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FIAT. Fuga dall’Italia e dal capitalismo ragionevole
28 Luglio 2010
Articoli del 2010
Notizie e commenti sulle ultime tappe dell tragedia Marchionne. Il manifesto, 28 luglio 2010, con postilla

Editoriale. L’ultimo modello, di Francesco Paternò

La Bomba. Ground zero Fiat, di Francesco Piccioni

Pomigliano D'Arco. No anche della Fim «Il contratto resti», di Francesca Pilla

La Fiom. Il segretario Landini: «La Cgil decida subito un'iniziativa. Un atto senza precedenti Da oggi cambia tutto», di Loris Campetti

L'ULTIMO MODELLO

di Francesco Paternò

L'ultimo modello di Marchionne è uno schiaffo in faccia a sindacati amici e nemici, al governo ombra di se stesso, a tutti i lavoratori. Un modello che impone una nuova società per la fabbrica di Pomigliano d'Arco, disdetta il contratto dei metalmeccanici e porta di fatto la prima industria del paese fuori dalla Confindustria. Una Fiat rivoltata sottosopra, come fosse finita in bancarotta alla stregua della controllata Chrysler e della General Motors.

Marchionne fa tutto questo alla vigilia dell'incontro di stamane a Torino tra le parti, governo e regioni, svuotato di qualsiasi significato (se mai ne avesse avuto) e dove presumibilmente non si presenterà. Tanto domani a Detroit avrà un bagno di folla con il presidente Obama, per la prima volta in visita a una fabbrica della Chrysler salvata proprio con l'aiuto del manager. Una coincidenza molto simbolica, perché al di qua dell'Atlantico Marchionne continua a ignorare l'inutile governo Berlusconi e vuole mandare in bancarotta i diritti dei lavoratori italiani. Non a caso l'unico a dirsi ottimista è il ministro Sacconi.

La newco a Pomigliano permetterà alla Fiat di licenziare tutti e riassumere solo chi è d'accordo con il nuovo contratto. La disdetta del vecchio contratto - dovrebbe essere comunicata domattina ai sindacati, nuovamente convocati a Torino - significherà imporre le nuove regole in tutti gli stabilimenti italiani del gruppo. Senza bisogno di fare un referendum, che poi per lui vale zero come si è visto nella fabbrica campana. L'uscita obbligata da Confindustria, causa disdetta unilaterale del contratto nazionale con i lavoratori, sarà invece il modo dell'amministratore delegato del Lingotto di festeggiare il centenario dell'associazione. Marcegaglia e altri suoi colleghi non saranno contenti.

John Elkann, il presidente della Fiat e principale azionista del gruppo, lo dovrebbe essere ancora meno: è appena diventato vicepresidente di una Confindustria che il suo manager ridicolizza. Ma forse a Elkann va bene così. Perché a lui e al resto della famiglia al volante, l'automobile interessa sempre meno. Messe via in un'altra società le parti più solide del gruppo con lo spin off, operativo dal prossimo gennaio, le quattro ruote saranno vendute, più prima che poi.

Sarebbe riduttivo pensare che questo Marchionne spaccatutto abbia in mente soltanto di far fuori la Fiom. Il nuovo contratto nazionale scade il 31 dicembre 2012 e formalmente la Fiat uscirà da Confindustria il primo gennaio 2013. Lo stesso anno entro il quale Marchionne si è impegnato a restituire ai governi statunitense e canadese i 7,4 miliardi di dollari in prestiti agevolati. A quel punto, se la Chrysler sarà davvero rilanciata, il patto di ferro con la Casa Bianca risulterà onorato. E il manager italiano potrebbe anche andarsene alla Ben Hur, con un bel bye bye all'auto del Lingotto e ai diritti calpestati dei suoi lavoratori.

