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Ida Dominijanni
Fede e giustizia, la doppia morsa
22 Gennaio 2008
Articoli del 2008
In queste ore la monnezza napoletana sembra più che mai l'allegoria di una classe politica travolta soprattutto dalla propria debolezza. Da il manifesto, 22 gennaio 2008 (m.p.g.)

Che cosa sta facendo precipitare la crisi di governo: la monnezza di Napoli, il caso Mastella, il riproporsi del conflitto fra politica e legalità, l'incidente della visita mancata del papa alla Sapienza col seguito al rialzo dell'Angelus in Piazza San Pietro domenica e del proclama di Bagnasco ieri, l'imprudente annuncio di Walter Veltroni sul Pd che correrà da solo nell'arena elettorale, i contorcimenti ripetuti di Lamberto Dini e compagni, la delusione diffusa per l'azione del governo Prodi, le fotografie impietose dello stato del paese firmate Censis, New York Times, Financial Times? Tutti questi fattori uno dopo l'altro e uno sull'altro, si dirà ed è vero. Ma c'è un massimo comun denominatore fra tutti, ed è il collasso della politica che si è palesato in una settimana di fuoco, fra il conflitto con la magistratura reinnescato dal caso Mastella da un lato e il conflitto con la Chiesa inscenato dall'ondata (e dal senso comune) teocon-teodem dall'altro. La politica collassa in questa doppia morsa. Sull'una e sull'altra, al di là delle apparenti ripetizioni di film già visti, c'è di che riflettere.

Sul versante del duello fra ceto politico e magistratura, che per quanto sembri l'ennesima replica di una soap in onda da quindici anni è arrivato, fra Ceppaloni e Montecitorio, a un livello di drammatizzazione mai visto in precedenza, nemmeno sotto la monarchia di Berlusconi. Mai s'era visto infatti un attacco di tale entità alla magistratura sferrato dal guardasigilli in persona (col plauso dell'aula); e mai la magistratura era apparsa insieme tanto necessaria quanto insufficiente a combattere una corruzione e un malcostume politico che travalicano ogni definizione di reato, e procedono piuttosto da un completo sfarinamento dell'etica pubblica e da un compiuto processo di privatizzazione della politica (l'opposto esatto della politicizzazione del personale predicata qualche decennio fa dal '68 e dal femminismo). Tutto molto simile, ma tutto molto diverso dagli anni Tangentopoli e Mani pulite: spente le speranze palingenetiche (erroneamente) attribuite allora alla «rivoluzione giudiziaria», smentito il tentativo di far accettare alla politica il dispositivo fisiologico del controllo di legalità, svanite le illusioni di rinascita (erroneamente) riposte in una «seconda Repubblica» mai nata, o nata non sul risanamento ma sulla rimozione (e la continuazione) dei guasti della prima.

Sul versante del conflitto con la Chiesa, duello in verità con un unico duellante, dato il pressoché unanime coro di scandalo levatosi a difesa del Pontefice in tutto il mondo politico (cosiddetto) laico. Qui la novità è più consistente, anche se ampiamemente annunciata dagli ultimi anni di iniziativa teocon sempre più aggressiva e lasciata prosperare senza impedimenti, senza antivirus e senza contrasti, fra attacchi all'aborto, alla procreazione assistita e alla ricerca sulle staminali, maledizioni della sessualità «deviante», invocazioni della Verità assoluta. Il salto degli ultimi giorni supera però largamente tutti questi annunci. Non si tratta più infatti di una Chiesa che va alla conquista dell'egemonia sull'etica pubblica presentandosi come unica riserva di senso in un mondo senza bussola. Si tratta di una Chiesa che scende direttamente in campo, con Ratzinger Ruini e Bagnasco, come soggetto dichiaratamente politico che dichiaratamente detta l'agenda politica mobilitando dall'alto le sue divisioni. A spese dell'autorità morale e spirituale che dovrebbe connotare la figura del Pontefice. Se Atene piange, infatti, Sparta non ride. Nella morsa che l'attanaglia la politica perde senso e autonomia, e la religione pure.

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