco a un professore di mezza età che con le mani allacciate alla schiena, tanto per spiegare quando è profondo e documentato il suo antirazzismo, argomenta sul fatto che il bergamotto, i limoni e gli agrumi... li hanno portati gli arabi, sai? Compresi quelli dalle facce un po' così. Uno staliniano convinto con l'acne giovanile può intendersela con un libertario scanzonato, e una femminista storica può trovarsi a suo agio con un vero maschio maghrebino. Sì, sembriamo tutti sinceramente antirazzisti in piazza Duomo. E forse è vero.

Allora viene da chiedersi che fine facciano, perché non si diano di gomito più spesso, riconoscendosi, ridandosi appuntamento alla prossima, tutte le persone che ieri sera, insieme, sono state almeno un po' felici, se non altro di respirare aria pulita - e c'era anche mezzo cielo cobalto che sembrava primavera.

Del resto, trattandosi di una manifestazione e non di uno sciopero - i migranti hanno già maturato il diritto al lavoro (sulla carta) ma quello di scioperare... per carità! - chi se la sentiva di non aderire a una festa dichiaratamente antirazzista? Morale: c'erano proprio tutti, in rappresentanza di..., comprese le bandiere della Uil, tanto per dire.. E' la (insolita) piazza milanese che di tanto in tanto si palesa miracolosamente per smentire il luogo comune di una città sempre più incattivita, «ancora tu... ma non dovevamo vederci più?». Trentamila persone. Con un ingrediente speciale, il sale, gli stranieri: perché questa volta in mezzo alla rimpatriata dei soliti noti e sfiduciati c'erano loro, e quindi la parola «lotta» e «futuro» sembravano concetti un po' meno usurati dalle nostre, come si dice, «beghe interne». E questa, oltre alle lezioni di arabo impartite in piazza Duomo, è la vera lezione per noi autoctoni che al Primo Marzo senza di loro non abbiamo mai creduto veramente.

Tutto bene così, manifestazione bella e colorata...e fiaccole di pace? Per non perdere di vista il problema, per non tornare a casa pacificati e con l'illusione tanto cara alla sinistra senza bussola che, evviva, ce n'est qu'un début, è bene tenere a mente le parole della sorella di Abba (italiano nero ucciso a Milano perché nero): «Sono molto molto molto incazzata». Ecco, Rosarno è cronaca ammuffita solo per quelli del mestiere, gli stranieri se ne ricordano diversamente, e la rivolta di via Padova è ancora calda, tanto che si attendono retate da un giorno all'altro, e il sindaco Moratti (su suggerimento del Pd, che era in piazza), ha disposto controlli polizieschi sui contratti di affitto agli stranieri di via Padova - nella stessa via una volta si controllavano i «terroni», con le galline nella vasca (dicerie anni Cinquanta, e non abbiamo fatto molti passi avanti).

Il rumore di fondo determinato e composto della piazza (che vuol dire a tratti anche giocoso) diventa messaggio che si strozza dalla rabbia: «Basta razzismo», semplice, ma da brividi se il timbro è tutto straniero, e sono le donne a gridare di più. Così, come una litania, senza molte altre parole per raccontarsi - tutti lavorano, tutti si sono sentiti vittime di un sopruso, tutti raccontano di un bambino a scuola, insomma la vita... - migliaia di persone si sono incamminate fino in piazza Castello. Par condicio e buon gusto impongono di non fare l'elenco dei partiti presenti, però c'era Dario Fo - che, ahinoi, autografava copie de Il Fatto - e l'Arci, Emergency, con le mani di Gino Strada da stringere, Amnesty International e decine di associazioni antirazziste, i sindacati di base (Sdl aveva già «occupato» piazza Scala al mattino) e anche lo spezzone della Cgil, e il mondo della scuola. Il centro sociale Il Cantiere, che per l'occasione ha lanciato la sua nuova free press patinata ShockPress: in quattro lingue, intuizione che guarda molto avanti, altro che crisi dell'editoria.

Bisognerebbe filmarla tutta una manifestazione così, per scoprire quali energie sotterranee stanno scuotendo Milano. Tempo ce ne sarà. Adesso sei contenta? «Sì, non me l'aspettavo così! Il problema è cosa fare adesso - dice Stefania Ragusa, una delle quattro donne che ha lanciato l'idea dello sciopero migrante - e non sarebbe nemmeno così difficile. Per quanto riguarda noi, bisogna strutturare il movimento. Stiamo pensando a un incontro nazionale, ma bisogna stare molto attenti a mantenerne la purezza».

Un interrogativo così, prima ancora che partisse il corteo, l'aveva sospirato un marocchino che di belle piazze a Milano ne ha già viste tante. «Bella... ma a che serve?». Prendiamoci qualche giorno di tempo, prima di rispondergli.