LA BOMBA

Ground zero Fiat

di Francesco Piccioni

Costituita già da una settimana, ma rivelata solo ieri, la newco per «comprare» Pomigliano. Domani a Torino vertice con i sindacati per la disdetta del contratto nazionale. Un'uscita di fatto da Confindustria, e un azzeramento delle relazioni industriali

Un tir carico di dinamite sotto il patto sociale che ha retto l'Italia nel dopoguerra. Fatto da chi, se sta seguendo una logica, ha evidentemente deciso di considerare questo paese una location minore per la sua attività produttiva. La Fiat ha preparato la trappola esplosiva in poche mosse, mentre in tanti si affannavano a darle una mano e a maledire chi «non capiva» che il mondo è cambiato. Oggi siamo già nel «dopo Cristo».

La prima mossa si realizza una settimana fa, il 19 luglio, iscrivendo al registro delle imprese della Camera di commercio di Torino la «Fabbrica Italia Pomigliano». Una società completamente controllata dalla Fiat, con appena 50.000 euro di capitale e Sergio Marchionne come presidente. Attenzione: non amministratore delegato, come in Fiat spa. È la newco che dovrà «acquistare» lo stabilimento campano, senza nemmeno iscriversi all'associazione di categoria (Federmeccanica), assumendo ex novo soltanto quei lavoratori che accetteranno il contratto di lavoro che la «Fip» gli metterà sotto il naso, prendere o lasciare. Un contratto tutto nuovo, diverso da quello nazionale dei metalmeccanici, sottoscritto soltanto pochi mesi fa con i «complici» di Cisl, Uil e Fismic. Per questi non sarà un problema insormontabile cavar di nuovo di tasca la penna per una nuova firma. Naturalmente, si deve prevedere che oggi Marchionne non si farà neppure vedere per l'incontro di Torino con Regione, sindacati, enti locali, ecc.

La soluzione societaria ricalca del resto in modo quasi fedele lo schema seguito da Roberto Colaninno (e dal governo) per la privatizzazione di Alitalia. Solo che in quel caso c'era una vendita formalmente «vera» - dallo stato, ossia dal ministero dell'economia, a una cordata di privati convocati personalmente da Silvio Berlusconi - mentre questa volta bisognerà ricorrere a qualche altro «inguacchio» giuridico (ma il codice societario italiano è una miniera inesauribile), visto che venditore e acquirente sono anche formalmente le stesse «persone».

La seconda mossa è ancora più pesante. I sindacati presenti in Fiat - tutti, Fiom compresa - sono stati convocati domani a Torino, nella sede dell'Unione industriali, con all'ordine del giorno (quasi certamente) la disdetta del contratto nazionale dei metalmeccanici. Questo è anche un passo formale indispensabile per uscire da Federmeccanica e quindi dalla confederazione delle imprese italiane, ossia Confindustria. In un solo colpo la Fiat mette in soffitta tutte le rappresentanze collettive - sia dei lavoratori che delle imprese - aprendo una fase di conflitto sociale senza regole riconosciute e valide su tutto il territorio nazionale.

Da Confindustria, fin qui, nessuna reazione. Per statuto, infatti, le imprese possono essere iscritte solo se rispetto del contratto nazionale di lavoro che, nel caso della metalmeccanica, scade il 31 dicembre 2012. Fiat non ha fatto mistero, in questi giorni, di volere un «contratto auto» separato; praticamente un monopolio. Ma è chiaro che, senza la prima impresa industriale italiana, anche Confindustria diventerà rapidamente un'altra cosa. Lo dimostra la «svolta serba», in pochi giorni imitata dal altre aziende italiane (Omsa, Daytech): la strada tracciata dai «grandi» diventa un richiamo irresistibile anche per i piccoli e medi.

