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Norman Day
Fede, Paura, Prudenza
22 Maggio 2006
Articoli del 2005
Cronache della ricostruzione post-tsunami: dibattito tecnico, truffe catastali, infiltrazioni della mafia russa. Ce ne vuole, della Fede citata nel titolo: dall'australiano The Age, 30 marzo 2005 (f.b.)

Titolo originale: Faith, fear and prudence – Traduzione per Eddyburg di Fabizio Bottini

Sono stati riversati milioni di dollari per la ricostruzione delle zone dell’Asia devastate dallo tsunami. Una ricostruzione con la capacità non solo di risollevare un’economia rovinata, ma anche di migliorare l’ambiente.

Prima di qualunque altra cosa, devono essere realizzati sistemi di allarme e strutture di emergenza in caso di altre calamità.

Poi, nel corso della ricostruzione deve essere preso in considerazione lo spirito dell’area. Molti dei morti rimangono dispersi, il mare la loro tomba, decisa dalla natura e dal fato.

Molte delle reazioni immediate e adrenaliniche sono riflesse nelle storie di eroismo e fortuna, disperazione e impotenza, quando l’onda ha colpito.

Qualche albero ha resistito, dritto, altri sono caduti, edifici di legno sono rimasti in piedi, altri di cemento velocemente spazzati via. Alcune cose sono parse irrazionali: l’assurdità di galleggiare verso la salvezza su una portiera d’automobile, mentre altri perdevano l’equilibrio su una strada asfaltata, prima di essere risucchiati nel gorgo.

Posizionare gli edifici è importante. I villaggi tradizionali erano collocati a qualche distanza dalla spiaggia, sotto cupole di foglie di palma e vicino ai ruscelli di acqua dolce.

Ma i complessi turistici erano sulla spiaggia, direttamente collegati al fronte spiaggia coi bar e i ristoranti, le tavole da surf, gli sci d’acqua e i catamarani da noleggiare a portata di mano. Sono stati i primi e più selvaggiamente colpiti dalle grandi onde.

Le strutture anche a soli 50 metri più indietro rispetto alla linea di marea sono scampate alle distruzioni più grosse, soprattutto perché le onde hanno perso la propria forza, con il terreno in salita a fungere da ammortizzatore naturale alla spinta dell’acqua.

Molti edifici turistici hanno centri commerciali e caffè ai livelli inferiori, alcuni dotati di parcheggi a ree di servizio. È una cosa su cui meditare dopo la tragedia del 26 dicembre.

In fatto di essere nei seminterrati è stato fatale. Il livello sotterraneo è il primo fattore; l’altro è la semplice forza dell’acqua, che ha causato un risucchio tanto feroce da trascinare anche le parti superiori dell’edificio nel vortice.

Altre strutture erano in legno. Ad Aceh, per esempio, molta della zona di spiaggia era una baraccopoli, senza speranza contro lo tsunami.

I villaggi più densamente popolati sono stati completamente distrutti, lasciando in eredità un altro problema tipico degli ambienti devastati: ora non esiste più traccia della proprietà dei terreni, nessun documento, rilievi, mappe, a mostrare dove era collocata un’abitazione. Non si può cominciare la ricostruzione sin che non si decide chi ha diritto al terreno.

A Timor Est, per esempio, dove è avvenuta una distruzione per mano dell’uomo, sono stati istituiti tribunali speciali per le terre, a gestire il problema della proprietà, ma ci vorranno anni per risolverlo.

Aggiungeteci l’enorme perdita di vite umane – intere famiglie che vivevano in quei posti sono state spazzate via – e il problema si fa ancora più difficile.

In queste circostanze, le rivendicazioni per la proprietà dei terreni abbondano. In più, la solidarietà e chi solidale non è sono arrivati in aiuto. L amaggior parte è animata dalle buone intenzioni, ma altri hanno annusato un affare.

Un grosso gruppo arrivato dalla Russia si è offerto di ricostruire complessi turistici, in fretta. Sono atterrati con maestranze, macchinari, materiali e progetti, pronti ad operare come impresa di costruzioni autosufficiente. Alcuni hanno cominciato a costruire sui siti di alberghi distrutti, senza le normali formalità delle autorizzazioni urbanistiche ed edilizie.

Quando si è scoperto che alcuni di questi gruppi erano collegati alla criminalità organizzata, la ricostruzione è stata fermata. È questo il rischio nelle regioni devastate.

Poi c’è la questione delle risorse disponibili per ricostruire. Molta parte della Thailandia meridionale è in un boom edilizio. La pressione esistente riguardo alla disponibilità di materiali da costruzione è stata esasperata dai bisogni post-tsunami. Il governo thailandese dovrà legiferare a proposito dell’attività di ricostruzione ma, nel frattempo, deve essere attento a non danneggiare le economie più fragili, e località come Pattaya o Koa Samui, fatto che farebbe perdere turisti alla regione.

In definitiva, nell’evoluzione delle cose, saranno fede, paura e prudenza a guidare la ricostruzione, insieme alle questioni pratiche sulla proprietà della terra, e come è meglio ricostruire.

Nota: qui il testo originale al sito dell’australiano The Age (f.b.)

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