Siracusa

«Free don Carlo», gli immigrati di Siracusa con il loro parroco

di Cinzia Gubbini

Il corteo inizia con la nebbia, finisce con il sole nell'antico mercato dove si va avanti fino a sera. E la soddisfazione degli organizzatori: «E' un risultato storico», dice Massimiliano Perna. Trecento persone che sfilano con i nastri gialli appesi al collo o tra i capelli, i palloncini dello stesso colore, simbolo del primo «sciopero degli immigrati», sono una novità per Siracusa. Lo si capisce dai crocchi di persone che si formano ai lati della strada: «Ma che succede?». Giovane Massimiliano, come giovani sono i ragazzi che hanno voluto questo primo marzo a tutti i costi, appoggiati dall'Unione degli studenti, dalla rete antirazzista catanese, Libera, Rifondazione, Amnesty International, Arci. Anche qui, a Siracusa, non esattamente il centro della politica siciliana. Anche qui, dove il presidente del comitato primo marzo è agli arresti domiciliari dal 9 febbraio.

Si tratta di don Carlo D'Antoni. Di lui le cronache nazionali si sono occupate velocemente. A Siracusa è stato un terremoto. E lo stesso nei circuiti delle associazioni che si occupano di immigrati. Lo conoscono tutti, don Carlo. La parrocchia di Bosco Minniti è l'esempio di un'accoglienza possibile: si mangia davanti l'altare maggiore, si dorme tra i banchi della chiesa. «Lui ragiona così: il Vangelo si segue alla lettera. E infatti è finito in croce come Cristo», dice una delle sue parrocchiane che tiene lo striscione «Siamo tutti colpevoli di solidarietà». Le accuse contro don Carlo sono pesanti: associazione a delinquere e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. L'inchiesta sembra non essere peregrina. A parte il prete di Bosco Minniti sono state arrestate altre nove persone, alcune delle quali accusate di riduzione in schiavitù e sfruttamento della prostituzione. Ma a don Carlo viene contestato quello che lui ha sempre fatto alla luce del sole: cioè firmare centinaia di dichiarazioni di ospitalità, un documento necessario per gli immigrati per poter sbrigare le pratiche legate al permesso di soggiorno. Attività che certo non gli ha attirato molte simpatie: da tempo don Carlo è ai ferri corti con la questura di Siracusa. Gli inquirenti ora ritengono che abbia firmato carte anche per chi non ha mai dormito a Bosco Minniti (accusa che viene respinta totalmente) e che «non poteva non sapere» che alcune di queste ragazze venivano poi sfruttate dal racket della prostituzione e che alcuni collaboratori - secondo l'accusa - prendevano dei soldi. Ma anche in questo caso, è la stessa ordinanza a chiarire che don Carlo non ha mai guadagnato nulla.

Adesso, davanti alla sua stanza sopra la parrocchia, dove è rinchiuso agli arresti domiciliari, c'è uno striscione: «Non mollare». E ieri il corteo gli ha tributato più di un applauso. «Free don Carlo» l'appello dei ragazzi africani che ieri erano alla manifestazione. Sono tutti quelli che ancora oggi dormono a Bosco Minniti, una cinquantina. L'attività di assistenza della parrocchia continua ad andare avanti solo grazie all'impegno di alcuni volontari, come Massimilano Perna. Molti degli ospiti sono i ragazzi scappati dalla «caccia al nero» di Rosarno. Aboubakar, del Gambia, è uno di loro: «Da quando due anni fa sono arrivato in Italia, solo don Carlo mi ha aiutato». Aboubakar è un rifugiato, non ha mai avuto un contratto regolare, non ha mai seguito un corso professionale, né di lingua italiana. Tutte cose che gli sarebbero dovute secondo la legge italiana. Anche lui tra qualche settimana andrà a dormire nelle campagne intorno a Cassibile, negli anni è diventato la «piazza del caporalato» della provincia.

Ed è proprio a Cassibile, alle 6 di mattina, che è iniziato il 1 marzo di Siracusa. E' stata la rete antirazzista di Catania a insistere perché si partisse da qui: «C'è davvero il rischio che sia la prossima Rosarno». Nel pezzo di strada lungo cui si snoda il paese, che viene chiamato piazza anche se della piazza non ha una forma, già ora si incontrano tutte le mattine un centinaio di ragazzi africani che aspettano di essere caricati sulle macchine dei caporali marocchini (la comunità di più lungo insediamento) per andare a raccogliere le lattughe. Diventeranno molti di più quando ad aprile comincerà la raccolta delle patate. C'è il rischio che finiscano a dormire per strada, come sta accadendo adesso per tutti quelli che aspettano la giornata di lavoro. Il Viminale ha annunciato che proprio a Cassibile verrà approntata una tenda per accogliere i braccianti. Ma tra gli attivisti c'è la preoccupazione che sarà aperta soltanto ai regolari. Per quanto tra i braccianti africani i regolari sono molti. Solo messi a lavorare senza contratto: «No, qui il documento lo devi proprio nascondere, sennò non ti prende nessuno», dice Ousman, rifugiato sudanese. Quindi niente contributi e oltretutto paga ridotta (da queste parti si guadagnano circa 40 euro al giorno) a causa della piaga del caporalato. Meccanismi che sembrano ineluttabili, ma non per la rete catanese. Tra l'altro stanno lanciando la campagna della «patata solidale»: coinvolgere i gruppi di acquisto in tutta Italia per comprare solo le patate dei produttori che mettono i braccianti in regola. E' un tentativo, ma almeno affronta il problema alla radice.