Più facile capire lo spiazzamento di tutti i sindacati. I «complici» diventano di fatto inutili (e in ogni caso troppi): adattatisi a gestire la «normalità a-conflittuale» dei luoghi di lavoro (favori sui turni, le assunzioni, le promozioni, enti bilaterali, ecc) non hanno quasi più senso in un ambiente che non prevede nessun possibile conflitto (se non quelli imprevisti...). Ma anche per chi ha mantenuto un profilo di rappresentanza reale dei lavoratori (parti consistenti della Cgil come la Fiom, i sindacati di base, ecc) si prospetta una lunga e difficile fase di ripensamento e riorganizzazione. Tra i primi effetti della disdetta contrattuale e dell'uscita da Confindustria c'è infatti il rifiuto, da parte dell'impresa, di girare le trattenute degli iscritti ai sindacati. Un modo come un altro di strangolare - economicamente - le sigle «scomode».

La politica - tutta - appare trasognata. A parte le reazioni critiche attese in questi casi (Paolo Ferrero, segretario Prc, parla di «ulteriore colpo di mano» e di «interessi della Fiat e quelli dell'Italia che non collimano»), o dell'Idv che vede «un golpe che tira l'altro», il resto è imbarazzo imbarazzante. Teniamo da parte anche il solito ministro del lavoro, Maurizio Sacconi, che vede nelle mosse Fiat il grimaldello per sradicare il sindacato dal paese, a cominciare dalla Fiom. Gli altri parlano d'altro, come sembra ormai loro abitudine. Volete in piccolo florilegio? Eccolo. Il governatore leghista del Piemonte, Roberto Cota, si è detto «fiducioso, perché il piano presentato in aprile è ancora valido e lì sono previsti più posti di lavoro a Mirafiori in 5 anni». Il segretario della Uil, Luigi Angeletti, a proposito di una Fiat fuori dai metalmeccanici, ha detto che si tratta di un'ipotesi che «non voglio nemmeno prendere in considerazione». Dalla sponda Pd si continua a criticare l'immobilismo del governo, ma nemmeno una parola su (contro) Fiat. Fino a Piero Fassino che invita i lavoratori a obbedire comunque («anche loro hanno bisogno di un'azienda sana») e Marchionne a «esser consapevole che senza la Fiat l'Italia sarebbe un'altra cosa». In effetti, se non se ne rendesse conto, sarebbe grave; ma è lampante il contrario.

POMIGLIANO D'ARCO

No anche della Fim «Il contratto resti»

di Francesca Pilla

La notizia è arrivata e non ha sorpreso Pomigliano dove la possibilità di costituire una new company in cui riassumere tutti i 5000 dipendenti dello stabilimento Gianbattista Vico era sul piatto da tempo. Il Lingotto tenta di aggirare il contratto nazionale, arginare il dissenso del mancato plebiscito referendario del 22 giugno e costringere le tute blu a giungere a più miti consigli, cedendo sui diritti per non finire in mezzo alla strada. Ma anche le modalità di comunicazione sono quelle a cui Sergio Marchionne ha abituato da qualche tempo a questa parte il popolo dei dipendenti: la società è stata siglata il 19 luglio, ma le informazioni sono state diramate solo ieri tramite gli organi di stampa, senza nemmeno avvisare i sindacati.

«C'è poco da dire - ci spiega subito Giovanni Sgambati segretario regionale Uilm - è l'unico modo per mettere in sicurezza l'accordo per la nuova Panda. La colpa di questa decisione non può non ricadere sulla Fiom per la mancata sottoscrizione dell'accordo. Ma i lavoratori non hanno nulla da temere perché saranno mantenuti gli organici e i livelli di reddito, saranno i sindacati invece a doversi riorganizzare e a dovere rinunciare ai vecchi privilegi. Per il resto vorrei dire alla Fiom di non invocare sempre un contratto nazionale che non ha sottoscritto».

Immediata la risposta di Maurizio Mascoli segretario Campania dei metalmeccanici Cgil: «Sgambati deforma le posizioni degli altri, noi non ci riferiamo al contratto firmato da Fim, Uilm e Fismic, ma a quello collettivo che scade nel 2011». Quanto ai pericoli che si nascondo dietro la costituzione di una nuova compagnia, per la Fiom riguardano la volontà di non riconoscere più il contratto nazionale e di estorcere il consenso a un piano industriale che ha ottenuto il 40% dei no tra i dipendenti: «Il rischio - continua Mascoli - come ha anche sostenuto Sergio Bonanni della Cisl proprio sul manifesto è che venga messa in discussione la libertà dei lavoratori che sotto ricatto siano costretti a cedere i propri diritti. Noi ci opporremo con tutti gli strumenti di cui siamo in possesso». Oggi a Torino si discuterà della questione Mirafiori, giovedì del futuro dell'assetto industriale del settore auto in Italia, la Fiom e la Cgil ne sono coscienti, gli altri invece si sentono rassicurati dalle promesse fatte dall'ad Marchionne. «La Fiat ha intenzione di mantenere altre le produzioni a Mirafiori - dice sicuro Sgambati - ma anche a Torino devono adeguarsi, mica a Pomigliano sono fessi, i 18 turni valgono per tutti se ci sono picchi di mercato».

Per la Fim c'è qualche perplessità in più, anche se resta la convinzione che la responsabilità della scelta Fiat per Pomigliano sia interamente della Fiom: «A forza di tirarla prima o poi la corda si spezza - spiega Giuseppe Petracciano segretario regionale - Se tutti avessero contribuito a siglare l'intesa non saremmo arrivati a questo punto. Chiediamo alla Fiom di ripensarci e alla Fiat di fermarsi qui, perché il contratto nazionale non deve essere modificato. Il sogno dell'azienda è da sempre uscire da Federmeccanica e stipulare un contratto a sè, ma non è questa la strada e serve un confronto serrato».

Dalla Cgil il segretario campano Michele Gravano preferisce aspettare il confronto di giovedì prima di esprimersi: «Siamo profondamente preoccupati, in discussione c'è la presenza del gruppo in Italia, su questo siamo d'accordo con la Fiom, non serve trattare le condizioni di uno stabilimento alla volta, altrimenti perdiamo tutti. Su Pomigliano credo che la Fiat abbia sbagliato e invece di recuperare consenso risponde con un nuovo contratto. Non va, noi ci aspettiamo la riapertura del confronto».

LA FIOM Il segretario Landini:

«La Cgil decida subito un'iniziativa.

Un atto senza precedenti Da oggi cambia tutto»

intervista di Loris Campetti

«La radicalità dei processi in atto avrebbero dovuto mettere tutti sull'avviso, non solo la Fiom. La situazione è gravissima e l'ultima mossa di Marchionne fa cadere il velo sulle risposte che le imprese intendono dare alla crisi. La politica, almeno quella che ha ancora a cuore il lavoro, e l'intero mondo sindacale non possono chiamarsi fuori. In gioco c'è un pezzo fondativo della democrazia: i diritti dei lavoratori, il sistema di regole costruito nel dopoguerra e la Costituzione». Maurizio Landini è molto preoccupato, non se la cava con un facile «noi l'avevamo detto» e da buon sindacalista cerca le soluzioni dei problemi. A questo servono i conflitti: per riaprire il confronto e trovare soluzioni condivise «nell'ambito delle regole date, senza deroghe e senza cancellazione dei diritti individuali e collettivi».

Quel che si temeva è avvenuto e la Fiat, alla vigilia del tavolo convocato dal ministro Sacconi e dell'incontro con Fim, Fiom e Uilm, ha preso a schiaffi tutti annunciando che ha già costituito la newco a Pomigliano e che intende disdire il contratto dei meccanici. Come risponde il segretario della Fiom?

E' un atto gravissimo e inedito nella storia dell'Italia repubblicana, tantopiù se la costituzione della newco dovesse comportare la disdetta del contratto nazionale. Una decisione senza precedenti per noi, e spero non solo per noi, inaccettabile.

Cosa dirai all'incontro di domani (oggi per chi legge) a Torino, il cui valore già discutibile è stato azzerato dal proclama di Marchionne?