Nessuno dei ragazzi della piazza del caporalato, però, è venuto a Siracusa. Hanno tutti preferito, come è ovvio, andare a lavorare. Lavora però anche Hamet, tunisino-italiano, titolare di un negozio di kebab sul corso di Siracusa. Non sapeva niente dello sciopero «e comunque io voto Berlusconi». Non sapeva niente neanche John, nigeriano: «Sennò sarei venuto». Limiti dell'organizzazione, che non è stata semplice. «Ma oggi è solo l'inizio, dobbiamo creare altri momenti come questo», dice alla fine della manifestazione Massimiliano Perna. Ma maggiore partecipazione avrebbe potuto esserci anche tra i ragazzi italiani: «E' che qui non c'è l'abitudine a partecipare. Lo sai che a Siracusa non c'è uno spazio per vederci? - denuncia Giuliana, 15 anni - torni a casa e c'è solo Facebook. Vogliono disabituarci alla vita».

Napoli

10 mila in corteo Una giornata contro il razzismo

di Francesca Pilla

L'adesivo bianco con lo stop segnato da una mano gialla ce l'hanno quasi tutti: «Non toccate il mio amico». Il corso Umberto di Napoli è un rettilineo stracolmo, oggi è il loro giorno, quello dei migranti che hanno portato cartelli, striscioni, e pieni di orgoglio dicono che «nessun uomo è illegale». Una donna sfigurata dall'acido, un senegalese in maniche corte con i colori della Giamaica, una capoverdiana con la figlia, quelli del servizio d'ordine, dal Ghana e dal Burkina Faso, che non sono andati a lavorare nei campi, o i nordafricani di San Nicola Varco, e ancora i mediatori culturali, le colf dell'est Europa, qualche asiatico, per gli organizzatori al corteo sono oltre 10mila. Ognuno ha indossato una fascetta, un foulard, un nastro giallo, il colore scelto per queste 24 ore senza di loro e deciso a livello europeo insieme a Francia, Spagna e Grecia. Contabilizzare in quanti oggi abbiano incrociato le braccia è praticamente impossibile, visto che la maggioranza dei lavoratori stranieri sono al nero, soprattutto al Sud e in Campania. Ma è un fatto che la manifestazione sia riuscita, anche a Napoli come nel resto del paese, che i lavoratori prevalentemente dell'edilizia, del terziario, gli ambulanti siano scesi in piazza di lunedì ed è già un successo da cui partire. «I lavoratori extracomunitari - spiega Jamal Qaddorah, della Cgil-immigrati - hanno risposto in maniera massiccia all'appello lanciato dalle associazioni e dal sindacato».

Al fianco dei migranti ci sono poi tantissimi italiani, gli studenti, i centri sociali, le associazioni, i rappresentati dei partiti di sinistra, tra loro anche il candidato governatore del Prc Paolo Ferrero. Ma passano in secondo pianoquando un gruppo di disoccupati si avvicina all'assessore alle politiche sociali Giulio Riccio e volano insulti e qualche spinta. Il sindaco Iervolino condannerà duramente l'episodio, così come il coordinamento regionale di Sel. L'assessore continua il corteo fino a piazza Plebiscito, con la faccia scura, ma intenzionato a non fare un passo indietro.

Non riesce a oscurare il senso della manifestazione nemmeno la denuncia della Cgil per alcuni manifesti affissi in centro che portano il logo (falsificato) del sindacato, ma inneggiano alla lotta armata pur ispirandosi alla battaglia dei migranti. La giornata è dedicata ai lavoratori stranieri fondamentali all'economia del nostro paese, ma sfruttati e troppo spesso senza diritti e per questo hanno deciso di scioperare. «E' stato difficile in tutta Italia, ma in particolare qui in Campania - dice Pape Scheck - noi stranieri non veniamo rispettati. Contribuiamo all'economia italiana, ma riceviamo salari più bassi lavorando più ore».

Uno studente con la valigia di cartone si appella «alla smarrita coscienza italiana», altri portano in braccio un fantoccio del monistro degli Interni Maroni, mentre un gruppo si impegna a tappezzare il percorso di manifestini con su scritto: «Ha votato la legge Bossi-Fini (o in alternativa Turco-Napolitano), non votare partito razzista». Dal megafono del sound system si susseguono gli interventi che ricordano la fuga degli africani di Rosarno, la strage di Castelvolturno e la caccia all'uomo nelle campagne salernitane. Arrivati all'altezza della facoltà di giurisprudenza si uniscono al serpentone i giuristi democratici, ma anche i docenti precari che hanno sottoscritto un appello su web, mentre alcuni giovani accendono petardi e lanciano vernice rossa sul simbolo della Lega Nord.

Si arriva in piazza Plebiscito. Una delegazione viene ricevuta dal prefetto Alessandro Pansa, per discutere di un documento presentato due settimane fa. Si continua con un intero pomeriggio di concerti e rappresentazioni artistiche e teatrali.

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