Dirò che vogliamo garanzie certe sui progetti industriali della Fiat. Che tutti gli stabilimenti devono essere salvati, sì, anche quello di Termini Imerese riaprendo un confronto alla ricerca di una soluzione produttiva da cui il Lingotto non può chiamarsi fuori. Se come dice Lombardo c'è un'offerta concreta e interessante siamo pronti a sederci al tavolo. Diremo che i licenziamenti fatti dalla Fiat per rappresaglia vanno ritirati. La pratica autoritaria non è tollerabile, se si parte dal principio della parità tra i soggetti che si confrontano. Anche a Pomigliano è possibile trovare soluzioni condivise per migliorare la qualità e la produzione degli impianti, anche rimettendo mano alla turistica con un accordo. Soluzioni pure migliori di quelle imposte con un accordo separato, un referendum imposto sotto minaccia, addirittura una newco. La verità è che Marchionne non cerca soluzioni condivise, vuole tutto il potere nelle sue mani per umiliare chi lavora spogliandolo di diritti, regole e contratti. Noi da questi punti non deroghiamo.

Lo schiaffo di Marchionne colpisce la Fiom ma colpisce anche chi, come Fim e Uilm, ha firmato l'accordo separato di Pomigliano. Sarà uno schiaffo salutare?

Vedremo domani. Se la Fiat confermerà la sua pretesa di aver mano libera sulla forza lavoro, fino alla cancellazione del contratto, tutti dovrebbero fare una riflessione. Non c'entra essere moderati o radicali, la realtà è che insieme ai diritti di tutti vogliono cancellare i sindacati, non solo la Fiom. Se oggi si consentirà che ciò avvenga in Fiat, domani avverrebbe in tutte le aziende. Mi fa ridere chi diceva che Pomigliano avrebbe rappresentato un'eccezione.

Il nuovo scenario potrà aiutare un confronto più sereno anche tra la Fiom e la Cgil?

La bomba atomica lanciata da Marchionne cambia tutto e rende non più rinviabile un cambiamento delle strategie, sindacali e politiche. Nell'ultima intervista rilasciata da Guglielmo Epifani, il segretario Cgil chiedeva a Marchionne di non procedere sulla strada della newco a Pomigliano, riaprendo un confronto ma senza pretendere di mettere mano ai diritti e ai contratti. Marchionne ha scelto la strada opposta e ripeto che questo è un segnale generale, alle imprese, ai sindacati, alla politica. Mi aspetto che la Cgil decida subito un'iniziativa forte in difesa dei diritti e dei contratti. Il lavoratore titolare dei diritti deve tornare a essere il centro, anche della battaglia politica per costruire una diversa risposta alla crisi e un diverso modello di sviluppo.

E la politica intanto resta latitante...

C'è il problema di un governo assente, privo persino di un ministro che oggi dovrebbe essere centrale, subalterno alle imprese, senza una politica economica. Non è così in Germania, o in Francia dove pure esistono più produttori auto e la delocalizzazione è molto inferiore a quella della Fiat, l'unica azienda auto che produce nel proprio paese solo il 25% delle vetture totali. Per quanto riguarda le opposizioni, penso che non possano più giocare con il piede in troppe scarpe: se hanno a cuore chi lavora e un'idea diversa di società, battano un colpo. Ora.

Postilla

Molti nodi vengono al pettine con la nuova, aggressiva politica della Fiat. La crisi dell’automobile: questi geni del capitalismo non ci avevano mai pensato prima? La crisi della politica: da quando è diventata ancella dell’economia, e di questa economia, ha rinunciato al suo mestiere, si limita a partecipare al saccheggio e a tentar di gettare un po’ d’olio nelle ruote del carro del padrone. La crisi della cultura, in tutte le sedi in cui la cultura serve per comprendere, quindi per agire: possibile che così pochi si siano accorti che quando, negli anni 70, il “capitalismo moderno” aveva cominciato, soprattutto da noi, a disinvestire dalla produzione per reinvestire nel portafoglio immobiliare e finanziario era cominciato il divorzio tra interesse collettivo e interessi aziendali?

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